L’emergere del Sé etico nelle sinapsi

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È noto che gli uomini vengono al mondo con differenti apparati genici e che questi sono attivati dalle esperienze e in dipendenza dalla diversità delle stesse. Vi sono infatti nel cervello differenti connessioni neurali, determinate dalle differenti connessioni sinaptiche indotte. Dunque possiamo affermare che quello che siamo rispecchia pattern d’interconnettività tra neuroni (cfr. Le Doux, 2003, p.4). Allora l’antico problema del rapporto tra natura e cultura, di solito risolto assumendo le stesse come due forme di contribuzione a ciò che siamo, vengono qui viste come forma unitaria di linguaggio incidendo sull’organizzazione sinaptica del cervello. (Id. p.6). La unitarietà si specifica nei termini di “modi differenti di fare la stessa cosa: allacciare sinapsi nel cervello” (Id.). È però di particolare importanza tener conto che un certo modo di fare esperienza determina l’allacciamento di aree di neuroni piuttosto che di altre e che esiste comunque una qualità chimica dei neurotrasmettitori. È questo uno dei “luoghi” che se conosciuti da chi svolge l’azione formativa consente di innescare importanti processi in forza delle scelte che coinvolgono le emozioni. Naturalmente, non ci riferisce qui in nessun modo a inneschi di irrazionalità o marchingegni manipolanti le libere costruzioni personali. Sebbene si mira proprio ad utilizzare quel modo, quella qualità chimica dei neurotrasmettitori per incidere sulla qualità formativa. Alle determinazioni fisiologiche del corpo possono far seguito alterazioni ad effetto positivo degli apparati sinaptici. I sistemi neurali, nella loro plasticità, possono essere potenziati nelle funzioni specifiche dall’esperienza ma è anche questa che può modificare i sistemi e le funzioni originarie. Insomma i nostri geni “possono condizionare la maniera in cui ci conportiamo, ma i sistemi di gran lunga responsabili di ciò che facciamo e di come lo facciamo sono plasmati dall’apprendimento” (Id., p.14). Dunque è l’apprendimento la chiave di esplorazione di problemi come mente-corpo, del sé, della coscienza, dell’etica. Le Doux ricorda che per Locke e Strawson “la coscienza è, di fatto, la qualità che definisce l’essere persona (Id. , p. 29). Tale concezione è in accordo con il concetto di Persona per come emerge dalla nostra Costituzione, dove il cittadino appare consapevole di responsabilità personale e di responsabilità sociale, intendendo presente in quest’ultima dimensione la cultura e la morale del cittadino della convivenza democratica. Di fatto, non è concepibile la responsabilità sociale al di fuori dell’assunzione della morale che tende al superamento di livelli gravi dell’egocentrismo. Non esiste una persona morale e una metafisica, alla Dennett (Id. , p. 28), e tanto meno la garanzia che la persona metafisica rende possibile una capacità morale. Vi sono state nella storia fior di persone metafisiche che hanno condiviso la costruzione di lager, di piani di persecuzioni razziali o di condivisione della cultura che quelle nefandezze hanno legittimato. Il concetto di Persona, per come emerge dalla pubblicistica di garanzia, è direttamente portatrice di valori morali, sia nei termini di diritti sia di doveri. E ciò va in accordo con le definizioni che di Persona danno i personalisti storici ed ermeneutici (cfr. Mounier,1961; Maritain,1963; Ricoeur, 1998). Molto interesse presentano invece le posizioni che danno della coscienza e del Sé un’interpretazione processuale come quella di Damasio della coscienza nucleare e della coscienza estesa; quella di Fodor e Karmiloff- Smith degli apprendimenti dominio specifico e di dominio generale; e quella riferita dallo stesso Le Doux (Op.cit. p. 29) per la quale si effettua una distinzione tra il Sé minimo, che rappresenta una consapevolezza immediata del proprio Sé e il Sé narrativo che rappresenta una lucida autonsapevolezza. Chissà perché però a quest’ultima consapevolezza non verrebbe riconosciuta legittimità scientifica perché di derivazione “costruzionista” sociale (cfr. Id. , nota 32 a p. 455), come se la transizione tra le due forme sopra elencate di Coscienza nei vari sistemi non presupponesse una qualche forma di apprendimento di derivazione sociale. E molto opportunamente Le Doux precisa che il cervello, alla fine, è responsabile sia dei comportamenti che istituiscono in senso collettivo l’ambiente sociale, sia della ricezione da parte di ciascun individuo dell’informazione trasmessa attraverso tale ambiente. Si è prima affermato che l’esperienza può modificare i sistemi e le funzioni originarie degli apparati sinaptici, conferendo in tal modo all’apprendimento un ruolo decisivo nella capacità di orientamento del soggetto nel mondo. Intanto molto dipende dal tipo di apprendimento. Se, supponiamo, attraverso la manipolazione di oggetti si pongono domande del tipo “quanto fa 2+2” e la risposta che viene data è “4”, allora possiamo dire che la persona sta apprendendo, che la persona conosce. Ma se la risposta a quella domanda e a quelle successive non sono adeguate al dominio definito da quelle domande, la persona perde la sua identità di classe di alunno. Allora, come afferma Maturana (1993, p. 9), continuare a porre domande a quell’alunno significa proseguire sulla base della sua non esistenza. In tal modo vi sono sicure gravi ripercussioni sulla chimica dei neurotrasmettitori. E allora è probabile che quella perdita di classe di alunno significhi disintegrazione del Sé. Inversamente, se le altre domande vengono a giacere nel campo di pertinenza del tipo di esperienza e di conoscenza possibile del soggetto, può affermarsi che è in atto un processo di apprendimento nei termini di incidenza positiva nelle connessioni sinaptiche. È da questo Sé-sinaptico che “conosce”, che può emergere il Sé etico come forma più avanzata della conoscenza che si fa tale per l’assunzione di strategie ermeneutiche e interpretative. Perché, oltre ai numeri, vi sono le interpretazioni delle condotte dei personaggi presenti nei saperi. Comprendere come i giovani costruiscano nel loro Sé la dimensione etica dell’esistenza aiuta ad orientare i processi formativi personali. E qui bisogna fare chiarezza rispetto al tema del rapporto tra formazione personale e responsabilità sociale. Nel condurre una ricognizione sullo stato del problema, Andreoli (2003, p.7) riferendosi alla “diluizione” dell’etica personale nel gruppo che si fa branco, rileva la contraddizione che si realizza nel fatto che proprio mentre viviamo fasi storiche in cui, più che nel passato, è forte la pressione del gruppo, l’educazione risulti centrata prevalentemente sul singolo. Si badi: sul singolo, che è cosa diversa dalla persona. Il singolo è una monade, la persona è per definizione soggetto con un Sé desto e orientato alla prospettiva sociale, alla responsabilità, insomma che ha attiva la coscienza. (cfr. Maritain 1951 ) Se la fenomenologia dell’esistenza giovanile rende evidente che nel branco “l’etica del singolo si indebolisce fino a perdersi” (Id. p.6) occorre saperne di più di come si strutturano le concezioni valoriali personali fino a giungere al “cominciamento” che ha sede nelle sinapsi. Anche sviluppando l’esercizio delle narrazioni del Sé nei contesti istituzionali per saperne della memoria, dei sentimenti, delle idee, delle credenze, del “senso di continuità nel tempo e nello spazio, del sentimento posturale di noi stessi, dell’apparente stima degli altri e delle “tante” attese che deriviamo assai presto, addirittura inconsapevolmente, dalla cultura nella quale siamo immersi” (Bruner 2002, pp.73-74). Inoltre, se vogliamo avere speranza di dare risposta alla implicita petizione di Andreoli per interventi formativi che rendano più resistente il soggetto alle pressioni del gruppo, bisogna elaborare didattiche non più casuistiche ma orientate dalle finalità formative, perché la “capacità di distinguere tra solidarietà col gruppo e resistenza alle pressioni” è un tipico obiettivo formativo trasversale ai saperi. Allora solo dentro contesti del tipo su indicato avrà senso conoscere meglio e tutelare il Sé; diversamente è proprio il caso di fare come Bruner che suggerisce – nella permanenza di una conoscenza precaria del problema- di far proprio il titolo di un libro di J. Thurber “Leave Your Self Alone!”, vale a dire di lasciare in pace il sé. Nell’attesa di conoscere meglio i dati delle ricerche di J. Cohen, della ipotesi cioè che sia possibile la comprensione di dilemmi morali a seconda se la forma di proposizione riesca a innescare le connessioni sinaptiche delle aree interessate (ciò che sembra essere uno sviluppo delle precedenti indagini di “imaging” funzionale che hanno interessato la corteccia cingolata anteriore, implicata nei conflitti motivazionali), appare rilevante ai fini dell’emergere di una sorta di Sé etico, considerare gli studi di Cantor e Markus, sintetizzati da Le Doux (Id. pp. 355-357). L’assunto è il seguente: la conoscenza di sé implica la conoscenza delle proprie emozioni, le quali comportano conseguenze motivazionali. Questi fatti “sono prodotti del Sé nonché cause concomitanti di questo” (Id. p. 355) stesso Sé. Da qui si diparte il Sé operante che sintetizza una sorta di storia personale consapevole e volta al futuro in termini molto dinamici; “è il sottoinsieme disponibile al pensiero cosciente della persona in un particolare momento, ed è in parte determinato dalla memoria e dalle aspettative, e in parte dalla situazione immediata” (Id. ). Il rilievo è dato dal fatto che il Sé operante è considerato come guida all’azione, perché i suoi costituenti influenzano la percezione, l’attenzione, il pensiero e la memoria. Con gli ulteriori contributi di Kihlstrom, e riprendendo W. James, Le Doux mette in evidenza come “ il Sé operante sia costituito dalla memoria di lavoro e la costruzione del momento contribuisca in maniera significativa al processamento on-line, al processo decisionale e al controllo comportamentale” (Id. p. 355). Ora tocca compiere una scelta: o al processo di costruzione del Sé operante forniamo le opportunità perché ciascuno opti per i contenuti di pensiero in modo che i Sé passati costituiscano un back-ground per le scelte del Sé futuro o la pura conoscenza del processo decisionale e il controllo comportamentale diviene puro esercizio di ricerca teorica. Ciò che, se va bene in situazione di ricerca di laboratorio, costituisce invece perdita di occasione formativa per le applicazioni in sede scolastica. Scontiamo ritardi enormi nella progettazione dei processi formativi personali perché restano inattuate scoperte di grande valore applicativo. Sorge allora un sospetto: che manchi non solo una scienza di processamento dell’etica che sia correlata alla conoscenza delle forme di proposizione dei suoi contenuti, ma che sia anche legata alle fasi di evoluzione della competenza etica. Queste comportano il ricorso ad una fenomenologia ermeneutica perché, per dirla con Wittgenstein ( 1980), l’etica non si insegna, ma va fatta emergere dai confronti interpretativi. Ed è questo il crocevia in cui si rende possibile ricomporre le diverse formulazioni dei Sé e delle intelligenze (Damasio 2000, Karmiloff-Smith 1995, Le Doux, Op. cit. ), perché tutte quelle forme rinviano al ruolo strategico delle narrazioni e delle interpretazioni. E chi la insegna l’etica può farlo se egli stesso si situa nelle fasce alte di una scala di evoluzione della capacità di giudizio di Piaget e di Kohlberg. Ed è noto come ad una alta cultura scientifica personale non corrisponda necessariamente un’alta etica personale. Per queste, ed altre ragioni, appare di grande interesse la svolta che nelle neuroscienze si va realizzando quando viene a porsi il rapporto tra aree delle connessioni neuronali da attivare ed idonee forme di proposizioni dei dilemmi morali. In tale contesto è suggestiva, e dunque tutta da chiarire, la questione del possibile emergere dalle sinapsi di un Sé etico. Vale a dire di una strategia fondante che acceleri la qualità formativa di apprezzamento delle metodologie derivanti dalle scienze e di apprezzamento dei valori di una civiltà che non vuole votare alla dispersione le sue straordinarie risorse e potenzialità. Damasio, nella sua indagine svolta per stabilire la differenza e la consequenzialità di emozione e sentimento, incontra il primo ricercatore che, con Hobbes (modello meccanico), aveva fondato la scienza dell’etica: Baruch Spinoza (modello geometrico). Damasio è interessato a cogliere nella neurodinamica quello che Spinoza aveva tentato di fare “separando in modo chiarissimo il processo del sentimento da quello di avere un’idea su un oggetto che può causare un’emozione” (2003, p. 23). E la nostra vita è immersa in un universo di rapporti similmente alle proposizioni della geometria che dipendono tra loro. Tale universo è però un sistema di sforzi in equilibrio e in contrasto. E la vita dell’uomo è un tentativo di persistere affermando il proprio essere e la propria sopravvivenza (cfr. Id. , p.25), non diversamente da come Maturana e Varela spiegano il loro concetto di autopoiesi, rispetto alle perturbazioni subite dall’organismo. Insomma l’organismo vivente, in specie quello umano, è perturbato da continui bombardamenti di stati emozionali, tendenzialmente intesi a limitarne l’essere, per gli effetti di irrazionalità sistematica. Da qui l’urgenza, avvertita da Spinoza, ma che corrisponde alle ricerche attuali della neurobiologia e della neurofenomenologia, di rispondere con un sistema intenzionale di contrasto. “In altre parole, Spinoza raccomandava di combattere un’emozione negativa contrapponendogliene un’altra, di valore più forte, ma positiva, indotta dal ragionamento e da uno sforzo dell’intelletto.” (Id. , p. 24). Dunque, non è sufficiente rispondere con un contrasto puramente razionale alle perturbazioni negative, ma necessita una proposta di valore emotivo più forte. Si evidenziano qui possibilità e conferme per quelle psicoterapie che centrano la propria azione di aiuto in termini di induzione delle ristrutturazioni cognitive grazie al fatto che esse prevedono sistemi di esplorazione delle possibili alternative. Ma soprattutto è un’affermazione di fondamentale importanza per la neurobiologia (Id. , p. 28) e cioè “che il dominio delle passioni deve essere realizzato non solo dalla ragione pura, ma da un’emozione da essa indotta. (Id. , p. 24). Vale a dire da un’emozione innescata dalla ragione . È l’esercizio della ragione, che agita su metodologie e contenuti scelti ad hoc e con alto potenziale emotivo, può contrastare le latenti distruttività; avendo presente che benché “i contenuti del significato abbiano in gran parte un’origine sociale, i meccanismi del significato sono biologici e vanno compresi in funzione della dinamica cerebrale” (Freeman 2000, p. 13) Allora l’ipotesi dell’emergere di un Sé-etico dalle connessioni sinaptiche non è priva di fondamento, se il tutto è visto, intanto, come occasione per far accedere ai saperi non visti mediante l’attivazione mirata di strategie ermeneutiche che, di fatto, attivano una percezione più profonda della realtà. Che deve restare, beninteso, sempre una libera costruzione personale.

 

Bibliografia

  • Andreoli  V., Mente e cervello, n°3, 2003
  • Bruner J., La fabbrica delle storie, Bari-Roma, Laterza, 2002
  • Damasio A., Emozione e coscienza, Milano, Adelphi, 2000
  • Damasio A., Alla ricerca di Spinoza, Milano, Adelphi, 2003
  • Freeman J. F., Come pensa il cervello, Torino, Einaudi, 2000
  • Le Doux J., Il Sé sinaptico, Milano, Cortina, 2003
  • Maritain J., La persona e il bene comune, Brescia, Morcelliana, 1950
  • Maritain J., L’educazione al bivio, Brescia, La Scuola, 1963
  • Maturana H., Autocoscienza e realtà, Milano, Cortina, 1993
  • Mounier E., Manifeste au service du personnalisme, Paris, 1961
  • Karmiloff-Smith A., Oltre la mente Modulare, Bologna, Il Mulino, 1992
  • Ricoeur P., La Persona, Brescia, Morcelliana, 1998
  • Wittgenstein L., Tractatus logico-philosophicus, Torino, 1980

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