Food addiction, dipendenza da cibo

La disregolazione del piacere alimentare tra “simpatia” e “desiderio”

Introduzione

Ciò che mangiamo, quando e quanto, sono influenzati da meccanismi di retroazione psico-comportamentale e biologica in cui esperienze e abitudini possono portare a generare “simpatia” e “desiderio” per specifici alimenti. Come corollario, la disfunzione nei circuiti di ricompensa nonché un lavoro magistrale di inoculazione di dipendenza collettiva – contribuisce in modo indiretto, ma tangibile, al recente aumento dell’obesità e dei disturbi alimentari.

Dal comportamentale al biologico e dal biologico al comportamentale

L’interazione tra i segnali del sistema nervoso centrale e la periferia si sviluppa attraverso impulsi afferenti, sia sensoriali che umorali. Il transito di cibo e la sua digestione nel tratto gastrointestinale da un lato stimola il rilascio di peptidi come colecistochinina (CCK), somatostatina, peptide intestinale vasoattivo (VIP) e glucagone, dall’altro invia direttamente segnali all’ipotalamo, che gioca un ruolo fondamentale nella regolazione e nella integrazione dell’attività neuroendocrina e metabolica.

Il più potente stimolatore dell’appetito è sicuramente il neuropeptide Y (NPY); anche la galanina e i peptidi oppioidi sono stimolatori dell’introduzione di cibo. Questi peptidi sono, inoltre, in grado di determinare la preferenza di determinati nutrienti, vale a dire carboidrati (NPY), lipidi (galanina), carboidrati e lipidi (oppioidi) (Morley, 1987; Kalra et al., 1991b; Leibowitz, 1990; Mannucci, Rizzello, Bardini, Rotella, 1997). Ma nell’uomo di oggi questi meccanismi appaiono alquanto alterati.

Koob (1997), nello studio delle dipendenze patologiche da sostanze psico-attive, ha sostenuto l’ipotesi di una disregolazione omeostatica edonica. I motivi principali possono essere:

  1. l’apprendimento di certe pratiche alimentari che scardinano il fisiologico set-point dell’organismo relativo al consumo di cibo;
  2. la mancanza di controllo del consumo alimentare;
  3. la dipendenza che determinati alimenti possono instaurare (e.g. bliss point).

A queste circostanze subentra un adattamento dei precitati ormoni che si mantiene sopra un certo standard e che può dipendere da fattori che esulano dal contesto specifico (e.g. biologico) che li genera. Ad esempio se abbiamo una credenza disfunzionale che porta all’abitudine a consumare molto più cibo di quanto ne abbiamo bisogno, l‘organismo si adeguerà a produrre determinati ormoni (come la leptina o il neuropeptide Y) al livello di cibo introdotto conseguente tale abitudine.

In altri termini la nostra corporatura potrà essere modificata da un’abitudine alimentare che influirà sul sistema ormonale, ma anche viceversa (un’alterazione della serotonina in seguito ad eccessivi eventi stressogeni potrà essere in grado di portare alla ricerca spasmodica di carboidrati tramite un’influenza diretta sui nostri comportamenti).

Potrebbe così verificarsi l’esigenza di un introito energetico aggiuntivo cadendo così nel labirinto delle scelte incontrollate.

La Food Addiction

Gearhardt e colleghi difendono la decisione di utilizzare i criteri diagnostici della dipendenza da sostanze per la food addiction sulla base del crescente numero di ricerche che lega l’eccessivo consumo di cibo con la dipendenza. Per quanto riguarda gli studi sugli esseri umani, Wang e colleghi (Wang et al., 2010) hanno messo in evidenza che il cibo e l’uso di droga producono lo stesso risultato a livello cerebrale, ossia la comune attivazione dei sistemi della dopamina e degli oppioidi (cibo → rilascio di dopamina → piacere). Inoltre, il sistema serotoninergico svolge un ruolo fondamentale nella modulazione del comportamento alimentare e del tono dell’umore; è, quindi, plausibile che una disregolazione a questo livello conduca ad una modificazione degli aspetti relazionali dell’individuo rispetto all’ambiente. Esiste un modello interpretativo che mette in relazione l’effetto positivo della massiccia assunzione dei carboidrati sul tono dell’umore con la disregolazione del sistema serotoninergico.

Secondo questo modello l’assunzione dei carboidrati porta ad una aumentata produzione di insulina, la quale favorisce, attraverso una aumentata disponibilità di triptofano plasmatico (precursore, a livello del SNC, della serotonina), il passaggio di questo aminoacido attraverso la barriera emato-encefalica (Albi, Boemi, e coll., 1994). Un aumento di serotonina può portare all’ingestione di proteine; una sua diminuzione porta a quella di carboidrati.                         È stato dimostrato sperimentalmente che iniezioni di serotonina a livello ipotalamico inducono anoressia. Al contrario, la deplezione delle scorte del neurotrasmettitore, in seguito a trattamento con pCPA (antagonista della serotonina) induce obesità. Per tale motivo spesso si afferma che perdere peso è soprattutto una questione mentale (o, meglio, “cerebrale” e, quindi, corporea): ogni diversa predisposizione d’animo modifica l’ipotalamo, da cui deriva la forma del nostro corpo.

Cosa dicono le Neuroscienze?

Nel Sistema Nervoso Centrale (SNC) i centri superiori con funzione di trasmissione e di modulazione dell’assunzione alimentare si situano a livello dell’ipotalamo. Questi sono il Nucleo Ventro-Mediale (NVM), sede del centro della sazietà, il Nucleo Laterale (NL), centro di integrazione di informazioni olfattive, visive, digestive e metaboliche, che sembra promuovere l’attività di assunzione del cibo e il Nucleo Paraventricolare (NPV), che integra vari segnali di inibizione, attraverso l’attivazione di fibre adrenergiche, e di stimolazione sui neuroni della sazietà, attraverso afferenze serotoninergiche. A livello periferico lo stimolo meccanico della distensione gastrica, con la mediazione del nervo vago, inibisce l’assunzione del cibo, come anche diversi modulatori ormonali prodotti dalla distensione intestinale, quali la colecistochinina (CCK), la bombesina e la somatostatina. È interessante notare che dati di letteratura riportano diminuiti livelli di CCK in soggetti bulimici, ma anche in soggetti depressi (Battiato, 1996).

Altresì, esistono meccanismi cerebrali noti per generare “simpatia” e “desiderio”. I meccanismi di “Liking” includono circuiti edonici che collegano punti caldi cubici-millimetrici nelle strutture limbiche del cervello anteriore come Nucleus Accumbens (NAc o NAcc) e Pallidum Ventrale (VP) (dove segnali di oppioidi / endocannabinoidi / orexina possono amplificare il piacere sensoriale). I meccanismi di “volere” includono reti di oppioidi più grandi nei nuclei accumbens, striato e amigdala che si estendono oltre gli hotspot edonici, così come i sistemi mesolimbici di dopamina e i segnali di glutammato corticolimbico che interagiscono con tali sistemi. Ci concentriamo sui modi in cui questi circuiti di ricompensa del cervello potrebbero partecipare all’obesità o ai disturbi alimentari.

Un circolo vizioso

I cibi odierni influenzano intensamente questi meccanismi. Così la dipendenza da alcuni cibi (come il junk food) può essere interpretata l’effetto dell’esposizione di alcune sostanze per le quali il nostro corpo non presenta modalità adattive. Avena, Rada e Hoebel (2008) hanno scoperto che cavie cui era stato dato libero accesso a zuccheri, grassi o cibo raffinato mostravano alterati meccanismi neurali collegati alla ricompensa che sono solitamente implicati nelle dipendenze. I forti mangiatori di carboidrati tendono, però, a sviluppare una resistenza insulinica, e a questo punto, la quantità di insulina necessaria a ridurre lo zucchero in circolo sarà maggiore. Nei meccanismi di craving (desiderio improvviso di assumere una sostanza, in questo caso il cibo) c’è una profonda diversità tra un episodio acuto di tensione (uno stress improvviso, una paura, una delusione d’amore) che tendiamo a sopire temporaneamente con l’aiuto di qualche alimento di velocissimo assorbimento (zucchero, dolce, alcol) e una situazione continua di malessere emotivo accompagnato dall’assunzione di questo stesso tipo di alimenti.

Caretti e collaboratori propongono un modello descrittivo che riconduce tutte le forme di dipendenza (dalla co-dipendenza all’alcolismo, dal GAP allo shopping compulsivo, dall’internet addiction disorder allo sport addiction) a cui potremmo aggiungere quella che si instaura in molte persone che abusano di alcuni degli attuali cibi malsani.

I tre fattori presi in esame sono:

1) ossessività: pensieri e immagini intrusive e ricorrenti riguardanti l’esperienza di dipendenza; 2) impulsività: incapacità di resistere al desiderio della messa in atto del comportamento di dipendenza;

3) compulsività: attuazione della condotta nonostante le possibili conseguenze negative. Rispetto a ciò Khantzian ha formulato un’ipotesi secondo cui la dipendenza patologica è un tentativo di auto-terapia dell’Io.

In linea con queste considerazioni, Joyce McDougall afferma che sebbene l’individuo dipendente possa sentire di essere schiavo del tabacco, dell’alcol, del cibo, dei narcotici, degli psicofarmaci o di un comportamento sessuale compulsivo, i fini fondamentali della ricerca o dell’oggetto di dipendenza sono esperiti inconsciamente come “essenzialmente buoni”, perché essi procurano un senso di benessere e in casi estremi possono persino arrivare a essere considerati come la massima aspirazione, a sua volta percepita come l’unica capace di dare significato alla vita dell’individuo. Dato che lo stato mentale disfunzionale del craving è rinforzato sia dalle rappresentazioni positive associate al piacere della dipendenza, sia dalle rappresentazioni negative e dolorose dell’astinenza – ma anche e soprattutto dalle rappresentazioni positive legate alla possibilità di contrastare l’ansia e l’umore disforico emergenti dalle emozioni traumatiche attraverso la messa in atto del comportamento di dipendenza – è evidente che approcci alla cura delle dipendenze patologiche di tipo esclusivamente rieducativo o farmacologico tendono a essere inefficaci.

Conclusioni

Il problema maggiore di tutta questa faccenda, a primo acchito infinitamente interconnessa, è in relazione ad una società che sfrutta in modo negativo questi circuiti per spingerli a valori borderline ed oltre. In questa macrosfera (società), dove è presente un “perverso polimorfismo”, le competenze individuali e il loro potenziamento (con il lavoro sulla persona) tramite terapeuti o professionisti dell’alimentazione rischia di essere, pian piano, del tutto vano come statisticamente i risultati sul sovrappeso e obesità – ovvero dipendenza da determinati cibi – ci stanno da tempo suggerendo.  

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