La ROT è una tecnica riabilitativa molto diffusa nelle RSA. Il suo grande successo è dovuto anche alla facilità di somministrazione da parte di tutti gli operatori. I primi deficit dei pazienti con deterioramento cognitivo generalmente vertono su difficoltà mnesiche e disorientamento spazio-temporale. Di conseguenza l’obiettivo è stato di intervenire proprio su questo deficit, su questa perdita funzionale, cercando di arginare il più possibile il “distacco dalla realtà”. Ma di che realtà stiamo parlando? La realtà di chi? Ed è veramente utile questo ri-orientamento?
Le origini della ROT
La tecnica riabilitativa nota come “Terapia di Riorientamento nella Realtà” (ROT dalle iniziali del termine anglosassone di Reality Orientation Therapy) è stata elaborata ed introdotta alla fine degli anni ’50 presso il Veterans Administration di Popeka (Kansas, USA) e definita nei suoi contenuti metodologici negli metà degli anni ’60 da parte di Taulbee e Folsom. La ROT è stata sviluppata per trattare i veterani di guerra che presentavano confusione mentale. Solo successivamente l’intervento è stato destinato alla riabilitazione di pazienti con deficit mnesici, episodi confusionali e disorientamento temporo-spaziale.Il principale obiettivo della ROT consiste nel riorientare il paziente, per mezzo di ripetute stimolazioni, rispetto alla propria storia personale, all’ambiente ed al tempo. Questo obiettivo può essere perseguito tramite due modalità di intervento fra loro complementari: ROT informale e ROT formale (o ROT in classe). La prima consiste in stimolazioni ripetute di riorientamento spazio-temporale effettuate nel corso della giornata durante le varie occasioni di contatto con il paziente da parte degli operatori sanitari o dei familiari. La ROT formale invece viene rivolta ad un gruppo di 4-6 soggetti omogenei sul piano della compromissione cognitiva, per circa un’ora al giorno, in un ambiente idoneo, il più possibile simile a quello di una abitazione, ed è condotto da personale appositamente preparato.
La ROT nelle Case per anziani
Attualmente la ROT è uno degli interventi riabilitativi più diffusamente impiegati con i pazienti affetti da demenza nelle RSA. Il razionale di questa tecnica si basa sul far riacquistare una funzione persa (l’orientamento) o quanto meno rallentare la perdita del contatto con la “realtà” (per esempio imparando a rispondere correttamente alle domande che giorno è oggi? o in che via si trova la tua casa?). Questa è una tecnica abbastanza “incalzante” e pervasiva (vengono coinvolti anche i familiari nel ripetere numerose volte le stesse domande) producendo una situazione in cui l’ospite si trova inondato da domande che giorno è? che ore sono? in che città ci troviamo? ecc… Purtroppo il paziente affetto da demenza in fase moderata-severa non riesce più a rispondere alla maggior parte delle domande che vengono fatte. Questo comporta una serie di frustrazioni con il rischio di reazioni avverse quali sentimento di incapacità, malumore, reazioni aggressive, riduzione di eloquio spontaneo, tendenza al ritiro sociale. Il paziente non si ricorda che giorno è, non si ricorda nemmeno che quell’operatore gli ha fatto la domanda 20 volte nello stesso giorno, ma l’emozione negativa, quella persiste nel tempo.
Una proposta
Che cosa fare allora? Evitare ogni atteggiamento attivo?
Assolutamente no. Bisogna adottare una strategia che tenga conto dei deficit cognitivi e delle possibilità realistiche di orientamento del paziente nella sua specifica fase di malattia. Se non è possibile orientarlo alla nostra realtà, andiamo noi nella sua, accompagniamolo nel suo mondo. Lì non esiste frustrazione e senso di incapacità. Probabilmente ci racconterà che dovrà tornare a casa dai figli perché deve preparare loro la cena. Questa è la sua realtà, il mondo possibile in cui lui sta vivendo. Questo è il suo mondo e noi possiamo accedervi avendo come obiettivo una conversazione felice nel qui ed ora dell’incontro. L’obiettivo cambia. Non più un ri-orientamento impossibile e frustrante ma una conversazione felice nel qui ed ora. Allora quando l’ospite rivedrà lo stesso operatore che è riuscito a intrattenere una conversazione felice scatterà un sorriso, anche se non ricorda i contenuti delle conversazioni precedenti. L’ospite, inoltre, sarà più propenso a collaborare all’attività assistenziale perché si è instaurata una relazione felice con l’operatore. Secondo questa prospettiva, la stimolazione cognitiva che possiamo fare con questi malati consiste nel riconoscere e favorire l’uso delle competenze che ci sono piuttosto che nel tentativo di recuperare quelle irrimediabilmente perdute. E’ per questo motivo che molti operatori (io sono tra quelli) non applicano la ROT con una modalità rigida che può risultare martellante e frustrante, ma la adattano, facendo attenzione alla relazione che si instaura tra operatore e paziente in modo da favorire un’alleanza terapeutica e una relazione capacitante.
Bibliografia
• Vigorelli P., Ullo A. Dall’approccio riabilitativo a quello capacitante. In: Di Nuovo S., Vianello R. Deterioramento cognitivo: forme, diagnosi e intervento. Una prospettiva life span. Pag. 147154. Franco Angeli 2013.
• Vigorelli P. (a cura di) La conversazione possibile con il malato Alzheimer. FrancoAngeli 2004