DALLA CONOSCENZA ALLA DIPENDENZA, PASSANDO PER L’ABITUDINE
Abstract
La leggimo sui giornali, l’ascoltiamo in tv, qualche volta lo abbiam utilizzato anche noi, ma a cosa si riferisce il termine “dipendenza”? Utilizzo del termine proprio o improprio? Processo semplice o complesso? Domande particolari per un argomento sempre molto attuale nella nostra società, anzi addirittura in continua evoluzione. Rispolverando il vocabolario ci accorgiamo che questo sostantivo femminile indica un rapporto di subordinazione in vari ambiti. Sembrerà strano, eppure utilizzando il termine “dipendenza” siam partiti dalla fine, infatti il punto di partenza è un altro, ossia la conoscenza. Ebbene si per arrivare ad una dipendenza vengono innescati alcuni processi semplici, ma non frivoli, quali la conoscenza e l’abitudine.
Per quanto concerne la prima va ricordato che anche la Bibbia, scritta secoli e secoli fa, ci parla di dipendenza dal creatore e di conoscenza di male e bene. Quindi bisogna riflettere sul fatto che conoscenza e dipendenza non hanno in comune soltanto l’essere entrambi sostantivi femminili, ma ben altro. Per quanto riguarda l’abitudine bisogna inquadrarla come un terreno fertile per innescare il processo di dipendenza e quindi si potrebbe parlare di abitudini di dipendenza.
Le abitudini sono comportamenti automatici, ripetitivi e spesso inconsci che vengono messi in atto regolarmente. Sicuramente possediamo già un buon pacchetto di abitudini, alcune utili altre probabilmente un po’ meno.
Questo avviene perché il cervello è costantemente alla ricerca di una maggiore efficienza. Quando iniziamo per la prima volta un nuovo compito il nostro cervello lavora duramente per processare le tonnellate di nuove informazioni, ma una volta che l’ha compreso il comportamento inizia a diventare automatico e l’attività mentale richiesta per quell’attività diminuisce drasticamente.
In generale, questo processo porta a grandi vantaggi in termini di economia cognitiva ma d’altra parte può rendere molto difficile spezzare le vecchie abitudini già acquisite. Prova a pensare a quanta concentrazione ti ci è voluta la prima volta che hai imparato a parcheggiare o anche la prima volta che hai imparato ad allacciarti le scarpe o ancora la prima volta che hai preparato un caffè. Adesso prova a paragonarla con lo sforzo mentale che fai per compiere queste attività ora. Molto meglio ora, no?
L’uomo ha bisogno di conoscere e nel conoscere dipende dalle proprie novità. Dalla conoscenza arriviamo all’abitudine, dall’abitudine alla noia, dalla noia si passa alla ricerca del nuovo. Questo processo viene amplificato, se collocato in un un’epoca come la nostra dove tutto scorre in modo veloce tra gli infiniti stimoli che la società ci offre
Nella prima metà del 1700 Samuel Johnson , scrittore britannico, scriveva: “In genere le catene dell’abitudine sono troppo leggere per essere avvertite finché non diventano troppo pesanti per essere spezzate” .
Alcuni esempi di abitudini legate ad autori famosi:
- – Immanuel Kant faceva sempre la sua passeggiata alle tre e mezza (era così puntuale che i vicini potevano regolare l’orologio).
- – Marcel Proust si svegliava tra le tre e le sei di pomeriggio.
- – Beethoven si svegliava all’alba e preparava lui stesso il caffè, contando ogni mattina 60 chicchi per tazza.
- – Albert Einstein amava suonare Mozart al violino durante le escursioni di birdwatching (osservazione degli uccelli).
- – Honoré del Balzac beveva fino a 50 tazze di caffè al giorno.Quest’ultimo sosteneva che: “nessuno osa dire addio alle proprie abitudini. Più di un suicida s’è fermato sulle soglie della morte pensando al caffè dove andava a giocare tutte le sere la sua partita a domino”.
Il motivatore Brian Tracy sostiene che le persone di successo sono semplicemente quelle che possiedono abitudini di successo.Per dipendenza si intende una alterazione del comportamento che da semplice o comune abitudine diventa una ricerca esagerata e patologica del piacere attraverso mezzi o sostanze o comportamenti che sfociano nella condizione patologica. L’individuo dipendente tende a perdere la capacità di un controllo sull’abitudine. La dipendenza può essere fisica o
psicologica. La prima si ha quando l’organismo diventa dipendente dalla sostanza, ossia quando una persona aumenta la soglia di tolleranza alla sostanza e necessita, quindi, di aumentare la dose per avere gli stessi effetti. Quando si è fisicamente dipendenti da una sostanza, smettere di farne uso diventa difficile e porta a manifestare sintomi di astinenza quali, ad esempio, stanchezza, mal di testa, sintomi gastro-intestinali, dolori articolari, sudorazione. Si può presentare da sola o associata a quella fisica. Coloro che sono psicologicamente dipendenti sono sopraffatti dal desiderio di fare uso della sostanza e non riescono a farne a meno. La dipendenza psicologica, invece, si può presentare da sola o associata a quella fisica. Coloro che sono psicologicamente dipendenti sono sopraffatti dal desiderio di fare uso della sostanza e non riescono a farne a meno.
Prendendo ad esempio alcune sostanze, le cosiddette droghe pesanti, come il crack o l’eroina, ci accorgiamo che possono provocare così facilmente assuefazione (aumento di tolleranza) che è sufficiente farne uso anche poche volte per creare una dipendenza. Quando la vita e gli interessi di una persona sono rivolti esclusivamente al bisogno di procurarsi la sostanza, allora la dipendenza ha preso il sopravvento.
Per quanto concerne una classificazione nosografica, con il DSM-5, sia l’uso di sostanze che la dipendenza da sostanze li ritroviamo in un unico disturbo: disturbo da abuso di sostanza. Ciò poiché i due non sono disturbi distinti ma parte di un continuum. Vi è poi l’insorgenza di sintomi di “Craving”, ovvero l’intensa pulsione ed pensiero fisso verso il procurarsi ed usare la sostanza, di “Tolleranza”, cioè la necessità di assumere dosi progressivamente sempre più alte della stessa sostanza per avere gli effetti precedentemente ricevuti, ed infine di “Astinenza”, ovvero una serie di manifestazioni psico-fisiche dovute alla mancanza più o meno prolungata della sostanza.
La malattia della dipendenza è caratterizzata dai seguenti sintomi:
– NEGAZIONE
– COMPULSIONE
– OSSESSIONE
– PERDITA DI CONTROLLO
La persona che non presenta questi sintomi non è un dipendente.
La vita vuole delle gratificazioni, allora se la gratificazione non si otteiene con un investimento su di me o il futuro con molta probabilità non me la conferisce, la ricerca nel presente e la più immediata è questa.
Va specificato che si arriva ad un alto livello di droga”solo”quando si è già ad un livello di angoscia profonda. L’angoscia no è la paura, poiché quest’ultima è un sentimento difensivo, per cui se vedo un cane ho paura e me ne sto lontano (la “macchina difensiva”). L’angoscia è un nulla a cui attaccarsi .
Per vivere ho bisogno di essere sostenuto e mi potrà sostenere la droga attraverso la gratificazione e il piacere che produce, esattamente come coloro che soffrono, desiderano la morfina.
I dolori fisici e psichici vanno attutiti, ciascuno di noi tende ad attutire il dolore. Allora non si assume droga come causa di mali, ma come il rimedio dei mali.
Per comprendere al meglio l’argomento va sottolineato che la droga, per un tossicodipendente, è un rimedio all’angoscia più profonda, quindi bisogna curare concentrandosi sull’angoscia prima del sintomo.
La dipendenza è un modo di vita nel quale la persona perde il controllo e rimane incastrato in una continua evasione dalla vita.
Riferimenti bibliografici
“Il circuito della gratificazione e le nuove dipendenze”, Alpes Italia, 2010
“Il senso di autoefficacia. Aspettative su di se e azione”, Bandura A. 1996
“Il potere delle abitudini. Come si formano, quanto ci condizionano, come cambiarle”, Duhigg C., 2014
“I fenomeni di dipendenza. Guida alla conoscenza e al trattamento”, Glatt M.M. 1979