Neuropedagogia Implicata

Neuroscienze.netMetapsicologia e sviluppo psico-affettivo A partire dalla fine della seconda guerra mondiale, la società occidentale si è sviluppata ad un ritmo vertiginoso. Mentre però l’ambito scientifico e tecnologico ha visto incrementare la sua potenzialità in maniera esponenziale, non è stato così per la società che ha creato un ambito fortemente competitivo che ha influenzato negativamente la vita del singolo, della famiglia, del gruppo ed anche del contesto sociale più ampio. La presa di coscienza di questa “verità” si accompagna ad uno sforzo immane per porvi rimedio, ma sembra che ci si trovi sempre inesorabilmente in un vortice di rincorsa, vale a dire che la società non riesce a risolvere i problemi vecchi mentre se ne formano continuamente dei nuovi. Questo stato di cose giustifica per molti versi il perché il soggetto e soprattutto i giovani si trovino in una situazione di stallo, proprio perché vivono momenti di profonda frustrazione di fronte alla complessità ed alla conflittualità della vita quotidiana. Con il tempo, la situazione si è andata vieppiù deteriorando ed è indubbio che si siano create situazioni di difficoltà per le quali non solo il soggetto è entrato in crisi, ma anche la famiglia (che è sempre stata considerata il baluardo della società occidentale) e la scuola. Questa in realtà è stata una Istituzione che ha saputo rinnovarsi, cercando di portare aiuto alla società intera, nella falsariga di forti concettualizzazioni culturali che, a partire dall’illuminismo, hanno posto il baricentro nella struttura conoscitiva dell’uomo e, più specificamente, in una visione razionalistica che ha portato a credere di poter risolvere tutti i problemi con l’aiuto di una “sana capacità mentale”. Il modello conoscitivo-razionalistico non è stato in grado però di affrontare positivamente le trasformazioni profonde di una società sempre più complessa e finalmente ha lasciato spazio allo sviluppo di quella che Goleman ha chiamato “intelligenza emotiva”. Il profondo cambiamento indotto da una concezione più globale e, soprattutto, più centrata sui “valori”, ha permesso di tenere in maggior conto le problematiche delle differenze, della disabilità, del disagio e di tutte quelle reazioni rapportate al trauma ed allo stress acuto e/o cronico. In questa ottica René Zazzo e Romeo Lucioni hanno identificato una lettura neuroscientifica più complessa e più consona alle linee guida tracciate da A. Damasio che ha riconosciuto l’importanza specifica delle strutture cortico­cerebrali frontali e prefrontali. Proprio partendo da questi studi, si è stabilita la differenza tra intelligenza-emotiva ed intelligenza-affettiva. Si è così tracciato un modello dello sviluppo psico-mentale fondato su tre direttrici: la emotiva, l’affettiva e la cognitiva. Con numerosi studi condotti nell’approccio al trattamento della Sindrome di Kanner (quadro definito come “autismo autistico”) Lucioni ha portato a sviluppare la concettualizzazione di “timologia” e di “resilienza”, aprendo la via ad una nuova elaborazione della metapsicologia dello sviluppo, tracciato ormai come sviluppo psico-affettivo, da un lato, e psico-cognitivo. La traccia di questa organizzazione si basa su una visione neuroscientifica che tiene conto sia delle acquisizioni della neuro-fisiologia, che di quelle neuro-psicologiche, psicodinamiche e psico-analitiche. In questo modo si è cercato di dare risposte precise alle osservazioni derivate dalla pratica clinica per il trattamento non solo dell’autismo, ma anche di tutti quei quadri psicopatologici che hanno le loro giustificazioni eziopatogenetiche nelle problematiche derivate da disturbi genetici (sindrome X-fragile, di Joubert, di Dandy Walker, di Down, ecc.), da questioni più sottilmente legate alle dinamiche complesse dello sviluppo (sindrome ADD e ADHD; mutismo essenziale) ed anche quelle più decisamente derivate da traumi o da abusi (sindromi da blocco dello sviluppo psico-affettivo). Il campo dell’analisi delle concomitanti neuro-funzionali e neuro-psichiche ha portato a tracciare un interessante modello dello sviluppo psico-mentale che tiene conto della molteplicità neuroscientifica e che è stato riassunto in uno schema presentato da Lucioni per la prima volta durante vari incontri e dibattiti attivati nella Università di Messina, Facoltà di Scienze della Formazione.


[IMMAGINE: Rappresentazione schematica dei processi dello sviluppo psico-affettivo ]
Questo schema non deve essere letto come “fasico”, nel senso di rappresentare degli scalini o delle tappe che permettono una crescita. L’elaborazione dello sviluppo prevede, al contrario, una modalità spiraliforme che permette momenti di crescita e di regresso, di stasi e di sviluppo ed anche di deformazione, che non devono essere intesi come patologia se non come “diversità” o momenti di “adattamento creativo” che permettono di riprendere il cammino dello sviluppo (sempre che ci siano spinte riparatrici: educative, formative, terapeutiche,
riabilitative, relazionali e sociali).
La rappresentazione schematica supera le ristrettezze e l’eccessivo semplicismo
del paradigma freudiano e permette di evidenziare alcuni temi fondamentali che
caratterizzano lo sviluppo:
− il narcisismo che passa da primario (istintivo e libidico, che si struttura nel concetto di “Ideale dell’Io”) a quello secondario più centrato sul senso di realtà; −       la coscienza ed il pensiero: caratterizzati dal passaggio da una forma concreta (basata sulle percezioni degli oggetti) al altre più evolute: la affettiva e poi la cognitiva;       il sistema rappresentazionale che la disabilità ha permesso di individuare prima come soggettivistico e poi come condivisibile;       la funzione “Nome del Padre”, preconizzata da Lacan e poi posta nella sua strategica importanza nelle dinamiche del superamento dell’Edipo e nella organizzazione di quello che Kohut ha chiamato Sé e che può essere identificato nelle dinamica lacaniana del “Io-Ideale”. L’ultimo passaggio nello schema dello sviluppo psico-affettivo riguarda l’elaborazione delle valenze del “Super-Io” freudiano che, per le ricerche di Alfredo Grande, assume aspetti conflittivi nella visione di un: − “Super-Io applicato” o “Ideale del Super-Io”, che, nella falsariga del “Ideale dell’Io” di dimostra rigido, impositivo, onnipotente e distruttivo, quasi a voler impersonare quella figura virtuale di “Padre-arcaico” gia preconizzata da Freud; −       “Super-Io implicato” che riguarda un modello evoluto, basato sulle dinamiche timologiche che tengono conto dell’Altro, riconoscendone i valori distintivi ed intrinseci. La visione multifattoriale sviluppata con queste complesse osservazioni che tengono conto della molteplicità delle concomitanti che intervengono nello sviluppo del soggetto umano, da un lato dà piena giustificazione alla concettualizzazione di una “mente integrata”, strutturata su elementi emotivi, affettivi, simbolici, cognitivi e concettuali, per altro da un valido background fa affrontare le problematiche della disabilità, ma anche quelle più specificamente conflittive come sono il disagio, le difficoltà relazionali e dell’integrazione sociale. La pratica dell’approccio terapeutico-riabilitativo nei confronti dei soggetti disabili ha portato, proprio per le considerazioni teoriche, a confermare la necessità di interventi multidisciplinari strutturati sulle linee guida della timologia (scienza degli affetti e dei valori) e della resilienza (scienza delle difese capaci di far superare gli stress, i conflitti ed i traumi vissuti nella quotidianità complessa e frustrante). Un ulteriore passo per comprendere l’importanza e la complessità insite nei processi che portano al cosiddetto “sviluppo psico-mentale” (nei suoi aspetti affettivo e cognitivo) possiamo analizzare quelle “trasformazioni” implicite nel concetto di Sé (Kohut) e di Io-Ideale (Lacan).


[IMMAGINE: Metapsicologia e sviluppo psico-mentale ]
Il modello “difensivo” che caratterizza il funzionamento dell’Io (ben preconizzato da Freud che vedeva nell’Io quella funzione psichica capace di mediare tra le pulsioni dell’Es (Ideale dell’Io) e la “legge morale” da lui individuata con molta sagacia ed intuizione, come “Super-Io”. Nell’ambito dello sviluppo psichico l’organizzazione dell’Io risulta troppo rigida e non permette di sviluppare quelle caratteristiche di creatività che sono implicitenei processi di soggettivazione e di identificazione. È proprio per questo che Kohut definisce le caratteristiche del Sé che evidenziano il passaggio da un “sistema difensivo” ad un altro più evoluto che possiamo indicare come “adattivo”. Da questo schema risulta ben chiaro che se un soggetto resta ancorato al funzionamento dell’Io, finisce per evidenziare una sorta di “quadro regressivo” (che non si è evoluto oltre al fatto che possa retroceder come succede, per esempio, nelle patologie demenziali della persona anziana). Il quadro “regressivo” può essere chiaramente individuato nelle sindromi deficitarie (disabilità psichica) che si caratterizzano per la presenza di un “Io­debole” che come “Io-libidico-istintivo” si caratterizza per la presenza dominante di egocentrismo e senso di onnipotenza. In altre parole, si evidenzia come l’Io è bloccato sulla relazione con una realtà interna (libidico-istintiva), mentre il Sé raggiunge quelle valenze timologiche e cognitive che caratterizzano un “soggetto integrato” capace di auto-identificarsi, di far funzionare quegli elementi relazionali e comportamentali che creano l’individuo, la persona ed anche il cittadino. Ludioni parla di una integrazione di “processi” che possono essere riferiti anche come “teorie” che si intrecciano apportando continue modificazioni al funzionamento ed all’organizzazione. Questi processi confluiscono in una capacità elaborativo-relazionale che, rispecchiando gli elementi emotivi, quelli affettivi e quelli razionali, lasciano spazio per poter identificare quelle “funzioni superiori” che caratterizzano momenti dello sviluppo:                 .        teoria della mente                  “ “ seduzione                  “ “ fantasia o della maschera                  “ “ irriverenza (esperienza irridente)                  “ “ simulazione (approccio controfobico)                  “ “ attaccamento                  “ “ oggetto genitoriale                  “ “ resilienza                  “ “ falso Sé                  “ “ consolazione                  “ “ valori (timologia)   la “teoria delle teorie” ha portato Ray Jackendoff a sostenere una “visione di grana fine della modulazione” che si basa quindi su “moduli” che non sono da considerare come “sistemi”, ma come “elaborati” capaci di tradurre ed integrare le informazioni ricevute dal mondo esterno ed anche dal mondo interno (i vissuti). In questa proposta concettuale, l’elaboratore è concepito come innato (potenzialità intrinseca della mente) e capace di una “specializzazione” attivata e portata avanti da una esposizione sufficiente ed efficace di tutti gli input che sorgono dalle percezioni, dalle relazioni, dalle elaborazioni emotive4, affettive e cognitive, consce ed inconsce. Sulla base delle esperienze pratiche della A.I.P.R.E.C. (Associazione Italiana di Prevenzione, Riabilitazione e Cura) per affrontare la disabilità, il disagio e le problematiche dello sviluppo in generale, tenendo conto delle elaborazioni teoriche della metapsicologia e delle teorie dello sviluppo, Lucioni R. ha elaborato un programma di intervento denominato S.A.S. – Self Activating System. Questa programmazione riguarda prima di tutto l’elaborazione di una integrazione multidisciplinare ed interdisciplinare, basate sui principi della timologia e della resilienza. In secondo luogo, sulle basi teoriche di una metapsicologia del funzionamento mentale che tiene conto di una struttura della mente che vincola strettamente i sistemi emotivo, affettivo e cognitivo, riconoscendo l’importanza esecutiva di una intelligenza che rispecchi la funzionalità cerebro-mentale di queste tre valenze accompagnate da una quarta, quella intuitiva, che tuttavia non è ancora del tutto decifrata. Questo background scientifico-culturale è servito per organizzare quegli elementi prassico-applicativi che costituiscono la S.A.S.: − E.I.T.- Emotional Integrating Therapy – che si presenta come una vera e propria psicoterapia basata sul linguaggio e la comunicazione del corpo, rispettando i principi della psicoanalisi e della psicodinamica. Questa applicazione viene usata preliminarmente per raggiungere i prerequisiti necessari per poter lavorare tranquillamente usando altre tecniche riabilitative con tenuta sul compito, attenzione nelle attività, comportamenti adeguati e, soprattutto, una buona relazione interpersonale. −       TyLA-Thymology Learning Approach – che si presenta come un programma di riabilitazione globale ed olistico, fondato sugli affetti e sull’induzione di un “apprendimento” costante che mira a dare spessore all’Io nella sua integrazione sulle dinamiche del Se-Io-Ideale che supportano il superamento delle problematiche edipiche e le delicate relazioni tra il soggetto ed il suo mondo caratterizzato dalle dinamiche del Super-Io e del Suo-ideale che spesso si articola inibendo le spinte creative ed evolutive del soggetto.       Arte-terapia-psicodinamica caratterizzata da un insieme di tecniche applicate per l’espressione grafica. Può essere riferita come un intervento multidisciplinare che risulta di grande aiuto, nell’ambito della terapia e della riabilitazione globale ed olistica di molti quadri psicopatologici. L’applicazione pratica è complessa e richiede una specializzazione degli operatori perché, nel rapporto interpersonale che viene attivato, “succedono molte cose” che richiedono una lettura psicodinamica e psicoanalitica, oltre che una notevole pratica per saper cogliere i cambiamenti che si verificano a livello dei meccanismi di difesa e di adattamento e delle interazioni con gli oggetti della realtà ed anche interni (le figure di riferimento).       Ippoterapia scientifica. Questa tecnica che utilizza il cavallo per sviluppare le sue proprietà terapeutico-riabilitative, è stata trasformata dalla A.I.D.I.R.E. (Associazione Italiana di Ippoterapia e Riabilitazione Equestre) in una applicazione fondata su principi scientifici che richiedono una precisa programmazione studiata sul soggetto e sui bisogni terapeutici e, soprattutto sulla valutazione costante dei risultati per monitorare le attività tenendo conto dei cambiamenti indotti.


[IMMAGINE: Utilità degli interventi terapeutico-riabilitativi nei diversi quadri dello sviluppo ]
Dobbiamo segnalare:                 *        i risultati di tecniche multidisciplinari permettono risultati decisamente positivi, ma tutte le pratiche devono essere condotte da personale specializzato e formato ad hoc con continui aggiornamenti sulle tecniche e, soprattutto, sui contenuto teorici che vengono elaborati partendo dalle esperienze cliniche;                 *        ogni intervento richiede frequenti aggiustamenti, necessari per adeguarsi ai cambiamenti indotti e che, inoltre, richiedono una verifica costante dei mutamenti che si osservano nell’analisi dei meccanismi mentali;                 *        è sempre necessario mantenere stretti rapporti con i genitori e con gli insegnanti che così aiutano a verificare i cambiamenti anche in relazione con le diverse situazioni vivenziali: famiglia, scuola, gruppo sportivo, attività ludico-ricreative, ecc.;                 *        si debbono eseguire controlli periodici con scale di valutazione adeguate, che permettono di monitorare i miglioramenti e gli eventuali regressi che inducono nuove scelte nel quadro terapeutico-riabilitativo;                 *        le esperienze vengono tutte riferite allo psico-terapeuta che così può modulare gli interventi basandosi sui risultati delle scale di valutazione, ma anche sull’analisi psicodinamica dei contenuti. Questo porta ad indurre delle scelte puntuali sui diversi item (anche numerosi) che compongono ognuna delle tecniche applicate;                 *        è fondamentale che i genitori partecipino alle scelte terapeutico-riabilitative perché il loro OK da forza, qualità e verità agli occhi dei figli che si sentono investiti e spalleggiati (Nome del Padre), interessati, al centro dell’attenzione e “valorizzati” nelle loro scelte per crescere, aderendo così al “… desiderio del terapeuta”.   Nel trattamento della disabilità, dei deficit psico-affettivi, del disagio e dei postumi da stress è essenziale sapere quali siano le caratteristiche della struttura psico­mentale e dell’espressività psicopatologica. Per questo non è sufficiente utilizzare il DSM 4° o l’ ICD 10, per cui ogni importante centro di riabilitazione, in rapporto con le proprie esperienze pratiche e teoriche, ha predisposto una sua cheklist. Nel SAS si usano: −       AUTISM E.I.T. TREATMENT outcome checklist       AUTISM behavioral rating list       TYMOLOGY LEARNING APPROACH behavioral rating list       HIPPOTHERAPY behavioral rating list       BEHAVIORAL RATING LIST       TINV – Test di Intelligenza non verbale Queste scale permettono non solo di stilare un preciso “profilo diagnostico”, ma di seguire nel tempo le modificazioni indotte sia dalla terapia-riabilitazione, che dallo sviluppo psico-mentale che si modifica continuamente proprio perché attivato dalla relazione interpersonale. Le valutazioni (che danno scientificità al metodo) sono necessarie proprio perché nella pratica si attiva una profonda interazione tra funzionamenti emotivi, affettivi e cognitivi, proprio perché l’auto-identificazione, strutturandosi come auto­coscienza ed autostima, acquista diverse forme:                 -senso di esistere                 -senso di essere                 -senso di valere come individuo                 -senso di insostituibilità                 -senso di permanenza nel tempo                 -senso di potere                 -senso di avere un proprio ruolo                 -senso di essere normale                 -senso di essere scelti per quello che si é                 -senso di essere accettati in quanto adeguati                 -senso di essere capiti oltre che di capire.   Ricordiamo che la parola “senso” fa riferimento ad una funzione istintiva e che per indicare qualcosa che sia di derivazione razionale e simbolica, usiamo la parola “significato”. Queste considerazioni dimostrano come il lavoro terapeutico-riabilitativo deve risultare integrato in una concezione ampia nella quale vengono sottolineate: − l’importanza della spinta soggettiva verso l’integrazione personale e sociale; − la necessità di un apprendimento attivo e positivo (molto lontano dalla applicazione di un semplice “insegnamento”) sostenuto dal desiderio di essere e di crescere e supportato da autostima e da autosoddisfazione che costituiscono il fulcro della S.A.S. (Self Activating System) che ha come obiettivo la ricompattazione dell’ Io ed il raggiungimento di una valida struttura del Sé attraverso:                  contenimento della “scarica emotiva” e dell’emotività libera;                  sviluppo della funzione affettiva che comprende auto ed etero-autostima (valorizzazione) ed autosoddisfazione (nel potersi relazionale con gli oggetti e con le figure di riferimento), accettazione empatica del feedback, senso di autorealizzazione nelle dinamiche della relazione e della comunicazione;                  organizzazione del “sistema immaginario” che porta a considerare come proprie non solo le percezioni, ma anche le immagini della mente prima del vaglio dell’analisi razionale;                  delineazione di una consapevolezza dei propri processi cognitivi che, basati sull’analisi e sulla deduzione, organizzano il pensiero simbolico elaborato in modo autonomo rispetto ai dati dell’esperienza concreta e di quella affettiva.   I principi guida della SAS si rifanno, oltre alle esperienze terapeutiche condotte con disabili psichici, soprattutto alla clinica del nuovo e del cambiamento che, prendendo lo spunto dagli studi sullo sviluppo psico-mentale, tende a creare le condizioni favorevoli perché il soggetto stesso trovi, attraverso la terapia e le pratiche riabilitative, le strategie utili e necessarie per attivare le capacità auto-organizzative della crescita.     NEUROPEDAGOGIA E COSCIENZA TRIADICA
Intelligenza: emotiva (Q.E.) – affettiva (Q.A.) – cognitiva (Q.I.) Dopo aver parlato di “sviluppo psico-mentale che si compone di sviluppo-psico­affettivo e di sviluppo-cognitivo-intellettivo, non ci resta che affrontare una concettualizzazione centrata sull’intelligenza, cioè quella funzione che dona all’uomo una caratteristica che lo specifizza. L’uomo senza intelligenza si riduce ad un livello primordiale se non proprio con caratteristiche quasi animali. Se però con la parola intelligenza, sino a pochi anni fa, si definivano esclusivamente le qualità razionali dell’essere umano (ricordiamo che Cartesio nel 16.. creò l’aforisma “cogito ergo sum”), oggi si è sviluppata una visione più complessa, olistica e globale, per la quale sono state riconosciute altre qualità omo-specifiche che Goleman ha chiamato “intelligenza emotiva”, mentre René Zazzo e Romeo Lucioni hanno identificato con la denominazione “intelligenza affettiva”. Nella visione attuale delle neuroscienze, possiamo riconoscere quindi:                  una intelligenza emotiva = è una funzione psichica supportata dall’attività del cosiddetto “lobo limbico” che è una struttura arcaica, filogeneticamente primitiva, che viene anche definita come “cervello del serpente”. L’attività è prevalentemente riflessa, determinata cioè da uno stimolo esterno e/o interno, per cui ha un netto significato “adattivo-difensivo”. Il lobo limbico è formato da diversi “nuclei” tra i quali l’ipotalamo che così giustifica la imponente partecipazione viscero-somatica nelle risposte emotive;                  una intelligenza affettiva = riflette l’attività della corteccia e delle strutture frontali e prefrontali. Ha il compito di modulare le risposte emotive e di organizzare l’attività affettiva o dei valori. Con questa, il soggetto raggiunge un senso valorativo del Sé e dell’Altro e struttura un “senso di verità”, importante per organizzare compiutamente il proprio sviluppo psichico;                  una intelligenza cognitivo-intellettiva = è il frutto di una integrazione complessa e modulata delle emozioni, degli affetti e di tutte le componenti percettive e rappresentazionali. Con questo si apre all’attività analitico-deduttiva, del problem solving e di tutte quelle espressioni che rivestono un ruolo simbolico e concettuale.   È chiaro che la suddivisione risponde ad una necessità di ordine nosografico, proprio perché le tre funzioni agiscono sempre insieme, anche se con maggiori o minori prevalenze che determinano la specificità soggettiva che rispecchia il carattere, il temperamento, la personalità, le tendenze, le caratteristiche relazionali di ogni singolo soggetto. Le preminenze del campo dell’intelligenza possono anche essere prese per indicare diversi modelli comportamentali che da un grafico già ampiamente diffuso possiamo riconoscere come: Gli studi sullo sviluppo psico-affettivo ci hanno portato a considerare che le caratteristiche, che soggettivizzano l’individuo, derivano da una configurazione che potremmo anche chiamare “genetica”, ma per lo più vengono organizzate dalle esperienze familiari, sociali, oltre che dalle riverberazioni personali che cambiano a seconda dei “momenti” e dalle “condizioni” che determinano il livello dello sviluppo “psico-affettivo e psico-cognitivo, oltre che dalle “qualità della resilienza”.


[IMMAGINE: Modelli comportamentali ]
Queste elaborazioni sono partite dall’analisi del rapporto tra il bambino e l’oggetto genitoriale (padre + madre) (vedi Lucioni,….) ad esso riferito che per poter funzionare e, quindi, produrre cambiamenti adattivi e creativi, deve superare le dinamiche del “rapporto diadico” (che si appiattisce su un legame adesivo e simbiotico-dipendente), per strutturarsi in una dimensione “triadica” che di per sé induce movimento, scambio e, quindi, “circolazione di parola e di linguaggio”. Per capire meglio questo concetto potremmo parlare di “cervello triadico”:


[IMMAGINE: Cervello triadico ]
che permette la creazione di un “soggetto integrato” nella coscienza, nel pensiero, nel comportamento. La costruzione di questo “soggetto ideale” è sicuramente il frutto delle qualità genetico-strutturali e, in massimo grado, dall’intervento educativo-formativo della famiglia (entrambi i genitori), della scuola ed anche di quelle elaborazioni personali, intrapsichiche ed inconsce, che spesso restano nascoste sia per il soggetto che per le persone a lui strettamente riferite (vedi il caso della personalità). Giustamente Feuerstein riferisce che il cervello non è immodificabile, ma è come una “morbida creta continuamente plasmata”, rispettando le regole di una complessa ed ancora poco conosciuta “plasticità cerebrale”. Il soggetto diventa quindi il risultato: − delle sue qualità genetico-strutturali;
− delle influenze percettive e dei vissuti;
− dell’organizzazione psico-affettiva (che si va strutturando);
− delle qualità intrinseche (intrapsichiche) inconsce;
− dell’integrazione relazionale e sociale;

      dell’apprendimento globale ed olistico che riceve dall’organizzazione
scolastica nell’ordine educativo-formativo.

Di fronte a questo schema euristico-funzionale, dobbiamo pensare che il soggetto per potersi disimpegnare efficacemente nell’ambito della vita sociale e relazionale deve essere accompagnato ed aiutato per raggiungere: −       una adeguata modulazione emotiva, capace di contenere l’eccesso di reattività e la cosiddetta emotività libera (non ancorata o determinata da un preciso input sensoriale);       uno sviluppo sostenuto del sistema affettivo che deve fomentare una equilibrata relazione con il Sé e con gli Altri, rispettando da un lato l’autostima e l’autosoddisfazione, dall’altro l’integrazione sociale, il rispetto dei diritti individuali e delle pari opportunità;       una integrazione cognitivo-intellettiva sufficiente a permettere la crescita delle funzioni analitico-deduttive, di problem solving, concettuali, simboliche, linguistiche, ecc.     INTELLIGENZA INTUITIVA Si parla spesso anche di “intelligenza intuitiva”, ma il tema è stato per lo più snobbato e svalorizzato, forse perché riconosciuto come poco importante dal momento che questo tipo di funzione è stato sempre considerato non razionale e inaffidabile per permettere di trarre delle conclusioni valide e, quindi, in altri termini, può solo essere un po’ infantile. Il lavoro con bambini che presentano deficit dello sviluppo psichico (mentale ed affettivo) ha portato a sperimentare esperienze creative nelle quali possiamo riconoscere la validità o la certezza di un processo di “intelligenza intuitiva” che è ben diversa da quella “emotiva” e da quella “affettiva”. Possiamo riferirci a quelle esperienze nelle quali il bambino non riesce a dare un perché o una giustificazione per una sua affermazione, ma si limita a dire “… però io so che è così, esattamente come lo sto dicendo”. Queste riverberazioni hanno sicuramente un aspetto personalistico ed autoriferito e per questo non possiamo parlare di “intelligenza affettiva” nella quale il significato preponderante è quello che lega alla presenza dell’Altro: il valore di “Lui”. Per altro lato, non è sicuramente un processo “intellettivo” (razionale) proprio perché è privo di valenze analitico-deduttive. Si tratta dunque di qualcosa che sta a metà strada tra l’affettivo ed il cognitivo: − è importante per me e solo per me, anche se coinvolge l’Altro; − non importa che sia ragionevole o “intelligente” proprio perché diventa importante nella sola misura che lo fa una mia proiezione di verità. L’intelligenza intuitiva è qualcosa che integra strettamente alcune caratteristiche dell’intelligenza affettiva con altre di quella cognitiva, perché è: − soddisfacente;
− dà senso di verità oltre che di importanza;
− è libera da dubbi e da ripensamenti;
− tiene conto delle impressioni sensoriali e sensitive;
− acquista parvenze di “certezza cognitiva”;
− viene facilmente riferita come esperienza personale in risposta a particolari vissuti. L’intelligenza intuitiva può essere riferita come trascinante in alcune esperienze anche importanti, per le quali si prendono decisioni anche se poco razionali.                  Prima di tutto i bambini “intuiscono” tutto; si potrebbe dire empaticamente, ma in realtà non si riferiscono a quello che leggono nell’altro, ma in quello che “sentono” dell’Altro o di una determinata situazione.                  I bambini creano anche “modelli simbolici autoriferiti” (questa è la loro partecipazione o creazione simbolica) con i quali “interpretano” una realtà tradotta a loro immagine e somiglianza.                  Nel momento in cui si pensa “… gli (le) voglio bene” in realtà il processo non è, per lo più, di origine razionale. Lasciando a lato quelle espressioni strettamente legate o dipendenti da “sensazioni libidiche forti”, restano comunque un gran numero di scelte “intuitive”, che non rispondono ad una precisa valutazione dei fatti o delle circostanze, ma hanno “un senso di verità” proprio perché “… le intuisco così”. in questi casi, a questo vissuto intuitivo si accompagna spesso anche quell’intenzione nella quale si sente dire “… sono sicuro (a) che riuscirò a cambiare le sue caratteristiche non del tutto positive” (ahimé! quanti errori si fanno dando retta alle intuizioni personali!”.                  Spesso, quando chiediamo un parere a qualcuno, ci sentiamo rispondere con definizioni molto precise, ma, proprio perché intuitive, è meglio non chiedere perché … ne saremmo proprio delusi!!   L’intelligenza intuitiva è dunque: −       una capacità molto importante nello psichismo infantile perché dona sicurezza e possibilità di crescita nella dimensione dell’autostima, dell’autosoddisfazione e di un livello primitivo di resilienza;       una espressione funzionale utile, anche per l’adulto, se viene presa con le dovute precauzioni, sapendo e considerando sempre che la possibilità di errore di valutazione è molto grande. Tutte queste considerazioni fanno pensare all’intelligenza intuitiva come al frutto di complessi processi che attivano diverse aree e funzioni cerebrali che forse hanno a che vedere con quelle attività che entrano in azione nel “sogno” e che ancora non riusciamo a conoscere compiutamente. Come nel sogno, gli engrammi prodotti con l’intuizione non sono precisi, hanno un ampio margine di errore se considerati da un punto di vista economico-razionale-deduttivo; resta però un fatto indiscutibile che questa “intelligenza intuitiva” potrebbe diventare estremamente utile se si potesse scoprire un modo per renderla più attendibile. Con il passare del tempo, questo tipo di intelligenza si affievolisce (e forse resta relegato nel sogno) nell’ordine funzionale globale dello sviluppo psico-mentale e quasi viene abbandonato nell’adulto che lo va sostituendo con processi più consoni ad una “necessità specificamente umana”, che rispecchiano il bisogno di attività mentali più precise, più integrate e più efficaci per raggiungere risultati importanti.     QUOZIENTI DI INTELLIGENZA: Q.I.; Q.E.; Q.A. Il riconoscimento fatto da Goleman dell’importanza dell’intelligenza emotiva, ha già più di una decada e veramente stupisce quanto poco sia progredito il nostro “conoscere” su di un tema tanto importante. Si continua per es. a parlare di Q.E. (quoziente emotivo), senza tenere in conto tutte le osservazioni fatte sul valore dei sentimenti e, quindi, di quell’aspetto particolare che, come intelligenza affettiva, dovrebbe rispondere ad un’altra denominazione: quoziente affettivo- Q.A.. Queste osservazioni presuppongono una notevole difficoltà ad introdurre nuove conoscenze e, soprattutto, di una poca elasticità o decisamente una spiccata forza ossessivo-compulsiva e ripetitiva che tende a mantenere lo statu-quo. Tutte le insegnanti sanno benissimo, anche per intuito, che i piccoli alunni imparano meglio ed anche più in fretta, se il processo educativo si sviluppa in una favorevole atmosfera di accettazione, di accoglienza e di “amore”!. Oggi si parla di mediazione di successo che presuppone l’applicazione di metodi di condivisione, di conforto, di aiuto che permette al soggetto di “aprirsi”, cioè di utilizzare tutte le sue potenzialità anche quelle marginali e/o residue. I metodi di educazione più accreditati si basano chiaramente sulla ricerca dell’autonomia, raggiungibile più facilmente attraverso il contatto visivo e fisico perché il bambino “non arriva a conoscere il mondo attraverso concetti (come l’adulto), ma attraverso le emozioni e l’affetto, suscitando sensazioni positive. Non basta insegnare le cose, bisogna farle “sentire” e produrre “vibrazioni” Bisogna promuovere un meccanismo di apprendimento che sostituisca il semplice e “freddo” insegnamento. Come dice G. Andreis bisogna creare “uno spazio di non sapere” dove il soggetto possa trovare se stesso, le proprie potenzialità, i propri schemi mentali. Non servono assillanti interrogatori, è più utile creare supporti integrativi, attivare competenze, volontà, desiderio, perseveranza, capacità di pensare nuovi saperi. Questo aspetto dell’apprendimento è stato indagato attraverso la “arte-terapia­psicodinamica” e cioè è stata messa in evidenza l’assoluta necessità di immaginario che è creare un linguaggio capace di far circolare “parole”, idee riferibili al Sé che si sta mobilizzando, che accetta di cambiare, di sperimentare nuovi modelli e, fondamentalmente, di rinunciare a quei meccanismi ripetitivi, coatti e frustranti che derivano dal non sentirsi in grado di, non viversi con un atteggiamento di perdono per gli errori e di diritto di sperimentare. Diventa fondamentale creare il piacere di provare cose nuove, di riempirsi di curiosità e di ottimismo. La nostra esperienza con bambini e ragazzi disabili ci porta a ribadire che per stimolare lo sviluppo è necessario: − indurre una incentivazione costante (la noia è micidiale, perché porta a inibizione, a frustrazione e a perdita dell’iniziativa); − evitare le crisi emotive e l’instaurarsi di emotività libera; − portare a credere in se stesso e nelle proprie potenzialità, senza aver paura di prendere iniziative personali; −       ricordare che l’intelligenza è una capacità dinamica che si sviluppa, cambia con interventi appropriati: il migliorare ed il crescere non si insegna, ma possono essere indotti con l’apprendimento di nuove abilità, con il far sviluppare l’immaginario;       spiegare ad un bambino quali sono i suoi meccanismi psico-mentali e psico­affettivi non porta a inibizioni, ma a far crescere le capacità di problem solving, di fiducia in sé, di credere nel proprio sforzo creativo. Il nostro modello di intervento può essere indicato come orientamento pedagogico relazionale. Questa denominazione non significa in nessun modo che non venga tenuta in considerazione l’importanza dello sviluppo psico-cognitivo, simbolico-razionale ed anche elaborativo-concettuale. La nostra filosofia, che si basa sull’esperienza pratica e sull’elaborazione teorica fondata sulla timologia e sulla resilienza, parte però dalla considerazione che la relazione è il fondamento per indurre dei cambiamenti positivi. Anche lo psicologo-pedagogista Reuven Feuerstein non rinuncia a ripetere che si ottengono cambiamenti fondamentali solo utilizzando comprensione, vicinanza, accettazione … lavorare sempre “attraverso me”. I principi fondamentali di una crescita timologica sono: −       contenere ed evitare le “crisi emotive” (ansie e paure) che inducono blocchi e difficoltà nello sviluppo;       indurre un incremento costante delle valenze affettive che significano:                 *        produrre senso di sé, autostima ed auto-soddisfazione;                 *        bloccare le richieste libidico-istintive (il puro piacere) che portano a momenti regressivi, egocentrici ed onnipotenti;                 *        lavorare con la relazione interpersonale per far raggiungere quell’atteggiamento psichico che Lacan ha chiamato “desiderio del terapeuta” che, per l’allievo, significa stringere un vincolo forte con il proprio “Io-ausiliario”;                 *        questo non significa in nessun momento adesività e/o sottomissione, proprio perché l’Io-ausiliario fa parte dell’Io e non dell’Altro, funzione che si ottiene attraverso i processi proiettivi;   −       aumentare la tenuta sul compito attraverso la soddisfazione di sentirsi “capaci” e di proiettare il desiderio dell’educatore su di sé, per farlo proprio nel legame affettivo stabilito e continuamente rafforzato;       non mettere mai la colpa degli insuccessi nel soggetto (il bambino), ma affrontarli dialetticamente, assumendo anche le proprie responsabilità: se diciamo “creare uno spazio di non sapere”, vuol significare appunto che la coppia-educativa (alunno-insegnante) è un tutt’uno nel quale il sapere fluisce, circola, passa in un sistema circolare che cambia continuamente direzione;       stimolare la creatività, la molteplicità rappresentazionale, lo stupore del risultato, la possibilità di comprensione di un qualsiasi “gesto artistico” che sempre è valido perché sempre è un riflesso di una espressione dell’anima trascendente ed intelligente;       creare momenti carichi di immaginario che significano fare circolare la parola in un senso di “parlare di sé”, “parlare di Noi”, come fosse un normale scambio di analisi del transfert;       ricordare sempre che gli affetti non riguardano carezze o “espressioni sentimentali”; gli affetti fanno parte del mondo dei valori, significano cioè trovare nell’Altro quel “senso di importanza” che dona all’Altro il senso di valere, proprio perché Altro, vale nella sua “splendida individualità e specificità”. Nell’approccio educativo-relazionale il fondamento teorico-applicativo si basa sul “creare ponti”, luoghi nei quali succede qualcosa “tra noi” e questo vissuto intimo, neppure spiegabile con un ragionamento, è ciò che con la memoria viene portato via, per essere ri-vissuto e per creare “desiderio”. Questo “desiderio” è il vero significato della “relazione” perché riempie uno spazio di “mancanza” nel quale il soggetto ricrea, ripropone per sé quei momenti che hanno significato un “legame” e, quindi, un “Noi”. “Noi” non va inteso come “bisogno dell’Altro”; sarebbe solamente una dimensione passiva, di dipendenza, di legame diadico. Il “Noi” è quel legame triadico nel quale si scambiano continuamente i ruoli di chi parla e di chi ascolta, all’ombra di una “legge” che è “legge d’amore” perché lega tra uguali, nel rispetto di regole che valgono per tutti, dove ognuno può dire la sua con libertà, sapendo d’essere accettato perché mai si sono verificati o subiti “soprusi”. La “parola che circola” non è imposizione, ma non per questo significa mistificazione del “sapere” di “chi-sa”, di “potere di chi-può”. In questo modo, il soggetto trova nell’Altro l’esplicazione del proprio desiderio di essere (mancanza), del proprio voler crescere (ormai non spaventa più il timore di essere violato per il desiderio di sostituire l’Io-ausiliario, l’Altro che può), del proprio voler imporsi ed essere ascoltato. Il concetto pedagogico, da un punto di vista timologico, tiene conto del fatto che nella relazione non deve essere il docente che “insegna”, ma il soggetto che si apre all’apprendimento grazie ai “ponti d’amore” che il suo “maestro” crea in una relazione del tutto particolare tra il suo sapere-non-sapere ed il desiderio dell’Altro di aderire al suo desiderio che è appunto quello di insegnare. In questa dinamica, è la parola che circola, proprio perché tutti hanno qualcosa da “dire” che è “fare conoscere”, farsi vedere, mostrarsi mentre si guarda e si comprende. In questo modo il “fatto educativo” torna nelle mani del suo “creatore” (il soggetto che pensa, che com-prende, che crea una sua immagine di “apprendista”). Come insegna Giorgio Agamben, si tratta di una “purificazione” proprio perché il “creatore” torna ad appropriarsi di ciò di cui l’osservatore (l’educatore) si era appropriato per metterlo “sotto giudizio”. L’idea di un illuminato potenziamento dei valori e di interesse sul soggetto interessato o, come dice Artaud (Le théātre et son double) “creare … quella idea magica e violentemente egoista, vale a dire interessata”. Il senso timologico della relazione educativa sta proprio in questa ricerca biunivoca del Noi, dell’accettazione reciproca, del rispetto di ognuno dei componenti sotto lo sguardo attento, interessato e propositivo del “Nome del Padre”, sotto l’ombra accogliente della legge dell’Altro, del Totem, che è scambio di potere nella legge, è segno di immissione, di imposizione di un nome e di un co­gnome, è appartenenza che emargina ogni emarginazione, che stimola verso i pascoli luminosi dell’essere, del conoscere, del sapere, del crescere, del divenire, del cambiare continuamente per essere sempre se stessi. All’ombra del Totem, si gettano le maschere perché non servono più, dal momento che ognuno ha appreso di poter essere sempre se stesso, anche nei cambiamenti, negli adattamenti, nell’agire e nell’accettare l’agire dell’Altro, nel rinunciare al piacere libidico-istintivo (regressivo) per poter raggiungere il piacere di essere Sé, di essere finalmente il proprio “Io-Ideale” che può raffrontarsi con le valenze impositivo-regressive dell’Ideale-del-Super-Io. L’errore dell’approccio razionalista sta proprio nel credere che l’unico mezzo per
“far crescere” passi attraverso gli strumenti verbali e concettuali.
La parola non è “dire” è comprensione e scambio ed il bambino possiede ad iosa
la capacità di leggere simbolicamente uno sguardo, un gesto, un atteggiamento.

Al bambino, come ci ha insegnato Lacan, non manca “simbolico”, quello che non c’è é “immaginario”.

Nella nostra ormai lunga esperienza terapeutico-riabilitativa, abbiamo appreso la
nascita del simbolico come il primo passo per creare legame. Il primo segno di
“miglioramento” si osserva quando il bambino “sorride sornione” per “…prendere
per i fondelli”: ti vuol dire “… ma non vedi che ho capito tutto e ti … perché mi
piace stare con te che mi capisci”.
Sappiamo perfettamente che questa è una delle tante “teorie della mente” del
bambino che cresce nella mente affettiva e cognitivo-simbolica.

La concettualizzazione della neuropedagogia-implicata prende fondamento da
studi ed applicazioni che hanno affrontato il tema del disagio giovanile, dei traumi
psichici, dei disturbi dello sviluppo psico-affettivo.
Le basi fondanti della neuropedagogia possono essere trattate sulle seguenti
considerazioni:

A) conoscenza 1) il punto di partenza di ogni considerazione che interessi l’uomo e le sue caratteristiche problematiche deve sempre mettere al centro dell’osservazione il soggetto, l’individuo, la persona. Anche nell’approccio educativo-formativo bisogna quindi partire da chi si ha di fronte, il giovane che … chiede ed anche si domanda. Si tratta di dare delle risposte, ma, prima di tutto è necessario sapere di cosa si tratta, quali siano veramente i mezzi che il giovane usa o può usare. L’approccio neuroscientifico ha portato a sviluppare modalità globali ed solistiche di osservazione e, proprio da qui, sono partiti gli studi che hanno: −       modificato il modello freudiano dello sviluppo psicomentale, arrivando a proporre uno schema molto più complesso;       hanno creato un teorema che tiene conto del narcisismo, della coscienza, del pensiero, del sistema rappresentazionale ed anche di Ideale-dell’Io, di “Nome del Padre”, di Io-Ideale, di Super-Io-implicato, ecc. 2) l’angolo di osservazione, proprio perché centrato sulla persona, è cambiato dal momento che l’oggetto non è più “unitario”, ma “integrato” sulla base delle funzioni strutturanti dello psichismo: l’emotività, l’affettività, l’organizzazione cognitivo-intellettiva. 3) Il soggetto non può essere considerato in se-stesso, ma per essere compreso compiutamente, deve essere visto come inserito in un preciso ambito che lo condiziona e che a sua volta condiziona. Proprio per questo un approccio neuro-pedagogico deve tenere in conto: − il modello di supporto del soggetto con il proprio oggetto-genitoriale; − le relazioni intime con il Super-Io che incide profondamente sul senso di sé e, soprattutto, su quella che possiamo chiamare “relazione con gli oggetti”. 4) Il rapporto educativo-formativo si deve strutturare nell’ordine “implicato” che significa la partecipazione attiva del docente-operatore-Io-ausiliario nella relazione-pedagogica. Si tratta di creare modulazioni e mediazioni che oltre ad essere didattiche, saranno anche culturali, elaborative, propositive, creative, fondate cioè sul principio del rapporto triadico che è specificatamente atto a far circolare la parola e a creare immaginario e linguaggio. 5) Il rapporto educativo è anche inteso come multidisciplinare, proprio perché sempre più deve aprirsi alla molteplicità ed alla complessità (che ormai sono i cardini della società moderna) che però devono prendere l’avvio dai nuovi fondamenti di una comunicazione efficiente ed efficace, che presuppone essere fondata sulla timologia, la resilienza, la mediazione individualizzate ed il diritto alle pari opportunità B) Principi per un intervento efficace. 1) La concettualizzazione psicologica della pedagogia ha portato a strutturare modelli operativi che sono stati imperniati prevalentemente sull’accoglienza che, come ricorda Reuven Feuerstein, rappresentava: − un atteggiamento tollerante verso tutti quegli aspetti considerati “diversi” e che, proprio per questo, dovrebbero essere capiti, nel senso di conosciuti profondamente nelle loro complesse elaborazioni; − una giustificazione “pessimistica” riguardo alle difficoltà ed ai problemi disabilitanti che venivano vissuti come “immodificabili” e quindi connessi, troppo superficialmente, da un lato a questioni genetico-strutturali e, per altro, a dinamiche di personalità che la neuropsichiatria classica pone spesso in un ordine strutturale, vale a dire, ancora una volta, rigide e poco modificabili; − una accettazione giustificata da un incongruo principio di “rispetto dei bisogni personali” come se i cattivi comportamenti dovessero essere sopportati perché espressione di “libertà individuale”. Come dice R. Feuerstein, la anormalità sta nell’accettare questi preconcetti che portano ad imporre un rispetto solo nell’accettazione dell’altro così com’é. Visti i risultati penosi, contraddittori e decisamente negativi a cui si è approdati, è ormai evidente che bisogna cambiare modelli e tenere in maggior considerazione gli apporti delle neuroscienze e di quella che ormai si impongono come neuropedagogia e neurodidattica che hanno come fondamento i principi che rispettano la concettualizzazione dello sviluppo psico-mentale nelle sue componenti neuro-cognitiva e neuro-affettiva. 2) Non si tratta quindi di “accettare la diversità” solo nel senso di “adeguarvisi”, di crederla come “immodificabile”, ma di porsi di fronte al “diverso” con il proposito di produrre modificazioni, di indurre cambiamenti. Questo atteggiamento tiene conto di: −       si è potuto dimostrare che la plasticità cerebrale, in molti suoi aspetti, si mantiene a lungo negli anni e si può dire che modificazioni possonoessere indotte anche nella vecchiaia;       i cambiamenti attivi possono essere raggiunti solamente con metodiche specifiche che richiedono specializzazione, ma, prima di ogni altra cosa, una sicura “fermezza”;       il bambino, sin dalla più tenera età, va organizzando una sua simbolizzazione del rapporto interpersonale con le figure di riferimento, che è condizionata dalle proprie spinte libidico-istintive che riflettono per lo più una organizzazione narcisistica primaria, dominata da un senso egocentrico-onnipotente;       se l’onnipotenza narcisistica non viene contenuta con decisione si organizza un modello intrapsichico di funzionamento impositivo, aggressivo e violatorio che blocca il normale sviluppo timologico, psico-affettivo e relazionale che prende l’avvio a partire dai due anni (A. Damasio). C) La relazione triadica Lo sviluppo psichico che si instaura a partire dall’entrata in funzione (maturazione) delle strutture corticali frontali e pre-frontali, significa aprire definitivamente alle dinamiche della relazione, degli affetti e dei valori, dell’organizzazione sociale. Il soggetto (con le sue parti intime, consce ed inconsce) si presenta all’incontro con situazioni nuove e complesse che superano le relazioni diadiche (che sono per lo più adesive) per instaurare dinamiche triadiche nelle quali circola la “parola”. Proprio perché si instaura un linguaggio si può riprendere uno schema illustrativo:


[IMMAGINE: Relazione con l’oggetto-genitoriale ]
che riprende “l’antica” relazione con l’oggetto-genitoriale (madre + padre) che unisce parti “creative” con parti “falliche”, nelle quali liberamente ed alternativamente il soggetto può identificarsi, oppure “deve identificarsi” per poter scoprire i modelli capaci di integrare la propria organizzazione psico-affettiva e psico-cognitiva.È nell’equilibrio di queste identificazioni che il soggetto può scoprire le proprie parti contrapposte, ma unite in una integrazione dinamica che porta a creare un soggetto integrato. In questa relazione triadica, da una parte viene creato linguaggio, m nell’insieme si genera una dimensione nuova che apre al trascendente. Trascendere è passare oltre al sé ed alle parti che lo compongono (falliche e creative; paterne e materne), non limitandosi a vivere nel presente, a considerare le parti di una storia (che possono essere buone o cattive), ma arrivare a scoprire quella “luce immutabile” che è in ciascun soggetto e che rappresenta la parte vera e vitale del Sé e che possiamo anche chiamare immaginario. D) Neuropedagogia-implicata A questo punto sembra del tutto naturale, implicito, che dallo studio del soggetto (capire il funzionamento partendo dalla conoscenza sulla organizzazione dello sviluppo) si giunge a considerare la possibilità di una integrazione nella quale il soggetto trova uno spazio relazionale nel quale scoprirsi, conoscersi e riconoscersi nel desiderio, nel pensiero, nel divenire dell’Altro. Questo aspetto pedagogico può essere chiam

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