In un’ottica di psicoterapia della Gestalt, i concetti di totalità e individualità rappresentano due momenti distinti, ma co-presenti, che attraverso un’armonizzazione dinamica, una ricerca continua di equilibrio tra tutte le dimensioni dell’individuo, da quella corporea fino a quella spirituale, delineano i flessibili confini tra l’ambiente e l’uomo, tracciandone un’area virtualmente condivisa. Questo eterno fluire, un passaggio continuo tra essere e divenire, potenza e atto, rappresenta l’energia con cui l’uomo si muove e si relaziona all’interno del campo vitale.
Per l’approccio descritto da Polster, la connessione, ha la funzione di pacificare le manifestazioni tra totalità e l’individualità che altrimenti parrebbero discordanti. Secondo l’autore quando la connessione tra individuazione e appartenenza avviene in modo fluido, senza pressioni dell’ambiente, l’individuo può sperimentare maggiormente il suo senso interiore di persona umana che trascende se stessa, per mezzo della sua stessa esistenza. Martin Heidegger, a riguardo, afferma: “Ad ogni pensante è assegnata sempre e soltanto una via, la sua: nelle cui tracce egli deve sempre vagare, per attenersi infine a essa come alla propria via, la quale però mai gli appartiene”. Uno degli scopi della psicoterapia gestaltica è quello di reintegrare la frammentazione di parti alienate della persona in un insieme coerente e coeso. Le polarità del sé, che in alcune patologie sono maggiormente frammentate, alterate o addirittura negate, con la funzione della connessione, vengono riconosciute e unite tra loro come file di una stessa trama. Questo processo di riappropriazione di “frammenti” del sé è lento e faticoso e niente affatto spontaneo. Polster parla di connessioni per descrivere analiticamente i processi psichici superiori e di come il terapeuta possa utilizzare questo tipo di atteggiamento durante la terapia attraverso quattro dimensioni: momento, evento, persona e self.
La dimensione del tempo in terapia
Una delle esperienze più significative che l’individuo esperisce e che sfugge continuamente alla sua consapevolezza, è lo scorrere del tempo. Non accorgersi del suo fluire continuo e inarrestabile, eccetto in alcuni istanti della giornata, in cui particolari avvenimenti ci costringono a farlo, non è un’inquietudine nuova. Orazio, nelle sue Odi e epodi, appassionatamente esorta Leuconoe a cogliere l’attimo, senza preoccuparsi del domani, Seneca scrive a Lucilio che ciò che è veramente nostro, è il tempo, e Martin Heidegger descrive il suo incedere, come un insieme di eventi che modellano e ampliano gli altri eventi in una successione irreversibile, e che definiscono l’essere per la morte. Sant’Agostino, nelle Confessioni, spinge il problema metafisico fino a chiedersi, se l’animo stesso sia il tempo, affermando che “io misuro il sentirmi nell’esistenza presente, non le cose che passano affinché esso sorga. E’ il mio sentirmi che misuro, quando misuro il tempo”. In qualche modo il continuum di consapevolezza[1] definito nella Terapia della Gestalt, tende a chiarire, concretamente, come questo sentire interiore ed esteriore si sviluppi. Perls sottolinea come gli individui che seguono la propria consapevolezza, si muovono in un percorso organicamente determinato, in cui ogni momento influenza quello successivo.
Per avere una prospettiva più ampia sull’argomento delle connessioni, ci sembra coerente approfondire il concetto di tempo e spazio, spingendoci, attraverso un percorso diverso, tra dicotomie apparenti quali: totalità e individualità, dentro e fuori, appartenenza e differenziazione, l’io e il tu.
Innanzi tutto: quando è nato il tempo e cosa rappresenta la sua irreversibilità? Il tempo ha una barriera che ad oggi non può essere oltrepassata: 10-43 secondi. Questa è definita l’era di Planck, descritta da una formula matematica, scoperta dallo scienziato tedesco Max Planck nel 1900. Essa determina nella materia, a livello microscopico, la prima quantizzazione di grandezze come l’energia, la quantità di moto e il momento angolare di una particella. Grazie alla costante denominata h, possiamo risalire alle originarie dimensioni dell’universo e alla sua età. Come si diceva, 10-43 secondi fa, appena prima della grande esplosione, tutto quello che oggi osserviamo, le galassie, i pianeti, la terra, le case, gli alberi ed ogni cosa, tutto questo era contenuto in una sfera di 10-33 centimetri, ovvero miliardi di miliardi di miliardi più piccola del nucleo di un atomo. Il nucleo dell’atomo è così piccolo che se ingrandissimo un oggetto, ad esempio un cellulare, fino a farlo divenire grande come il nostro pianeta, gli atomi che lo compongono avrebbero le dimensioni di una ciliegia. Per comprendere visivamente ciò che stiamo descrivendo, possiamo aggiungere che lo scarto che sussiste tra una particella atomica e una mela è, in proporzione, molto più grande di quello che separa la stessa mela dall’universo osservabile. Queste sono le dimensioni e le distanze che intercorrono tra le particelle e le sub-particelle che ci formano. E poi c’è la questione dello spazio vuoto. Si pensi che se potessimo ingrandire il nucleo dell’atomo fino a farlo diventare una capocchia di spillo, l’elettrone che gli gira intorno, traccerebbe un’orbita che passerebbe per la Spagna, la Germania, la Grecia e il nord Africa. La materia che compone la realtà che osserviamo è, quindi, in gran parte fatta di vuoto. Eppure, anche tra queste distanze immense, questi tratti inimmaginabili, la materia si parla e si cerca. Una scoperta certamente nota a tutti, fatta da Léon Foucault nel 1851 (l’esperimento del pendolo rivelando l’esistenza del Grande Attrattore), e che non descriveremo per ovvie ragioni, ci rivela che la natura è un insieme indivisibile in cui tutto è connesso: la totalità dell’universo sembra presente in ogni luogo e in ogni tempo[2]. In atri termini, mentre solevo la mia mano per scrivere, l’universo mette in moto infiniti equilibri. Altri esperimenti quantistici, ci rivelano che la materia si determina, sceglie e in un certo qual modo ha una coscienza. Per concludere questo brevissimo viaggio nella fisica quantistica, descriveremo un ultimo esperimento proprio in riferimento alle connessioni. Nel 1982 il fisico francese Alain Aspect, osservò un’inspiegabile correlazione tra due fotoni che si allontanavano l’uno dall’altro. Ogni qualvolta uno dei due cambiava polarità, anche l’altro, a distanza di miliardi di chilometri, subiva la stessa alterazione. Questo fatto, tanto misterioso quanto affascinate (se vogliamo persino romantico), ad oggi ha soltanto un’interpretazione, quella di Niels Borh. Il fisico danese l’ha definito «l’inseparabilità dell’esperienza quantistica», ovvero le particelle pur se separate da distanze abissali, fanno parte di una totalità, e si comportano di conseguenza. Il micro e macrocosmo di cui siamo composti e a cui partecipiamo, ha come unica e sola funzione quella comunicativa, che sia energia, interazione, interferenza, forza, vibrazione o quant’altro, la natura si scambia continuamente dati[3], poiché la più piccola parte di un tutto, costituisce il tutto. Proprio per tale ragione, e con altre valenze etiche, la persona umana rappresenta contemporaneamente se stesso (individuo) e il tutto (comunità). Questo preambolo ci è stato utile per rafforzare le nostre convinzioni circa l’importanza delle connessioni e quindi della relazione. La connessione momento dopo momento, ad esempio, traccia la sequenza terapeutica, riproducendo quanto esposto sopra, attraverso il suo continuum di consapevolezza. La modalità, inizialmente più lenta dello psicoterapeuta, dà lo spazio necessario al paziente per avviare i suoi pensieri, e con l’attenzione focalizzata, questo processo diviene sempre più puntuale ed efficace. Questo tipo di sequenze sono certamente il metodo più semplice e al tempo stesso più sicuro per il lavoro in terapia. Con questo approccio, l’individuo percepisce la direzionalità data dalla connessione temporale, riorganizzando i sui pensieri in una concatenazione tra esperienza ed esperienza. Attraverso questo lavoro, si giunge ad una fluidità nella narrazione delle esperienze vissute.
«Credo che l’universo sia un messaggio formulato in un codice segreto, un codice cosmico, e che il compito dell’uomo di scienza consista nel decifrare questo codice».
(Heinz Pagels)
L’insieme degli attimi: l’evento
Il passaggio dalla dimensione temporale, a quella dell’evento, appare naturalmente consequenziale, poiché senza la concatenazione degli eventi tra loro, il nostro tempo non potrebbe assumere quella forma che poi diviene la nostra storia esistenziale, il nostro personalissimo romanzo. Anche questo processo, che a prima vista può sembrare naturale e spontaneo, richiede la capacità di organizzare i pensieri in sequenze logiche congruenti e coerenti tra loro, per essere condivise e raccontate. I romanzi, le novelle, le poesie, le fiabe, la musica ne sono alcuni esempi. Anche la psicanalisi, con le sue caratteristiche peculiari, rientra tra queste, ma certamente la forma più frequente in cui possiamo rintracciare la suddetta dimensione è la normale conversazione. In un contesto a due, lo psicoterapeuta è guidato, grazie alla sua sensibilità, o come dice Polster, dal suo naso raffinato, a seguire le tracce e le parti della storia mancante, per completare, insieme al paziente, l’intera narrazione. Nel gruppo, invece, il racconto di una storia assume immediatamente una valenza diversa, in quanto la persona che spontaneamente decide di narrare una propria esperienza, sente che la sua unicità fa parte di un tutto, dell’intera comunità. Spesso i sentimenti vissuti e successivamente espressi da coloro i quali hanno fatto tali esperienze sono quelli di vivacità e autoaffermazione. Sempre più si va consolidando la convinzione, che le esperienze di tipo comunitarie, vissute in contesti e condizioni sicure, abbiano un potere costruttivo per la persona. Le narrazioni possono avere una funzione terapeutica soprattutto se rapportate al dolore. Molto spesso quando facciamo un’esperienza carica di sofferenza, la nostra mente automaticamente per difendersi si concentra su quell’evento escludendo tutto il resto. Le storie, il racconto di quegli avvenimenti, possono in qualche modo allargare la prospettiva, la visuale di chi in quel momento è troppo concentrato a focalizzare i suoi aspetti negativi. In questo modo, la persona lentamente diviene consapevole dalla sua capacità di cogliere in determinate esperienze, anche dolorosissime, quegli elementi positivi in grado di ristrutturare l’intera esperienza. Rivivere attraverso un racconto un’esperienza, significa che quell’evento era degno di essere vissuto.
La relazione
La relazione rappresenta l’esperienza del noi. Il confine di contatto è uno spazio psicologico, esistenziale, determinato dall’incontro tra sé e l’altro da sé. In quel punto di confine, secondo la psicoterapia della Gestalt, il contatto è sempre attivo. Facciamo questa esperienza continuamente, in qualsiasi istante della nostra esistenza. Il contatto è la fonte per la costruzione della nostra personalità, che si determina già dai primi momenti della nostra esistenza. Anche durante la relazione terapeutica, possiamo osservare come si attua tale processo e quali meccanismi può innescare. Ad esempio, seguendo l’approccio psicanalitico Freudiano, con il contatto, il terapeuta può osservare quel fenomeno denominato transfert. Infatti, ascoltando i racconti dei pazienti, si comprende come il contatto distorto con le figure di riferimento, può produrre comportamenti, difese, atteggiamenti stereotipati che durante la seduta vengono attribuiti al terapeuta. In questo spazio, in cui tale materiale psichico viene espresso, il terapeuta insieme al paziente inizia il suo lavoro di analisi e di elaborazione simbolica interpretativa. Questo modo di amplificare le esperienze, da parte della psicanalisi, è completamente diverso da quello della psicologia della Gestalt. Essa affronta queste distorsioni nel qui-e-ora della relazione, sottolineando e descrivendo le esperienze che in quel determinato set e in quel momento il paziente sta esperendo. Attraverso questo processo di amplificazione, comunque rischioso poiché si può offrire a manipolazioni più o meno coscienti, il contatto viene intensificato, raggiungendo livelli più alti del normale. Per questa ragione, l’aspetto etico, nel rapporto duale, deve essere sempre tenuto nella massima considerazione. Ad esempio, sappiamo quanto l’arte sia capace di allargare i confini della nostra mente, dei nostri giudizi, rendendoci più flessibili e sensibili al resto del mondo. In questo contesto, ognuno avrebbe lo spazio, il tempo e la propria specialità da condividere con tutto il gruppo, in un’esperienza di individuazione ed appartenenza. Cosa si intende con questi termini? Molto spesso alcuni eventi delle nostre storie coincidono a quelle vissute dagli altri. Questo campo comune, questa somiglianza, o la sensazione di percepire le stesse sensazioni nello stesso tempo, fa sì che tale esperienza assuma una valenza fondante. Si vive così quel senso di appartenenza e, nello stesso temo, di individuazione come una danza tra dentro e fuori, figura e sfondo.
Le parti del sé
Un’altra dimensione fondamentale nella terapie è quella del sé.
La terapia della Gestalt del PHG[4] considera il sé come la funzione di stabilire contatto col presente reale e transitorio. Il sé, quindi, non è né una forma rigida né tanto meno un’istanza psichica, ma una funzione. Infatti, l’attività del sé è un processo temporale inserito in stadi che vanno dal contatto preliminare al contatto, e dal contatto finale al post-contatto.
Durante questo processo, il sé può interrompere il contatto creativo con l’ambiente attraverso delle resistenze come la confluenza, l’introiezione, la proiezione, la retroflessione e l’egotismo.
Per chiarire il più possibile il funzionamento dell’organismo in situazione, la psicoterapia della gestalt introduce tre tipicità particolari che il sé utilizza ogni qualvolta vuole soddisfare degli scopi speciali. Tali funzioni sono: l’Es, l’Io e la Personalità.
L’Es rappresenta, nello stadio iniziale, lo sfondo costituito dalle eccitazioni organiche, la percezione indistinta dell’ambiente, le primissime sensazioni che collegano l’organismo al suo ambiente. Stiamo parlando degli aspetti corporei e sensoriali, perlopiù inconsapevoli, nello stadio del rilassamento. La funzione dell’Io è quella d’identificare o di alienare le varie possibilità, intensificando o riducendo il contatto e mobilizzando le risorse necessarie per aggredire l’ambiente.
La Personalità è l’ultima tipicità del sé e rappresenta gli atteggiamenti assunti nei rapporti interpersonali ed è l’assunzione di ciò che l’individuo è. La visione stadiale appena descritta, con la perdita delle funzioni dell’Io e le modalità di interruzione al contatto, spesso in terapia non trova un’applicazione coerente ed efficacie, in quanto la relazione è imprevedibile e difficilmente ordinabile in stadi prestabiliti.
Secondo Polster, il sé è diviso in essenza personale e summa. Per summa si intende la globalità degli eventi, con tutta la loro ricchezza, che compongono la vita. La summa, a sua volta, è strutturata da più strati che sono i vari self che di volta in volta emergono in figura (reale, vero, nucleare, grandioso, ecc.). A queste descrizioni generiche, Polster ne aggiunge alcune più specifiche che divengono identificabili, quando grappoli di esperienze si fondono tra loro. A quest’ultime è possibile attribuirgli un nome contestualizzando in questo modo l’esperienza del self. Ad esempio: c’è il self artistico, quello razionale, quello ambizioso e così via. I self sono la rappresentazione psichica di tutti gli avvenimenti e attraverso un’analisi psicologica, fenomenologica e descrittiva, ci permettono di intuire quali siano le modalità con cui gli individui si percepiscono. I self sono dunque identità multiforme, antropomorfiche, originate dai diversi aspetti della persona a cui l’attribuzione di un nome, di cui sopra, li trasforma in identità descrittive simboliche.
Durante la narrazione di esperienze, la persona è in grado di identificare e nominare quale sia il tipo di self attivato per quella specifica esperienza. Oltre ai self sopra descritti, esistono anche quelli Essenziali (fissati originariamente e che costituiscono la struttura dell’individuo) e quelli denominati da Polster (Polster, 1995) Membri, più flessibili e modificabili. Nella terapia della Gestalt, la visione bifase, ovvero il dialogo tra le polarità del sé, si rivela spesso molto efficace, in quanto la persona può confrontarsi con le sue parti disconosciute, o non accettate, per rielaborarle e possibilmente integrarle. Questo è uno degli obbiettivi principali della Psicoterapia della Gestalt, ovvero riconnettere le immagini sedimentate (del sé) con le esperienze attuali. Il self, senza dubbio, ha un aspetto elusivo e difficilmente inquadrabile, proprio perché non è possibile una conoscenza in sé di questa dimensione. L’attuale introspezione psicologica ha un limite oltre il quale non gli è concesso andare; per fare ciò dovrebbe divenire psicologia della rêverie, ma questo lo rimandiamo a riflessioni future.
Bibliografia
- Guiton J., (1991), Dio e la scienza, Bompiani, Milano.
- Heidegger M., Holzwege, a cura di V. Cicero, Milano, Bompiani, 2002.
- Heidegger M., Lettera sull’umanismo, Milano, Adelphi, 2001.
- Heidegger M., (1970), Essere e Tempo, Milano, Longanesi, 2003.
- Heisenberg W., (1958), Fisica e filosofia, Milano, Net, 2003.
- Husserl E., (1952), Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologia, Torino, Einaudi.
- Menditto M.: Comunicazione e relazione. Ed. Erickson, Trento 2008.
- Menditto M. (a cura di): Psicoterapia della Gestalt Contemporanea. Ed. Franco Angeli, Milano 2010.
- Perls F., Hefferline R.H., Goodman P.: Teoria e pratica della terapia della Gestalt. Ed. Astrolabio, Roma 1997.
- Perls F., L’approccio della Gestalt. Testimone oculare della terapia. Ed Astrolabio,Roma 1977.
- Perls F., La teoria Gestaltica parola per parola. Ed. Astrolabio, Roma 1980.
- Perls F., Qui e ora. Ed. Sovera, Roma, 1991.
- Polster E., Polster M.: Terapia della Gestalt integrata. Ed. Giuffrè, Milano 1986.
- Polster E. Psicoterapia del quotidiano. Migliorare la vita della persona e della comunità. Ed Erickson, Trento 2007.
- Polster E., (1996), La trama: il Sé ricco do accadimenti, Rivista SIGnature, Ed. SIG.
- Polster M., (1996), L’eroismo, Rivista SIGnature, Ed. SIG
- Prigogine I., (1978), La nascita del tempo, Milano, RCS Libri, 1994.
- Prigogine I., (1981), La Nuova Alleanza, Milano, Einaudi.
- Spagnuolo Lobb M. (2012). “Quaderni di Gestalt”, Rivista Semestrale di Psicoterapia della Gestalt, vol. XXV, 2012/2, titolo del fascicolo “La prospettiva evolutiva in psicoterapia della Gestalt”, p. 43.
- Spagnuolo Lobb M. (2011). Il now-for-next in psicoterapia. La psicoterapia della Gestalt raccontata nella società post-moderna. Milano. Franco Angeli.
- Vygotskij L. S., (1934), Pensiero e Linguaggio, Firenze, Giunti – Barbera, 1980.
- Vygotskij L. S., Lurija A., (1931), Strumento e segno nello sviluppo del bambino, Bari, Laterza, 1997.
- [1] L’esercizio della consapevolezza, è uno strumento a disposizione del terapeuta della Gestalt per monitorare se stesso e l’interazione terapeutica oltre che un obbiettivo ideale a cui tende tale terapia. Attraverso un continuum, si evidenzia dove l’attenzione tende a soffermarsi, in quali situazioni si interrompe il contatto e quali parti dell’esperienza vengono tralasciate. Questo processo è utile per comprendere quali livelli percettivi vengono privilegiati, quanto l’attenzione segue le sensazioni fisiche, le percezioni, le emozioni, i pensieri, l’immaginazione, e quanto la persona sia in contatto con il proprio vissuto interiore e con l’esterno.
- [2] Guiton J., (1991), Dio e la scienza, Bompiani, Milano.
- [3] Prigogine I., (1978), La nascita del tempo, Milano, RCS Libri, 1994.
- [4] Sono le iniziali degli autori del già menzionato testo: Teoria e pratica della terapia della Gestalt.