Depressione e mania

articolo di Nicola Cardinale

Sul disturbo

I disturbi dell’umore sono il “comune raffreddore” delle patologie psichiatriche maggiori. Chi soffre di sindrome maniaco-depressiva passerà da periodi di iperattività, esaltazione e progetti grandiosi a periodi di abbattimento, senso di colpa e incapacità di provare piacere o addirittura di pensare normalmente. L’affezione di coloro che invece soffrono di grave depressione ricorrente è denominata depressione unipolare o depressione maggiore unipolare. Gli psichiatri raggruppano questi disturbi dell’umore nella categoria dei disturbi affettivi maggiori. Comunque ci si voglia riferire a questi problemi essi affliggono da secoli l’umanità. I cambiamenti dell’umore sono caratteristici dell’esperienza umana, e l’umore ha un grande valore in termini evolutivi: esso regola il nostro comportamento, ci mantiene al tempo stesso coinvolti nella vita e relativamente al sicuro. Tuttavia, chi è troppo pessimista probabilmente non si rende conto del proprio potenziale: un individuo depresso indietreggerà di fronte alla vita e non vi parteciperà. D’altro canto, anche una persona di umore troppo ottimista può mettersi in una situazione rischiosa, può farsi trascinare ad agire in modo impulsivo o sconsiderato dalla presunzione e da un esaltato senso di potere. Quando un individuo sperimenta episodi maniacali veri e propri, alternati a periodi di depressione, si parla di disturbo bipolare I. Se invece soffre di periodi ipomaniacali molto leggeri alternati a depressione grave, la diagnosi è di disturbo bipolare II. Ci sono anche persone che vanno incontro esclusivamente agli “alti” maniacali senza sperimentare mai depressione, o con episodi depressivi leggerissimi; la loro condizione viene indicata con il nome di mania cronica. Di solito, gli episodi della malattia sono limitati nel tempo: vengono e se ne vanno, durano alcune settimane e diversi mesi, e sono seguiti da periodi di umore e comportamento relativamente normali. Se non curato, l’episodio depressivo dura in media quattro mesi, e quello maniacale tre. La forma unipolare del disturbo dell’umore è più comune di quella bipolare, e si stima che due terzi degli individui con un disturbo dell’umore conoscano la sola depressione. Tragicamente, solo una persona su tre affette da un disturbo dell’umore si rivolge ad un medico, e solo una su dieci consulta uno specialista. Il pregiudizio e la mancanza di conoscenza, come pure la natura spesso insidiosa di questi disturbi, sono uno una combinazione letale che ostacola la richiesta di aiuto che potrebbe sollevare i pazienti dai propri sintomi paralizzanti.

L’esperienza personale

Come ci si sente ad essere depressi? Una persona che si stia addentrando in un episodio depressivo spesso parla del proprio umore descrivendolo triste, senza speranza, abbattuto, irritabile e nero. Esiste, tuttavia, un’altra dimensione della depressione sperimentata da un significativo numero di persone – una sensazione di ansia, inquietudine e angoscia. Molti pazienti riferiscono di un cambiamento nelle modalità di pensiero. Ci sono scarsità di idee e perdita della capacità naturale di immaginare un futuro. L’individuo può sperimentare sé stesso fuori del tempo e isolato dall’attuale flusso della vita. Per le persone che si trovano nella morsa della depressione è comune credere che il mondo abbia esaurito il suo colore e che “non ci sia alcuna luce alla fine del tunnel”. Attività che in precedenza erano fonte di gioia non dispensano più alcun interesse o piacere; si dice che costoro presentano il sintomo clinico dell’anedonia. La depressione maggiore è accompagnata da gravi disturbi dell’appetito e del sonno. Di solito la persona si lamenta di non avere appetito, il cibo non è più gradevole. Alcuni pazienti possono avere difficoltà ad addormentarsi la sera (insonnia iniziale); oppure svegliarsi molto presto, intorno alle quattro o alle cinque del mattino, sopraffatti da pensieri ansiosi e carichi di sensi di colpa che non riescono a reprimere. Il 15-30% dei depressi ha bisogno di dormire troppo (ipersonnia) e non si sente mai riposato. Inoltre i pazienti depressi possono sperimentare dolori fisici come mal di testa, mal di schiena, stipsi o problemi di stomaco. L’appetito sessuale à spesso il primo ad andarsene. I cambiamenti che hanno luogo nell’attività e nei processi mentali di un paziente depresso sono descritti come agitazione o rallentamento psicomotorio. Il pensiero e l’azione sono, rispettivamente, accelerati o molto rallentati. Alcuni individui depressi non riescono a star seduti, fermi; camminano avanti e indietro, si torcono le mani, si tirano i capelli o i vestiti… Il senso di autosvalutazione e di colpa può raggiungere proporzioni deliranti. Stretta nella morsa di una depressione psicotica, una persona può convincersi di essere perseguitata e di dover essere ritenuta responsabile di qualche malefatta immaginaria. Alcuni pazienti possono sperimentare i cosiddetti deliri di rovina, convinti come sono che una guerra definitiva o un olocausto stiano per mettere fine al mondo. Le allucinazioni, soprattutto di voci, possono essere anche esse presenti in queste forme di depressione psicotica. La malattia, come se non bastasse, non è superata con il risolversi della sintomatologia. L’esperienza può scuotere seriamente la fiducia che il paziente ha in sé stesso, nelle proprie relazioni e nel proprio futuro. Può darsi che la malattia abbia compromesso la carriera e che per aiutarsi a smorzare sentimenti insostenibili l’individuo sia ricorso all’alcol o alle droghe: potrebbe riprendersi solo per scoprire di essere diventato dipendente da queste sostanze. Nel peggiore degli scenari possibili, potrebbe non sopravvivere alla depressione. Gli spaventosi sentimenti di disperazione e autosvalutazione possono infatti portare al suicidio. Si stima che circa il 15% dei pazienti con un disturbo dell’umore non curato, o curato in modo inadeguato, commette suicidio. Questo quadro così oscuro ed angosciante di sintomi e sofferenze può essere sintetizzato con una frase di un giornalista americano, che in un suo libro intitolato “A season in hell”, ha raccontato la sua storia personale di depressione: “può un uomo senza gambe alzarsi e camminare, pur sapendo che solo camminando avrà salva la vita?” Egli si riferisce alla mente, il solo strumento con cui avrebbe potuto combattere e, tragicamente, la parte di lui più colpita. La sua mente lo stava abbandonando: come poteva usarla per liberarsi dalla disperazione?

Come ci si sente ad essere maniacali? Una persona che sperimenta l’ipomania, o che si addentra nel primo stadio di un episodio maniacale, si sente imbevuta di energia, ottimismo e fiducia in se stessa. Le idee e la conversazione fluiscono con facilità e l’umore è euforico, espansivo e spesso contagioso. Molte persone descrivono la sensazione di essere rinate. Le persone in stato maniacale sono prigioniere delle idee che si riversano nella loro mente. Il loro eloquio può andare riempiendosi di battute, giochi di parole e spiritosaggini fuori luogo. Durante un episodio maniacale il modo di parlare del paziente è molto caratteristico. Le parole sono pronunciate a torrenti, precipitosamente, con voce alta e intensa. In questo modo di parlare c’è una qualità insistente, inarrestabile, che non tollera interruzioni altrui – un fenomeno chiamato pressione dell’eloquio. Nello stato ipomaniacale, l’entusiasmo e l’intensità trasmessi dal paziente possono essere convincenti e perfino coinvolgenti per gli altri; ma quando ci si avvicina alla mania, prima che un pensiero sia completato, un altro ha già catturato la sua attenzione. C’è un grande aumento di attività, un bisogno di muoversi. Il bisogno di sonno diminuisce, si va a letto solo per previ periodi di tempo e ci si sveglia pieni di energia, oppure si va avanti per giorni interi senza riposare. C’è un forte desiderio di essere coinvolti e ciò spinge a telefonare agli amici a qualsiasi ora del giorno e della notte e a intrattenerli con i dettagli dei progetti nuovi ed eccitanti che si stanno preparando. Insieme a questa aumentata socievolezza c’è un aumento dell’impulso sessuale (l’ipersessualità). Non è insolito che la persona “s’innamori” e si getti impetuosamente in una relazione sentimentale o in una serie di relazioni, magari mettendo a rischio un rapporto stabile o un matrimonio. Sono a tal punto completamente ottimisti che perdono la percezione delle conseguenze delle proprie azioni. Purtroppo l’aspetto ottimista e infaticabile dell’umore non può essere mantenuto. Nel giro di qualche istante, l’euforia può dissolversi nell’irritabilità e nella collera. All’improvviso, senza alcuna provocazione, l’umore può diventare irritabile od ostile. Il paziente può farsi aggressivo e sospettoso e lanciarsi in una traboccante quanto rabbiosa filippica. Alcuni pazienti maniacali si spingono fino al punto di diventare psicotici. Costoro possono sperimentare paranoia, sentire voci, oppure (meno spesso) avere visioni. Possono avere deliri di grandezza: possono convincersi che un potere speciale ha conferito loro la capacita di salvare il mondo da una catastrofe, oppure di avere una particolare relazione con Dio… Altri presentano tratti più persecutori e si sentono osservati, controllati o attaccati. Ogni giorno, milioni di persone in tutto il mondo sperimentano questi segni e sintomi di mania e depressione. Per quanto queste cifre facciano pensare, tuttavia ci sono molti motivi per essere ottimisti. Oggi, una persona non deve più essere sopraffatta dai sintomi e dai problemi sociali che sorgono dalla depressione unipolare e bipolare. Gli episodi acuti possono essere attenuati da farmaci in uso da alcuni decenni e la psicoterapia può aiutare un paziente a lottare contro i terribili sentimenti che il disturbo provoca.


Le cure

La conoscenza dei disturbi affettivi è cresciuta esponenzialmente; ciò nondimeno, nonostante tutti i recenti progressi, ancora non si ha una risposta per la seguente domanda: “quali sono le cause di questi disturbi?” Esistono però buoni motivi per ritenere che lo sviluppo e il decorso dei disturbi affettivi siano influenzati in vario grado da forze di natura biologica, psicologica e ambientale. Pertanto le cure spaziano da un approccio psicofarmacologico ad uno esclusivamente psicologico, nonché ad un’integrazione dei due. Le terapie somatiche: terapie farmacologiche e terapia elettroconvulsivante Nell’antica Fenicia, i malati di mente venivano imbarcati sulle cosiddette “nave dei pazzi” e mandati alla deriva, a vagabondare per mare in cerca di porti più ospitali. Nel Medio Evo, gli esorcisti persuadevano i “demoni” a uscire dal corpo di coloro che si comportavano in modo strano. Ai pazienti del XVIII secolo furono sviluppati trattamenti-shock: li si faceva girare vorticosamente su una sedia o li si immergeva in laghi ghiacciati facendoli cadere attraverso delle botole. Nel XIX secolo furono sviluppati trattamenti più umani, ma ancora non esistevano cure mediche efficaci. Nel 1937, Sigmund Freud scriveva: “Probabilmente il futuro ci insegnerà a esercitare un’influenza diretta, per mezzo di particolari sostanze chimiche sulla quantità di energia e la sua distribuzione nell’apparato della mente”. Quando egli morì, nel 1939, la terapia elettroconvulsivante era l’unico trattamento efficace per la depressione grave. Dieci anni dopo fu scoperto l’autentico valore del litio quale stabilizzatore dell’umore; non molto tempo dopo, i farmaci antidepressivi andarono ad aggiungersi al nuovo armamentario terapeutico a disposizione degli psichiatri. Per il trattamento terapeutico della mania e per la terapia di mantenimento del disturbo bipolare, oltre al litio, lo psichiatra dispone della prescrizione di altri farmaci: la carbamazepina, il valproato di sodio, le benzodiazepine (contro l’ansia e l’agitazione) e, nei casi più gravi, gli antipsicotici. Per il trattamento della depressione il paziente può essere curato con antidepressivi triciclici, con i MAO-inibitori (inibitori delle MonoAmminoOssidasi) o con i più recenti inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina. Una discussione a parte merita l’impiego contro la depressione grave e la mania della terapia elettroconvulsivante. L’idea che uno stimolo elettrico possa essere un agente terapeutico risale a prima del 43 d.C., quando per curare il mal di testa si usava lo shock causato dal contatto con le torpedini.. In Italia, due medici, Ugo Cerletti e Luigi Bini, pensarono di poter ottenere una scarica neurale applicando la corrente elettrica alle tempie di un essere umano. Essi diedero al trattamento l’angosciosa etichetta di “elettroshock”. La terapia elettroconvulsivante ha un’incidenza di successo superiore a qualsiasi altra forma di trattamento. E’ particolarmente utile in persone che soffrono di depressioni psicotiche, in pazienti che non possono prendere antidepressivi a causa di problemi di salute o che non rispondono ad essi, e nelle donne gravide che soffrono di epressione. Un paziente con forti intenzioni suicide sarebbe un buon candidato alla terapia elettroconvulsivante, visto che quest’ultima funziona più rapidamente dei farmaci. Oggi il metodo è indolore. Bisogna fare una considerazione importate riguardo le varie terapie farmacologiche: sebbene alcune persone rispondano ai farmaci in modo completo e non vadano incontro a effetti collaterali, una popolazione relativamente più piccola risponde solo parzialmente o trova intollerabili gli effetti collaterali. Inoltre, è bene sottolineare, che i farmaci non guariscono dalla malattia; la controllanosoltanto.

Esplorazione del problema: negazione, accettazione e psicoterapie Nella corsa alla diffusione della buona novella sui nuovi trattamenti farmacologici, c’è stato che ha abbandonato, o comunque considerata inutile, la psicoterapia. Lmitarsi a relegare i disturbi dell’umore al regno delle affezioni fisiologiche che necessitano di un trattamento esclusivamente farmacologico è un grave errore clinico e denota una grossolana presunzione scientifica. I conflitti psicologici possono produrre atteggiamenti e comportamenti disadattivi tali da intralciare un individuo, come pure servire a precipitare episodi di malattia e ritardarne la guarigione. Il problema – come pure la sua soluzione – oggi trova una solida collocazione in entrambi i regni, quello della medicina e quello della psicologia. In un piano terapeutico ragionevole, una strategia comunemente accettata è quella di alleviare i sintomi dolorosi con un farmaco appropriato, educando al tempo stesso il paziente e i suoi familiari riguardo alla natura e all’andamento del disturbo. Per un individuo, l’insorgenza o il ricorrere di una malattia cronica come un disturbo affettivo rappresenta una perdita significativa: una perdita della funzione e una perdita di fiducia e di sicurezza. Si profileranno domande importanti: perché proprio io? Che cosa ho fatto per meritarmelo? Riuscirò a realizzare gli obiettivi della mia vita? Potrò avere una famiglia? Si dovrà venire a patti con sentimenti di rabbia, tristezza e vergogna. Questi sentimenti vanno affrontati nel contesto di una buona psicoterapia. Il terapeuta, attraverso un processo di chiarimento e interpretazione, aiuta il paziente a vedere ciò che lo riguarda in una luce realistica, non annebbiata da una persistente sensazione di indegnità e vittimismo. La psicoterapia può rafforzare la capacità di far fronte alla situazione, aiutare il paziente a comprendere la propria vulnerabilità. Questo dialogo rispettoso fra paziente e terapeuta può al principio concentrarsi sull’accettazione della necessità di curarsi. Ad esempio l’eventuale assunzione di un farmaco può diventare il simbolo concreto di una malattia cronica, di conseguenza il paziente può avvertire un deficit – qualcosa che rende l’individuo più vulnerabile degli altri- e può esserci il desiderio di negare la malattia, il che può portare a interrompere il percorso di cura intrapreso. Alcuni pazienti, inoltre, sono molto infastiditi all’idea che non sia la loro volontà, ma un farmaco, a consentir loro di conservare il controllo sul comportamento, l’umore o giudizio. Spesso, una persona afflitta da mania o depressione ricorrente dovrà imparare a distinguere fra i normali cambiamenti dell’umore e gli episodi della malattia. Se si sente un po’ esaltata essa può temere che sia l’inizio di un periodo ipomaniacale, e se è giù di morale può invece aver paura che si tratti del principio della discesa in una depressione infernale. La psicoterapia può rivelarsi molto utile nel favorire la consapevolizzazione e l’apprendimento di tale fondamentale distinzione da parte del paziente. Un altro problema che insorge sovente è il doloroso senso di umiliazione per ciò he i pazienti hanno fatto durante un episodio maniacale e per il modo in cui gli altri hanno reagito in seguito nei loro confronti. Inoltre, quando il paziente maniacale si rende conto di avere avuto una falsa percezione delle proprie capacità essendosi sentito più intelligente e più creativo, e capisce anche di dover affrontare la realtà del disturbo, il colpo inferto alla propria autostima può essere enorme. Spesso esistono tratti della personalità, problemi di perdite precoci, conflitti inconsci e fattori stressanti che possono contribuire allo sviluppo e al decorso di un disturbo dell’umore: nella psicoterapia è possibile identificarli, esplorarli ed elaborarli. Un trauma infantile –reale o percepito –, la perdita di un attaccamento seppellita, negata e mai risolta, sono tutti eventi che hanno favorito lo sviluppo di pensieri e comportamenti vincolanti o stressanti per evitare di affrontare il dolore emozionale risultante dal trauma o dal conflitto. Con il passare degli anni, la pressione aumenta e se si sperimentano altri stress, acuti o cronici che siano, può innescarsi un terremoto emozionale. In molti casi, una profonda frattura nei legami familiari persiste a lungo, anche dopo la fine degli episodi di malattia. In genere si tende a sottostimare l’effetto esercitato sui figli di una copia dalla presenza di un fratello con un disturbo dell’umore. I fratelli sani soffrono anche loro, in un modo sottile e spesso insidioso che ne influenza il senso di autostima e la qualità della vita. Essi sono sopraffatti da moltissime emozioni conflittuali. Nel proprio intimo, i fratelli o le sorelle sani possono sentirsi fortunati per il fatto di essere sfuggiti alla malattia, e di conseguenza possono provare ansia o sensi di colpa per la propria buona sorte. Se il fratello afflitto dal disturbo dell’umore è più grande e ha cominciato a scontrarsi con i fallimenti, per i fratelli minori può essere angoscioso e fonte di disagio sorpassarlo proseguendo sulla strada che li porterà a soddisfare sogni e ambizioni. Risentimento e gelosia perseguitano molti fratelli sani, disturbati dal fatto che moltissime attenzioni ed energie dei genitori siano assorbite dalle preoccupazioni per il paziente e che moltissime risorse della famiglia siano incanalate nelle cure e nel sostegno rivolti al membro sofferente invece che nell’educazione e nel piacere di tutta la famiglia. L’educazione dei familiari circa il disturbo del congiunto cerca di aumentare la stabilità all’interno dell’ambiente domestico. Spesso, quando i familiari vengono invitati a dire la loro, ciascuno ha una propria teoria sul disturbo. L’approccio psicodidattico mira a mettere la famiglia e il paziente in condizioni di accettare l’idea che questi ha un disturbo che purtroppo influisce sull’umore, l’autostima, il pensiero, il comportamento sociale, ecc.; esso punta a far riconoscere ai familiari che gli episodi passati hanno avuto un impatto sul loro modo di considerare il paziente e a creare un ambiente attorno a lui che sia il più adatto alla sua ripresa e alla sua condizione di umore e di pensiero presente. Se tutto va bene, il conflitto tra i familiari diminuisce, si sviluppa una sana capacità di far fronte alla situazione e i membri della famiglia sono ora in grado di assicurare al paziente un maggior sostegno. Una psicoterapia a breve termine specificatamente formulata per la depressione, molto interessante e spesso efficace, è quella messa a punto d Aaron Beck. La sua terapia cognitiva è un approccio basato sul presupposto che la sfera affettiva di un individuo sia determinata dai suoi pensieri e dalle sue idee. Pertanto, modificando le idee è possibile modificare gli stati d’animo e le emozioni. Fra una seduta e l’altra, al paziente vengono assegnati dei “compiti”., fra cui quello di tenere un diario. Le sedute sono mirate a superare la disperazione, identificare i problemi, stabilire priorità, dimostrare la relazione fra cognizione ed emozione e indicare gli errori nel pernsiero. Alla fine della terapia, il paziente comincia ormai a vedere sé stesso e i propri problemi in modo più realistico, a modificare i propri modelli comportamentali privi di valore adattivo e a sentirsi meglio.La psicoterapia interpersonale a breve tempo è simile alla terapia cognitiva ma enfatizza i legami e le relazioni sociali e funziona in modo da migliorare, oltre alle capacità sociali, il concetto che una persona ha di sé. Un aspetto particolare dei disturbi dell’umore è la frequente associazione ad essi dell’abuso di alcol e droghe a scopo di automedicazione, per cercare di prolungare gli “alti” maniacali con gli stimolanti, o di placare l’ansia e l’irritabilità della depressione con l’alcol. In una ricerca il 41% di un gruppo di persone con disturbo bipolare riferì di aver abusato di alcol o droghe prima di approdare a una corretta diagnosi. Molti dati dimostrano che chi ha un disturbo bipolare ha una maggior probabilità di diventare dipendente e di avere un decorso del disturbo più grave se ricorro all’uso di stimolanti o di alcol. I pazienti con una duplice diagnosi hanno pertanto bisogno di una psicoterapia specifica mirata alla discussione del problema dell’abuso di sostanze, magari in gruppo e con la guida di un professionista che si occupa in particolare di situazioni come quella di cui sopra. Tutto ciò che ho scritto finora circa la cura dei disturbi dell’umore è sufficiente per eccepire l’importanza e l’ineludibilità di una qualsiasi forma di psicoterapia e per stigmatizzare la presunzione di un approccio prettamente farmacologico a dei disturbi molto complessi e che coinvolgono la persona in tutta la sua essenza, anima e corpo, mente e cervello. A proposito di ciò vorrei citare una frase significativa di una paziente con un disturbo affettivo: “Nessuna pillola può aiutarmi ad affrontare problemi come, ad esempio, il non voler prendere una pillola” In conclusione, bisogna dire che malgrado l’80-90% dei pazienti possono essere curati con esito positivo, i dati relativi alla situazione attuale indicano che la depressione viene diagnosticata e curata poco (situazione che viene indicata con l’efficace espressione di “Iceberg della depressione”), oltre ad essere trattata in modo improprio dal sistema sanitario nazionale. Per migliorare questo quadro cupo bisognerebbe: cercare di modificare il modo in cui la società percepisce questo disturbo e tratta coloro che ne soffrono, stimolare ulteriori ricerche sui disturbi affettivi, promuovere l’informazione sulla depressione, dare sostegno alle persone con patologie depressive e alle loro famiglie. Inoltre si dovrebbe invitare la stampa agli incontri sulla depressione e organizzare interviste con specialisti, lanciare campagne contro i pregiudizi. L’unica cosa che può fermare questo cambiamento è l’indifferenza. Si può mettere fine alla sofferenza, all’abbandono e al pregiudizio che circondano questi disturbi. Il cerchio può essere spezzato.

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Bibliografia

  • Cassano G.B.; Zoli Serena (1993), “E liberaci dal male oscuro” Ed. Longanesi
  • Papolos D.; Papolos J. (1999), “Sconfiggere la depressione” Ed. Longanesi    
  • Sims A. (2000), “Psicopatologia descrittiva” Ed.Cortina

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