Il cervello illimitato. Alle frontiere delle neuroscienze.

Le neuroscienze stanno attraversando in questi ultimi anni una stagione di grandi scoperte. Quella che ha rivoluzionato la ricerca neuroscientifica riguarda la neuroplasticità, ossia l’infinita capacità del cervello e della mente di cambiare se stesso, di ristrutturarsi, di modellarsi e rimodellarsi continuamente.
E’ qualcosa di favoloso scoprire- ha dichiarato il neuroscienziato Merzenich- che il cervello è malleabile, che è in grado di riorganizzare ogni sua parte.
Oggi, infatti, come mostra l’opera di Norman Doidge “Il cervello infinito” (Ponte alle Grazie), c’è una concreta possibilità di recuperare le funzioni dopo una lesione cerebrale, come ad esempio l’ictus, dimostrando per l’appunto le “infinite capacità di adattamento del cervello umano” (Sacks).
La lettura delle storie di persone raccontate nel libro che hanno cambiato il proprio cervello ci porta alle frontiere delle neuroscienze, facendoci vivere le speranze, le ansie e le attese di tanti esseri umani alla ricerca di una nuova esistenza.

Sino a pochi anni fa, la scienza riteneva che il cervello fosse una macchina “fissa e immobile”. Agli studenti di medicina- come sottolinea il premio Nobel per la medicina Eric Kandel- veniva insegnato che la mappa cerebrale era “invariabile e immobile” per tutta la vita.
La teoria sosteneva che le capacità cerebrali anneggiate non potevano essere recuperate.
I primi esperimenti vengono realizzati sui ratti, insetti, gattini, uccelli e cani. Animali messi in ambienti “arricchiti”, ricchi cioè di stimoli, di possibilità ludiche, di spostarsi da un luogo ad un altro raggiungevano livelli di apprendimento superiori ad altri animali cresciuti in gabbie normali, in ambienti poveri.
Di qui, la grande, meravigliosa scoperta: un ambiente “arricchito” produce un cambiamento nel cervello. Si attivano i neuroni, aumentano le connessioni tra le sinapsi, crescono nuoce cellule nervose, migliorano le capacità cognitive. I neuroni risultano più veloci, quindi anche i pensieri sono più veloci.
Un messaggio di speranza: non è soloil nostro cervello a “plasmare” la nostra mente, ma la nostra mente che, con “assoluta certezza” plasma il nostro cervello (McGilchrist).
Dall’insieme di questi primi, straordinari risultati, nasce un principio fondamentale nelle neuroscienze: use it or lose it, se lo usi ( il cervello), vive; se non lo usi, muore.

Il fenomeno della plasticità si realizza in tutta la vita.
Tutto quindi dal cervello: quello che pensiamo, facciamo e tralasciamo di fare avviene “grazie al nostro cervello” (Swaab). Il piacere, la gioia, il riso e il divertimento, così come la pena, il dolore, la paura e il pianto, non hanno- ha scritto Ippocrate- “altra fonte che il cervello”.

Uno dei primi casi seguiti negli Stati Uniti riguarda un poeta e insegnante, il quale nel 1959, all’età di 65 anni subì un’emorragia cerebrale, che ne paralizzò metà del corpo e lo rese incapace di parlare. Il paziente venne sottoposto a un programma di riabilitazione. Imparò a camminare gattonando, poi effettuò un altro programma preparato allo scopo di recuperare la capacità di parlare e scrivere. Dopo un anno, il suo recupero era tale da permettergli di tornare a insegnare. Si risposò e continuò a fare una vita normale.

In un altro esperimento di neuroplasticità (1960), i ricercatori cucirono una palpebra di un gatto, in modo che l’occhio non potesse ricevere stimoli.
Quando l’occhio fu riaperto, gli scienziati trovarono che le aree cerebrali dell’occhio chiuso non si erano sviluppate.
Una ulteriore ricerca fu effettuata nel 1968: venne reciso un nervo della mano. Fu grande la sorpresa di accertare che se si taglia un nervo della mano, questo è in grado di “rigenerarsi” e guarire.
Sono stati poi sviluppati altri programmi di esercizi “arricchiti” dedicati ai bambini con disturbi di apprendimento e ai bambini autistici. Al termine del trattamento i sintomi di questi soggetti risultarono “diminuiti”.

Anche programmi mentali indirizzati al declino della vecchiaia e ad allungare la vita media hanno prodotto evidenti miglioramenti sul piano cognitivo e grandi benefici bio-psichici. Queste forme di terapia hanno avuto positivi risultati anche nel trattamento del morbo di Parkinson, nella
sclerosi multipla e nell’artrite.
Un’ altra massiccia riorganizzazione plastica del cervello si verica in due fasi della vita: quando ci innamoriamo e quando cresciamo i nostri figli.
Nel corso di queste due fasi vengono rilasciate l’ossitocina, la vasopressina e la dopamina, che sono sostanze (scoperte nel 1950) collegate ai “centri di paceri” del sistema cerebrale. E’ stato dimostrato che queste sostanze rinforzano il legame tra genitori e figli, e diminuiscono in bambini cresciuti in orfanotrofio.

Altri casi di soggetti colpiti da ictus invalidanti seguiti da programmi riabilitativi severi e intensi hanno avuto benefici “molto rapidi” fino a rimettersi “completamente”. L’ ottanta per cento di pazienti con ictus che hanno perso la funzionalità delle braccia può migliorare in modo sostanziale (Taub).
Le ricerche hanno finora dimostrato come sia possibile modificare il cervello attraverso terapie riabilitative- fisioterapia, logopedia e terapia occupazionale- in soggetti colpiti da lesioni cerebrali.
Possono essere curati attraverso programmi di psicoterapia basati sulla plasticità anche i disturbi d’ansia, fobie, attacchi di panico, disturbi post-traumatici, disturbo ossessivo-compulsivo (DOC). Pazienti sottoposti al neuroimaging prima e dopo la psicoterapia hanno mostrato che il loro
cervello si “normalizza”.

La neuroplasticità si manifesta anche nel “riconfigurare” i contenuti mentali. La letteratura scientifica riporta casi di persone che hanno perso un arto e che continuano ad avvertire la sua presenza. E’ il fenomeno di “arto fantasma” e di “dolore fantasmo” studiato da un medico americano che curava i soldati americani impegnati nella Guerra civile. Gli amputati iniziarono a riferire che i loro arti erano tornati. Ci sono inoltre storie di donne che soffrivano di dolori mestruali e del travaglio anche dopo la
rimozione dell’utero.

La spiegazione degli arti fantasma risiede nella plasticità del cervello.
Quando una parte del corpo è compromessa- afferma il neuroscienziato V.S.Ramachandran- la mappa cerebrale che gli sopravvive continua a “voler ricevere” stimoli dall’esterno.. Il dolore fantasma viene “prodotto” dalla mente e “proiettato” nel corpo.
Importanti esperimenti realizzati in un laboratorio di stimolazione magnetica cerebrale a Boston hanno dimostrato che è possibile “modificare” l’anatomia del cervello, utilizzando “l’immaginazione”. E’ stato
il premio Nobel Santiago Ramon y Cajal ad avanzare nel 1904 l’ipotesi che i pensieri, ripetuti nell’esercizio mentale, rinforzano le connessioni neurali e ne creano di nuove, sostenendo, per l’appunto, che il cervello “è malleabile e perfettibile”.
L’esperimento consisteva nell’usare il pianoforte con due gruppi di persone. I membri del primo gruppo, quello dell’esercizio mentale, dovevano stare seduti di fronte alla tastiera di un pianoforte per due ore al
giorno per cinque giorni, “immaginando” di suonare e ascoltare le note ascoltate in precedenza.
Il secondo gruppo, quello dell’esercizio fisico, doveva suonare realmente la musica. I ricercatori verificarono che entrambi i gruppi mostravano cambiamenti “simili” nelle mappe del cervello.
L’esercizio mentale e l’immaginazione determinano quindi cambiamenti fisici nelle aree del cervello. Il neuroimaging ha dimostrato che nell’azione e nell’immaginazione vengono attivate le medesime regioni cerebrali (K.M.Stephan).
Un’altra ricerca ha mostrato che immaginare di usare i muscoli li rinforza realmente. Avviene in sostanza che l’immaginazione potenzia e attiva i neuroni responsabili di predisporre le sequenze di istruzioni per il movimento, aumentando così la “forza muscolare”.
Tutto ciò che la mente, sostanza immateriale, immagina lascia tracce materiali. Ogni pensiero altera dunque lo stato fisico dei neuroni, delle sinapsi e del cervello.
Conclusioni.
Dalle meravigliose scoperte delle neuroscienze nasce un principio fondamentale, quello secondo cui il cervello e la mente possiedono qualità prodigiose. Queste qualità vanno tuttavia continuamente
sostenute e rinforzate. “Use it or lose it”: usalo (il cervello), altrimenti lo perdi.
Coccolare, stimolare e allenare il cervello, i cui neuroni incominciano a morire a partire dai trenta anni. Tenerlo sempre impegnato attraverso un ambiente “arricchito”, ossia ricco di attività piacevoli: hobby, musica, lettura, esercizi fisici, palestra, teatro, cinema, giardinaggio, volontariato, cruciverba, ecc.
Pensare e agire sempre in positivo, coltivare i propri interessi culturali, movimento e una alimentazione completa e varia.
Tutto ciò migliora l’attività del cervello, produce nuovi neuroni, riduce il declino cognitivo, previene le malattie degenative, come le demenze e l’Alzheimer e rallenta l’invecchiamento. Si perviene a uno stato di serenità e tranquillità dell’animo, che genera il rilascio di sostanze, come ossitocina, vasopressina, endorfine e altri oppiodi, chiamate sostanze del piacere e della felicità.

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