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I disturbi nevrotici, le depressioni, la patologia psicosomatica, i ritardi di crescita
Da sempre nei nostri scritti veniamo sottolineando la fondamentale importanza che assume l’approccio poligenico- neuropsicologico, psichiatrico e pediatrico- nello studio delle fasi più precoci della vita del bambino.
Partendo da questa essenziale prospettiva, il presente lavoro ha lo scopo di individuare le linee dello sviluppo normale e patologico del bambino, analizzando i disturbi nevrotici, le depressioni, i ritardi di crescita e le diverse patologie che si instaurano durante l’infanzia.
Nel campo dei disturbi d’ansia, i tratti personali e comportamentali delle figure parentali assumono una cruciale funzione nella formazione di sindromi psicopatologiche.
L’orientamento più accreditato tra gli studiosi è che i disturbi del bambino “costituiscono il sintomo della famiglia”, sono l’effetto di “difficoltà” della madre, o di disarmoniche interazioni personali (Lebovici), per cui la proposta di una terapia familiare ha il mandato di “sostenere” anche il bambino.
L’esame deve riguardare il soggetto, i suoi sintomi, l’interazione tra la madre e il bambino, la personalità del padre e il contesto familiare. I disturbi dello sviluppo neuropsichico sono quelli che si verificano a partire dalla nascita e concernono la motricità, il linguaggio, l’adattamento, la socializzazione. I disturbi psicosomatici possono riguardare numerosi organi con una “predilezione” (Kreisler) per le funzioni del sonno, digestiva e respiratoria.
Lo sviluppo psichico è strettamente legato alla regolazione qualitativa e quantitativa degli “scambi” tra madre e figlio. In particolare, una congruente “omoeostasi psicosomatica” si realizza attraverso: a) la pienezza dei rapporti psicoaffettivi; b) la flessibilità dell’adattamento ai bisogni del bambino; c) la stabilità della relazione genitoriale.
I principali sistemi psichici della somatizzazione si instaurano sin dai primi mesi di vita. L’ipereccitamento, ad esempio, si esprime attraverso disturbi biologici quali coliche, colon irritabile, vomito, spasmo del singhiozza, disturbi del sonno; mentre la depressione si manifesta con disturbi, come anoressia, mericismo, insonnia, asma, infezioni, ritardo di crescita.
A loro volta, i disturbi fobico-ansiosi quali l’angoscia di separazione, le fobie alimentari, la defecazione, la paura dell’estraneo sottolineano il problema delle “organizzazioni nevrotiche precoci”. Anche le psicosi precoci sono riguardate non solo come una forma di danno organico o cerebrale, ma quali disarmonie di esperienze affettive (Misès). Tutto ciò pone il problema della classificazione della patologia del bambino e dell’adolescente.
Uno dei primi tentativi di organizzazione è lo studio elaborato da Greenberg, il quale sviluppa una lista di una cinquantina di comportamenti atipici del bambino legati agli atteggiamenti e alle personalità nevrotiche della madre.
La classificazione della psicopatologia dell’infanzia comprende: disturbi reattivi; disturbi dello sviluppo; disturbi psicofisiologici; disturbi dell’attaccamento; perturbazioni delle relazioni genitori-figli, disturbi del comportamento; fattori etiologici ambientali; fattori genetici; disturbi della comunicazione (linguaggio).
Le nuove classificazioni delle malattie mentali e psicopatologiche preferiscono evitare il termine “nevrosi”. L’ansia costituisce la caratteristica clinica preminente nei disturbi d’ansia, che comprendono il disturbo da attacchi di panico, i disturbi fobici, il disturbo ossessivo-compulsivo, il disturbo d’ansia generalizzato e il disturbo post-traumatico da stress.
L’ansia nel bambino viene elaborata a partire dalla comparsa degli spetti conflittuali nelle relazioni precoci e dalla necessità in cui il soggetto si trova di superare uno spazio buio, da cui derivano gli incubi e le fobie (lupi, leoni, ecc.).
E’ stato René Spitz a rilevare l’esistenza abituale di un comportamento di angoscia durante il terzo mese di vita. Il lattante in braccio alla madre si ritrae intimorito all’avvicinarsi di un’altra persona. Durante l’ottavo mese, per Lebovici, compare l’angoscia definita come “fobia del viso dell’estraneo”. Si tratterebbe della prima fobia, che avrebbe la funzione di elaborare l’angoscia di separazione. Per il bambino, l’allontanarsi della madre vuol dire “perdita e separazione”, mentre l’arrivo dell’estraneo significa “scomparsa o pericolo di scomparsa della madre”.
L’angoscia di separazione, che è molto precoce, provoca disturbi funzionali quali quelli del sonno e dell’appetito, i sogni angosciosi, gli incubi e i terrori notturni, la fobia scolare. L’inizio già nei primi anni di vita della nevrosi infantile pone il problema della sua individuazione precoce e delle circostanze che hanno determinato i primi sintomi.
L’angoscia dell’ottavo mese inoltre può risultare esasperata in modo drammatico dalla rottura del legame materno, fatto che comporta “la depressione anaclitica” del lattante (Spitz). Il termine “anaclitica” indica l’importanza della relazione con la madre nel primo sviluppo e sottolinea la causa del disturbo, che è per l’appunto una “rottura” del legame madre-figlio.
Questo fenomeno depressivo determina la comparsa e lo sviluppo di disturbi quali il rifiuto dell’ambiente, pianti e grida, tristezza, gemiti e l’isolamento, una condizione cioè di stupore indifferente con assenza di risposta agli stimoli (distacco depressivo). Questo quadro comprende poi un calo del quoziente di sviluppo e una moltiplicazione di malattie fisiche.
Le forme più gravi della sindrome della carenza di cure materne sono caratterizzate da “stupore, ebetudine, siderazione. Il bambino sta seduto immobile o coricato con il corpo ripiegato, di schiena con il volto fisso in una rigidità glaciale, lo sguardo vuoto, come sordo e cieco all’ambiente.
Le componenti psichiche essenziali della malattia depressiva del bambino sono: atonia affettiva, timica, inerzia motoria; povertà della comunicazione interattiva; vulnerabilità psicosomatica.
Molte depressioni si verificano non soltanto con la separazione, ma anche con una madre presente fisicamente e assente sul piano psico-affettivo nel contesto di una situazione di ansia e depressione della madre, di un lutto o di un rifiuto.
La personalità dei genitori spesso è caratterizzata da gravi disturbi, spesso vittime a loro volta nell’infanzia di frustrazioni e rifiuti. Il ruolo materno è perturbato, l’ambiguità dei sentimenti materni va da un bisogno di “contatto” a una “incapacità” di contatto.
In verità, lo studio del bambino rivela un’ampia serie di situazioni patologiche, che vanno da quelle psicosomatiche ai disturbi dello sviluppo e del comportamento ai disturbi deficitari. Non vi è dubbio che la più diffusa delle applicazioni cliniche nella psicopatologia dell’infanzia è quella psicosomatica. Questa patologia può interessare parecchi organi e si occupa di disturbi organici la cui origine ed evoluzione sono di origine prevalentemente psicologica.
Il pediatra viene continuamente consultato per difficoltà di appetito e di sonno, disturbi digestivi, asma, otiti e bronchite, dolori addominali, coliche, diarrea, stitichezza, laringospasmo. L’omeostasi psicosomatica del bambino viene assicurata da una interazione madre-figlio fondata dalla “pienezza affettiva”, dall’ “elasticità” dei rapporti interpersonali e dalla “stabilità” della relazione oggettuale (Kreisler).
L’inadeguatezza di questo processo di interazione comporta la patologia psicosomatica caratterizzata da disturbi funzionali quali l’anoressia, il vomito psicogeno, la ruminazione. Un’altra patologia somatica, in opposizione a quella della carenza affettiva concerne l’ “eccesso di eccitazione” e i comportamenti iperprotettivi, i quali determinano in assenza di una “barriera agli stimoli” (Freud) “gran parte della patologia psicosomatica”, come l’anoressia, la stitichezza, l’asma, l’eczema.
L’insufficienza relazionale cronica, le incoerenze comportamentali e le discordanze della relazione affettiva generano disturbi di varia natura: insonnie gravi, infezioni, alopecia, poliartrite. Nella patologia psicosomatica del bambino vengono compresi i disturbi di tipo nevrotico, fra i quali le perturbazioni ansiose e fobiche. I tratti strutturali della personalità di questi bambini riguardano: grande fragilità, intensità dei bisogni affettivi, intolleranza nei confronti delle situazioni conflittuali.
L’eczema descritta da Spitz e l’asma osservata da Kreisler e Soulè sono sintomi ed espressioni dell’instabilità delle cure materne, della personalità di madri “iperprotettive” o del conflitto tra i genitori.
I bambini esposti a questi stati di disorganizzazione affettiva presentano disturbi del comportamento, compromissione dello sviluppo, disturbi cognitivi e dell’organizzazione spazio-temporale e anomalie nei processi di identità personale, creando nei soggetti una grave condizione di “vulnerabilità psichica e somatica”, e dando vita a forme psicocliniche fobiche, depressive e psicotiche. I disturbi del sonno e dell’addormentamento rappresentano un chiaro sintomo di un disturbo dello sviluppo psichico ed evidenziano l’importanza della funzione materna nel processo dell’interazione con il bambino.
I fattori responsabili della comparsa dei disturbi del sonno vengono individuati in un atteggiamento materno ambivalente, una depressione nella madre, l’esigenza di dormire con i genitori, una discontinuità e imprevedibilità dell’atteggiamento materno. Una madre stanca e irritabile, una malattia o le vaccinazioni, i cambiamenti alimentari, l’insufficienza nella qualità delle relazioni interpersonali possono dare origine a queste patologie.
Le carenze affettive, la privazione di una presenza materna equilibrata e affidabile, l’irregolarità dell’investimento affettivo da parte dei genitori sono all’origine della comparsa di altri disturbi, come il mericismo o ruminazione caratterizzato da rigurgiti seguiti da rimasticazione. Anche il vomito psicogeno rientra nella patologia psicosomatica e viene spiegato da alcuni autori ( Spitz, Kreisler e Soulè) come il prototipo del processo di proiezione, in base al quale il bambino allontana da sé, vomitandolo, tutto il contenuto gastrico, il quale viene assunto simbolicamente dal bambino come aspetto “cattivo” della madre, aspetto che può manifestarsi attraverso l’aggressività o le emozioni sadiche.
Un altro importante capitolo della patologia psicosomatica è costituito dalle colopatie funzionali, che si manifestano con dolori addominali, stitichezza, spasmo colico, colite spastica, coliche addominali, diarree, colon irritabile. La causa più frequente delle diarree nel bambino è dovuta alla sindrome del colon irritabile.
Nella letteratura pediatrica è ampiamente evidenziata l’importanza dei fattori emotivi relativi alla relazione nella sua continuità, alla “irregolarità” delle persone che si occupano del soggetto, all’attenzione ossessiva della famiglia alla funzione evacuativa, ai problemi della fase anale. La colica che viene descritta dagli studi pediatrici nordamericani non presenta spiegazioni univoche. Gli organicisti riducono semplicemente e riduttivamente le condizioni patogene alla “intolleranza alimentare” e all’ “allergia”. E’ stato Spitz a promuovere una fondazione psicosomatica della sindrome, la quale viene iscritta nella patologia interattiva dell’iperprotezione e dell’eccesso di eccitazione e dell’instabilità emotiva della madre, delle sorelle o della nonna, figure che possono esporre il bambino a “variazioni” del ritmo di vita che compromettono il suo sviluppo emotivo e la regolarità dei suoi ritmi di crescita.
Spitz sottolinea l’importanza della funzione materna, descrivendo un suo atteggiamento ansioso, aggressivo e iperprotettivo (Spock). In questi casi, l’utilizzazione dei farmaci, che è “puramente sintomatica” e “non permette di capire la realtà del problema” è contestata. L’approccio elettivo è infatti rappresentato dal trattamento psicoterapeutico di genitori e bambino.
Un altro settore fondamentale della psicopatologia del bambino è costituito dai “ritardi di crescita”. Da tempo è nota l’influenza diretta dell’ambiente sul “rallentamento” della crescita.
Una delle modalità di insorgenza dei disturbi della crescita è originata da alcuni “ambienti sfavorevoli” dal punto di vista emozionale e psico-affettivo. Questi condizionamenti sono in relazione con fattori “nutritivi”. Sembra chiarito che una volta neutralizzati i deficit nutrizionali, i fattori psico-emotivi ed affettivi da soli possono essere “responsabili” dei ritardi della crescita “staturale” (Royer).
La situazione di carenza affettiva, l’assenza o la rottura dell’interazione madre bambino possono provocare un quadro clinico in cui sono presenti “l’arresto della crescita staturo-ponderale”, l’insufficienza dello sviluppo psico-motorio, forme di aggressività, stereotipia e comportamenti conflittuali nei confronti dell’ambiente familiare. A questo quadro vanno aggiunti disturbi cognitivi e della personalità e un nanismo da “carenza psico-affettiva”, nonché disturbi del sonno, polifagia, polidipsia e diarrea. Va da sé che in presenza di un bambino con un ritardo di crescita occorre fare riferimento alle cause organiche dei ritardi di crescita, che sono in realtà numerose e difficili da identificare.. I fattori causali più frequenti sono correlati a disturbi del metabolismo, a turbe ormonali, ad anomalie antenatali.
I rischi che i bambini “vulnerabili” devono affrontare sono dovuti anzitutto al patrimonio genetico e alle conseguenti difficoltà di sviluppo. Diverse forme di fragilità si esprimono poi in presenza di una inadeguata strutturazione dell’interazione, in talune condizioni di vita familiare sul piano culturale e socio-economico.
Secondo Soulé e Noel i seguenti fattori di rischio sono alla base di patologie psichiatriche: difficoltà di addormentamento, incubi, salute cagionevole, rinofaringiti, bronchiti, otiti, ricoveri, crisi di rabbia, scarso appetito, non tenere a un oggetto “transazionale”, non giocare mai da solo, tendenza agli incidenti, prendere sedativi. In sostanza, la vulnerabilità psicologica designa l’insufficiente capacità di resistere ai traumi.
Invero, il “controllo sul bambino costituisce una costante da parte dei genitori che spesso evidenziano comportamenti “ossessivi o paranoici”. Il processo di interazione è caratterizzato da “perfezionismo, ordine, pulizia, rigore morale” (Rouyer). Talora, la nascita del figlio è vissuta come un “errore”. Le cure sono prestate a “ore fisse”, senza scambi “piacevoli”. La tenerezza diventa un rito e il bambino soffre di carenze affettive. La rigidità comportamentale di questi genitori e la loro povertà affettiva sono da essi giustificate con l’esigenza di “educare” o “correggere” il bambino. Si tratta di genitori che presentano una componente depressiva, soggetti che hanno voluto il figlio per “colmare” un “vuoto affettivo”.
Dall’esame finora condotto, emerge fortemente come la figura della madre abbia un ruolo fondamentale nello sviluppo del bambino. La letteratura psichiatrica infantile, la psicologia, la psicoanalisi e la pediatria sottolineano infatti che le “prime manifestazioni psichiche” esprimano la realtà della “cellula diadica” madre-bambino. In particolare, Winnicott sostiene che la madre costituisce un “Io ausiliario” le cui funzioni sono “necessitate, previste e sollecitate dalla condizione bio-psichica del lattante”.
Lo sviluppo normale e patologico del bambino, secondo i maggiori autori, deve essere esaminato, tenendo presente il modello “fusione e separazione” della cellula madre-bambino.
L’approccio clinico ai disturbi del bambino viene assunto come un’analisi delle prime dinamiche interpersonali per aiutare il paziente a riprendere il suo naturale percorso evolutivo. In questa direzione, vanno le ricerche di John Bowlby, Winnicott, Mahler e gli studi di Lorenz e Timbergen per l’assoluta rilevanza che essi affidano alla relazione madre bambino nei primi anni di vita.
La ricerca etologica degli Harlow mostra come il bambino e i piccoli delle scimmie si comportino in maniera molto simile quando vengono sottratti alla madre. In entrambe le situazioni, il piccolo interrompe il proprio comportamento di “esplorazione” e tende a isolarsi in un angolo, Se il soggetto viene di nuovo a contatto con la madre, il comportamento di “attaccamento” diventa intenso e il piccolo “accentua” le richieste di contatto fisico con la madre.
Il comportamento di “attaccamento” risulta dunque funzionale alla “sopravvivenza” dell’individuo e della specie al pari dell’istinto alimentare e di quello sessuale. Ciò dimostra che la crescita “non può aver luogo” senza un premuroso adattamento ai bisogni del bimbo. Il “contenimento materno” funge da “pelle psichica” (Winnicott) del bambino, consentendo in tal modo la sua crescita. Diversamente, egli può “non pervenire al raggiungimento di una piena autonomia” e di una personalità sana.
Di fronte a questo ampio, complesso e difficile quadro psicopatologico dell’infanzia, l’imperativo categorico che si pone a psicologi, pediatri e familiari è quello di individuare il più precocemente possibile qualsiasi ostacolo nello sviluppo del bambino, e diagnosticare ogni anomalia che possa provocare un ritardo dello sviluppo bio-psichico. L’attività di sostegno e di psicoterapia nei confronti dei genitori poi ha lo scopo di “riequilibrare” il ruolo di ciascuno e di assicurare la salute mentale del singolo e del gruppo.
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