Intervista a Maria Teresa Molo, Presidente della Fondazione Carlo Molo Onlus

Pubblichiamo l’intervista alla Dott.ssa Maria Teresa Molo,  Presidente della Fondazione Carlo Molo Onlus di Torino. La Fondazione è un’interessante realtà privata, non profit, che opera nel campo della ricerca in neuroscienze applicata alle attività diagnostiche e riabilitative rivolte a due aree di interesse specifico: afasia e sessuologia.

Per maggior informazioni vi invitiamo a visitare il sito www.fondazionecarlomolo.it

 

Com’è nato il progetto della Fondazione

Maria Teresa Molo

La Fondazione Carlo Moloè nata nel 1993, su mia iniziativa, come associazione di ricerca. Ho voluto dedicarla alla memoria di mio padre, uomo geniale e coraggioso prematuramente scomparso all’età di 44 anni.

Il principio guida è stato quello di applicare la ricerca scientifica al campo della psicologia cognitiva, partendo dal concetto cardine dell’unicità della persona nella sua componente psichica e fisica. Frequentando il corso di Antropologia Culturale, mi aveva infatti incuriosito la testi sostenuta da Sergio Moravia ne “La scienza dell’uomo nel ‘700” secondo la quale, la separazione cartesiana tra  “res cogitans e res extensa” aveva sì favorito lo sviluppo degli studi puramente anatomici e di quelli filosofici, ma non permetteva un’antropologia, in quanto non risolveva la questione della natura dell’uomo, metafisica e naturale.

Da qui il mio interesse di  seguire ciò che alcuni colleghi portavano già avanti e cioè la combinazione tra studi di neurofisiologia e teorie sulla struttura della personalità.

La Fondazione sviluppa tre aree di interesse: Afasia, Sessuologia e Neuroscienze. E’ dotata di tre centri specifici per lo svolgimento delle diverse attività.

 

Qual è il principio introno al quale si sviluppano le attività delle tre aree di interesse della Fondazione

Quello che a noi interessa è essere aggiornati sugli gli studi più recenti a livello internazionale, e mirare a migliorare la qualità di vita delle persone che si rivolgono a noi, e da noi  sempre considerate nella loro totalità psicofisica: mente e corpo, due facce della stessa medaglia.

La finalità è quella di individuare un correlato misurabile e oggettivabile della realtà psichica, un anello di congiunzione fra l’aspetto psicologico e il dato psicobiofisico, dove i risultati  non hanno un valore solo teorico, ma devono permettere applicazioni pratiche finalizzate ad ottimizzare diagnosi e terapia. Da qui l’acquisto di un’apparecchiatura per il mappaggio cerebrale e le prime ricerche sull’attività cerebrale durante la presentazione di stimoli visivi e acustici (nella fattispecie parole esistenti e parole inventate), seguite poi da studi su soggetti affetti da disforia di genere alcolismo, afasia e disfunzioni sessuali.

 

Come si colloca la Fondazione, all’interno del panorama delle istituzioni italiane che si occupano di ricerca in Neuroscienze?

Siamo una realtà privata, di nicchia, che opera con passione su temi condivisi. Tengo a sottolineare che tali temi sono selezionati in totale autonomia, senza alcuna pressione da parte delle industrie farmaceutiche; mentre abbiamo stretti legami con le strutture universitarie più qualificate.

Le nostre ricerche, imperniate sulle neuroscienze, si applicano alle attività diagnostiche e riabilitative che sono gli altri due settori di attività  della fondazione: l’afasia e la sessualità.

 

Mi pare molto importante l’attività che svolgete con le persone afasiche; ce ne può parlare?

Il nostro obiettivo è il trattamento delle difficoltà di comunicazione vissuto dalle persone afasiche mediante un intervento riabilitativo psicologico che prevede due percorsi di intervento: a) riabilitazione psicolinguistica rivolta agli interessati e alle famiglie in forma individuale e di gruppo; b) laboratori di attività creative ed espressive finalizzati al reinserimento nel tessuto socioculturale, che si concludono molto spesso, con un prodotto finale fruibile dalla cittadinanza stessa.

In questa direzione vogliamo applicare i diritti della convenzione ONU per i disabili, che contemplano per essi la partecipazione alla vita culturale e ricreativa, agli svaghi e allo sport.

Una disabilità influisce negativamente sull’autostima, limita l’autonomia e porta facilmente all’isolamento sociale. A questo poniamo rimedio, tra l’altro, con la partecipazione ai laboratori didattici realizzati in collaborazione con le principali istituzioni museali cittadine, che si concludono con un prodotto finale fruibile dalla cittadinanza stessa. Spesso in queste attività gli interessati sviluppano capacità artistiche e creative di cui prima non erano consapevoli e contribuiscono altresì a divulgare la conoscenza dell’afasia presso la gente.

Siamo consapevoli che per le persone afasiche non è possibile recuperare il linguaggio più di quanto abbia ottenuto la logopedia, ma crediamo che una terapia riabilitativa di gruppo sia in grado di motivare il paziente afasico a comunicare. L’obiettivo finale della fondazione è di offrire un servizio sempre più articolato ed efficiente, nella prospettiva di porsi quale centro di riferimento e luogo di risocializzazione e riabilitazione di grande valenza sociale per i pazienti colpiti da ictus e momento di riposo per i familiari.

Abbiamo realizzato due centri: CIRP e Laboratorio Afasia, in cui operano professionisti specializzati. Coloro che frequentano i nostri centri hanno a disposizione una serie di attività interne e la possibilità di partecipare anche alle attività esterne (visite guidate, laboratori creativi ad hoc, corsi di lettura).

La Fondazione tra i suoi progetti pilota ha realizzato l’anno scorso il portale ISABILE.IT: in cosa consiste?

Isabile è certamente uno dei fiori all’occhiello della recente attività della Fondazione. In sostanza è la prima web tv realizzata per e con gli afasici, e uno dei rari esempi in cui la rete può diventare uno strumento di riabilitazione. Isabile.it è stato progettato  e realizzato con il sostegno della Compagnia diSan Paolo, da studiosi e ricercatori (medici, psicologi, logopedisti e tecnici informatici) che ne curano anche la redazione dei testi e delle informazioni in un linguaggio accessibile al paziente. La documentazione visiva che arricchisce il sito è frutto di accordi con importanti mediateche di enti pubblici e privati.

Isabile.it  è un “luogo” di incontro a disposizione di specialisti, care giver,  persone afasiche e loro familiari; nasce dall’esigenza di realizzare un luogo “domestico” di intrattenimento dedicato alle persone afasiche. Un contenitore nel quale confluiscono informazioni giornalistiche, documentari e filmati di vario genere, musica e altri strumenti informativi.

Abbiamo recentemente messo a punto una nuova veste grafica per rendere il sito ancora più agile e di immediata consultazione, aggiungendo contenuti tra cui, un forum nel quale le persone afasiche possono raccontare la loro storia e condividere i propri pensieri. A oggi il sito è stato utilizzato da: 400 visitatori al mese/ 130 viste al giorno, di cui il 70% proveniente dall’Italia, il 17% dall’Europa e il 4% dagli Stati Uniti.

 

Come si cura l’afasia negli altri paesi? Quali sono lo esperienze più interessanti?

 

In Italia esistono centri di eccellenza e all’avanguardia, ma non è così diffuso un trattamento integrato che coinvolga il gruppo famiglia, gli aspetti comunicativi e non solo linguistici, l’integrazione sociale. Che cioè miri ad un sostanziale miglioramento della qualità di vita, comprensiva anche degli aspetti emozionali e di personalità. Nei paesi in cui si presta maggiore attenzione alla disabilità, si sono sviluppati modelli di intervento integrato, a cui anche noi ci siamo ispirati. Mi riferisco in particolare all’Aphasia Institute di Montreal e al  Barrow Neurological Institute di Phoenix dove opera il prof. Prigatano. In altre strutture si sono affermate terapie pilota, e ritengo importantissimi gli studi con la fMRI (risonanza magnetica funzionale) sul linguaggio, mirati a rafforzare l’efficacia delle terapie. Di recente molti studi e terapie tendono a sfruttare il concetto della plasticità cerebrale per poter recuperare in qualche modo le funzioni compromesse.

 

 

Come vi muovete nell’area dedicata alla sessuologia?

Pensate che a tutt’oggi nel nostro paese non c’è una regolamentazione dell’educazione sessuale nelle scuole, nonostante la maggior libertà sessuale della nostra società, e la presenza di una malattia quale l’AIDS. Questo ci fa capire quanta poca importanza possano avere le problematiche sessuali in genere.

La nostra attività legata alla sessuologia nasce dalla consapevolezza che una problematica sessuale produce conseguenze negative ben al di là del mero fatto di una mancanza di piacere: il concetto di sé della persona affetta da una disfunzione sessuale resta sminuito, così come la sua autostima, la sua fiducia in se stessa. L’amore, la coppia, la sessualità sono temi importantissimi nella vita di ciascuno, ma il mondo scientifico se ne tiene un po’ lontano.

Ci è sembrato allora importante accogliere nella nostra sedela Scuola Superioredi Sessuologia Clinica (SSSC) di Torino: scuola di formazione per consulenti sessuali, riconosciuta dalla FISS (Federazione Italiana di Sessuologia Scientifica).

Più direttamente il nostro interesse è rivolto a ricercare modalità diagnostiche semplici e meno invasive possibili, nell’ottica, comune a tutte le nostre attività, di pensare la persona come un tutto correlato, fisico e psichico.

A questo si associa un’attività di divulgazione e sensibilizzazione con serate a tema, rivolte ad un pubblico non specialistico: dalla presentazione di libri alla proiezione di film e documentari dedicati, a incontri con specialisti, con un occhio di riguardo alle problematiche di orientamento sessuale e di identità di genere, che ancora sono oggetto di pregiudizio e discriminazione.

 

Quali iniziative avete portato avanti legate al disturbo dell’identità di genere più conosciuto come transessualismo? I dibattiti relativi al “terzo sesso” sono di estrema contemporaneità.

Anche su questo fronte, la Fondazione si muove ormai da alcuni anni: abbiamo collaborato alla creazione del CIDIGeM –  Centro Interdipartimentale Disturbi d’Identità di Genere  presso l’ospedale Molinette di Torino e attraverso gli incontri e le serate, cerchiamo di rafforzare la sensibilizzazione e l’informazione.

I disturbi legati all’Identità di Genere rappresentano una realtà stimolante sia sul piano concreto che su quello teorico. Le problematiche abbracciano l’aspetto economico, quello lavorativo, le relazioni familiari, lo stigma sociale, la vita sentimentale, la prassi legale. E dal punto di vista scientifico resta insoluto l’enigma di cosa origini questa sindrome. Siamo partiti dal concetto che quanto queste persone vivono non è un delirio ed abbiamo cercato di approfondire l’aspetto diagnostico, la struttura psicologica, il funzionamento cognitivo.

 

Quali sono i vostri principali contatti in campo internazionale?

Riteniamo che la situazione italiana soffra di posizioni ancora molto conservatrici e quindi è fondamentale la conoscenza di ciò che avviene negli altri paesi, che realizzano quanto raccomandato in sintonia con principi basati sui diritti umani. Perciò collaboriamo all’interno della Federazione Italiana di Sessuologia Scientifica (FISS), che ha divulgato una dichiarazione e documento tecnico su La Salute per il Terzo Millennio promosso dalla WAS (World Association for Sexual Health) e dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) che ha recentemente pubblicato i nuovi  Standard per l’Educazione Sessuale. Acanto a questi organismi è importante anche la collaborazione con l’EFS (European Federation of Sexology).

 

Quali sono secondo lei le più interessanti ricerche neuroscientifiche degli ultimi anni e in quale direzione si muove la Fondazione?

In generale possiamo dire che le più recenti ricerche si concentrano sulle funzioni cerebrali con particolare interesse al funzionamento e alle sue ricadute nella diagnosi e delle nuove forme di terapia. Nel sottolineare ancora una volta quanto le attività della Fondazione siano rivolte al benessere delle persone che si rivolgono ai nostri centri, attualmente ci stiamo dedicando al Neurofeedback e alla Stimolazione elettrica transcranica (TDCS): tecniche che si  basano su un’analisi spettrale dell’EEG. L’evoluzione di questo esame non si ferma ad una diagnosi di normalità/patologia, ma valuta il funzionamento delle varie aree cerebrali per arrivare poi alla terapia che mira a riequilibrarle, riconnetterle. L’intervento è rivolto a suscitare nei pazienti una maggiore consapevolezza delle proprie funzioni cerebrali. Niente di più ecologico: senza farmaci la persona impara a normalizzare le funzioni della sua mente, e questo ci sembra davvero possa aprire, nella terapia, una nuova frontiera.

 

 

 

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