Può la psicoterapia cambiare il cervello?

Recentemente, molti neuroscienziati – ancora una volta un nome per tutti: Kandel – hanno sostenuto che la psicoterapia non è solo un efficace trattamento psicologico, in grado di indurre dei significativi cambiamenti nella sfera psichica dei soggetti affetti da un disturbo, mutamenti persistenti negli atteggiamenti, nelle abitudini e nel comportamento conscio e inconscio, ma che lo fa anche producendo alterazione dell’espressione dei geni che producono mutamenti strutturali nel cervello e, più precisamente, dei cambiamenti nell’attività funzionale di alcune aree del cervello (Kandel 1998, 1999; Siegel 1999).

Questi studi sperimentali, condotti per lo più negli ultimi decenni con differenti gruppi di pazienti psichiatrici – come soggetti affetti da disturbo ossessivo-compulsivo o disturbo depressivo, ecc. –, si sono avvalsi dell’uso delle moderne tecniche di visualizzazione in vivo del  cervello, come la tomografia a emissione di positroni (PET) e la risonanza magnetica funzionale (fRMI).

Accanto a questi studi, sono state condotte anche delle ricerche che hanno esplorato, anziché i cambiamenti nell’attività funzionale del cervello, i cambiamenti indotti dalla psicoterapia in alcuni parametri biologici, nei soggetti affetti da uno specifico disturbo psichico (Paquette-Lévesque-Mensour et al. 2003; Berti-Ceroni 2003).

I risultati forniti da questi primi gruppi di ricerche, permettono di avanzare alcune importanti conclusioni teoriche, nell’attesa che nuovi studi sperimentali confermino i dati disponibili.

Un primo importante dato emerso è che la psicoterapia apporta dei significativi cambiamenti nell’attività funzionale del cervello dei soggetti affetti da disturbi psichici e che tali cambiamenti cerebrali si correlano al miglioramento clinico di questi soggetti, per cui solo nei soggetti in cui alla fine di un periodo di trattamento psicologico si osserva una significativa riduzione dei sintomi clinici è rinvenibile un cambiamento significativo dell’attività funzionale del cervello (Wykes-Brammer-Mellers et al. 2002). Un secondo dato di non minore importanza è che la psicoterapia induce un cambiamento nell’attività funzionale di specifiche aree cerebrali, ossia induce un cambiamento nell’attività di quelle aree corticali e/o sottocorticali il cui funzionamento anormale sostiene i sintomi clinici che caratterizzano una specifica patologia psichica (Kandel 1999).

Negli studi in cui si sono confrontati i cambiamenti neurobiologici indotti da un trattamento psicologico e quelli prodotti da una terapia farmacologia è emerso, infine, che la psicoterapia e il farmaco sono entrambi efficaci nella cura delle diverse patologie psichiche indagate, ossia sono entrambe in grado di indurre un significativo miglioramento clinico nei soggetti in questione, e che tali modalità di trattamento agiscono entrambe a livello cerebrale, modificando l’attività neuronale delle stesse aree del cervello e, a livello neurobiologico, inducendo un uguale cambiamento di alcuni parametri biologici come determinati fattori neuroendocrini (Baxter, Schwartz et al. 1992).

Questi risultati ampliano la possibilità di dialogo tra le neuroscienze e la psicoanalisi: infatti gli studi di imaging sulla psicoterapia, i modelli animali ed umani della relazione tra geni ed ambiente, gli studi genetici sulla personalità e le ricerche sulla memoria, stanno aprendo la strada ad una nuova comprensione delle caratteristiche biologiche della psicoterapia.

A questo proposito, una buona spiegazione dell’influenza della psicoanalisi sulla struttura cerebrale, viene fornita da LeDoux, il quale ha proposto che la pratica psicoterapica non fosse altro che un modo di rewire the brain, ossia di riorganizzare l’assetto delle connessioni: la terapia, dunque, produrrebbe un potenziamento sinaptico nelle connessioni che governano l’amigdala potenziando così la funzione inibente, di controllo, da parte della corteccia sull’amigdala stessa (LeDoux 1994).

Tuttavia, la connessione tra l’amigdala e la neocorteccia non è simmetrica, per cui l’amigdala proietta all’indietro sulla neo-corteccia molto più fortemente di quanto lo faccia la neo-corteccia sull’amigdala.

Pertanto, la capacità di quest’ultima di controllare la neo-corteccia è maggiore rispetto a quella della neo-corteccia su di essa.

Ciò potrebbe spiegare anche perché è difficile “spegnere” le emozioni una volta che sono entrate in gioco.

Per di più, poi, le emozioni rilasciano nel corpo ormoni e altre sostanze a lunga durata, che tornano al cervello e tendono a bloccarlo in quello stato: a questo punto è molto difficile per la neo-corteccia trovare una via d’accesso all’amigdala e spegnerla. Probabilmente, è per questo che la terapia è un processo così lungo e difficile.

La neo-corteccia usa canali di comunicazione imperfetti per cercare di assumere il controllo dell’amigdala, mentre, al contrario, quest’ultima può controllare con grande

facilità la neo-corteccia, in quanto le basta eccitare una serie di aree cerebrali in modo non specifico (LeDoux 1994, 1996).

Le esperienze lasciano segni duraturi su di noi, in quanto sono immagazzinate come memorie all’interno dei circuiti sinaptici e, dal momento che la terapia stessa rappresenta un’esperienza di apprendimento, essa implica anche dei cambiamenti nelle connessioni sinaptiche.

Dunque, circuiti cerebrali ed esperienze psicologiche non sono cose distinte, ma due diverse modalità per descrivere la medesima cosa.

La psicoterapia è, dunque, essenzialmente un processo di apprendimento per i suoi pazienti e come tale un modo di cambiare l’assetto delle connessioni cerebrali: è, in tal senso, che la psicoterapia usa meccanismi biologici per curare i disturbi psichici.

La psicoanalisi viene, quindi, ad essere trasformativi, in quanto situazione di apprendimento relazionale.

Richard Brockman ha coniato il termine psychological freedom in riferimento al grado in cui la mente corticale ragionante può influenzare il cervello affettivo, dal momento che ci sono alcuni momenti in cui la corteccia influisce in modo significativo, riuscendo a contestualizzare in modo adeguato l’esperienza affettiva, ed altri invece in cui la mente simbolizzante ha poca libertà nella sua interazione con stati affettivi troppo intensi (Brockman 1998).

In questa prospettiva, potremmo quindi considerare l’instabilità affettiva come il risultato di differenze anche costituzionali per quanto riguarda i modi con cui il talamo o la corteccia istanziano la processazione emozionale nei confronti dell’amigdala.

Solo quando il paziente può disporre di abbastanza libertà psicobiologica per mantenere uno spazio riflessivo, le interpretazioni del transfert in merito a credenze illogiche o comportamenti auto-distruttivi possono essere efficaci: infatti, una minore libertà biologica di giudicare cognitivamente gli eventi, provocando una risposta riflessiva più primitiva, rende quasi inutili queste interpretazioni, dal momento che l’informazione non sarebbe sentita o processata dal cervello (Brockman 1998).

Di conseguenza, il lavoro terapeutico potrebbe diminuire l’intensità di queste esperienze e rendere possibile una maggiore acquisizione di libertà da parte del cervello corticale nella simbolizzare e influenzare le successive esperienze affettive.

Molti dei cambiamenti che si verificano durante un’analisi hanno a che fare non solo con l’introspezione conscia, che è legata alla memoria dichiarativa, ma anche con l’elaborazione inconscia legata invece alla memoria procedurale e che si sviluppa in momenti particolari e significativi di incontro tra il terapeuta e il suo paziente.

Il rapporto dialettico tra l’amigdala e la corteccia, nonché il rewiring cerebrale concordano con il modello terapeutico proposto da Solms, che, occupandosi di neurobiologia e psicoanalisi, ha sostenuto che uno degli scopi della neuropsicanalisi è estendere la sfera funzionale di influenza dei lobi prefrontali.

Gli studi condotti per controllare empiricamente gli effetti delle diverse forme di psicoterapia attraverso le contemporanee tecniche di imaging funzionale hanno condotto a mostrare che l’attività funzionale del cervello è di fatto alterata dalla psicoterapia; a indicare come i cambiamenti specifici siano correlati con i risultati terapeutici; a localizzare nei lobi prefrontali questi cambiamenti strettamente correlati agli esiti terapeutici.

Tuttavia, si sa ancora poco sui modi attraverso cui la mente cambia. Questo è un punto che neuroscienze e psicoanalisi, solo collaborando, possono sciogliere, dal momento che la psicoanalisi sottolinea l’importanza dell’esperienza soggettiva e il potere di una relazione nella trasformazione di una mente in crescita, mentre le neuroscienze hanno a che fare con dati oggettivi e quantificabili ed elaborano  modelli scientifici del funzionamento cerebrale e mentale.

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

American Psychiatric Association, (1994), Manuale diagnostic e statistico  dei  disturbi mentali (DSM-IV), (tr.it. Masson, (1996) Milano.

Benich M.T., (1995), “Interhemispheric interation: mechanisms of unified processing”, in F.I., Kitterle (Ed.), Hemispheric Communication: Mechanisms and models, Erlbaum, Hillsdale, NJ., pp. 271-300.

Baxter, Schwartz et al., (1992), “Caudate glucose metabolic rate changes with both drug and behavior therapy for obsessive-compulsive disorder”, in Archives of general Psychiatry, 49, pp. 681-689.

Bradshaw J. L., Mattingley J.B., (1995), clinical Neuropsychology: Behavioural and brain Science, Academic Press, San Diego.

Brockman R., (1998), A map of the mind: toward a science of psychotherapy, Psychosocial, Madison.

Damasio A., (1995), L’ errore di Cartesio: emozione, ragione e cervello umano, (tr. It. (1994), Adelphi, Milano).

Damasio A., (1996), “The soamtic marker hypotesis and possible functions of the prefrontal cortex”, in Philosophical Transactions of the Royal Society of London (Biology), 351, pp. 1413-1420.

Edelman M., (2002), Il presente ricordato, 1989, tr.it., Rizzoli, Milano.

Feinberg T., Farah M. J., (1997), Behavioral Neurology and Neuropsychology, McGraw-Hill, New York.

Fonagy P., Target M., (1997), “Attachment and reflective function: their role in self-organization”, in Development and Psychopathology, 9, pp. 679-700.

Gazzaniga M., (1995), The cognitive neurosciences, MIT Press, Cambridge, MA.

Heilman K. Valensyein E. (1985), Clinical Neuropsychology, Oxford università press, Oxford.

Jackson J., (1931), On affectations of speech from disease of the brain, in Selected writings of J. Jackson 2., Hodder and Stoughton, London, pp. 155-204.

Kandel E.R., (1998), “A new intellectual framework for psychiatry”, in American journal of Psychiatry, 155, pp. 457-469.

Kandel E.R., (1999), “Biology and the future of psychoanalysis”, in American journal of Psychiatry, 156, pp. 505-524.

Kandel E.R., Schwartz J. H., Jessell T.M., (1994), principi di neuroscienze, tr. It. Casa Editrice Ambrosiana, Milano.

Kanzer M., (1973), “Two prevalent misconceptions about Freud’ s “project”, in Annual. Psychoanal., 1, pp. 88-103.

Kolb B., Whishaw I., (1980), Fundamentals of humanbneuropsychology, W.T. freeman and Co., San Francisco.

Lane R.D., Reiman E.M., Axelrod B., Lang-Sheng Y., holmes A., Schwartz G.E., (1998), “neural correlates of levels of emotional awareness: Evidence of an interaction between emotion and attention in the anterior cingulated cortex”, in J. Cognit. Neurosci., 10, pp. 525-535.

Laplanche J., Pontalis J.B., (1968), Enciclopedia della psicoanalisi, Laterza, Bari.

LeDoux J., (1998), Il cervello emozionale. Alle origini delle emozioni, 1996, tr.it. Baldini & Castaldi, Milano.

Matte-Blanco I., (1981), L’ incoscio come sistemi infiniti, (tr.it. (1974), Einaudi, Torino).

Mecacci l., “Rewiew of A.R. Lutija, (1988), “The Mind of a Mnemonist” and “The Man with a Shattered World”, in iornal of the History of the behavioral Science, 24, pp. 268-270.

Mesulam M., (1985), “pattern in behavioral neuroanatomy: association areas, the limbic system, and hemispheric specialization”, in mesulam m. (a cura), principles of Behavioral Neurology, F.A. Davis, Philadelphia, PA, pp. 1-70.

Mesulam M., (1994), “Neurocognitive networks and selectively distributed processing”, in Revue Neurologique, 150, pp. 564-569.

Musatti C., Trattato di psicoanali, Boringhieri, Torino.

Pally R., (2000), The Mind-Brain Relationship, Karnac Book, London-New York.

Panksepp J., (1998), Affective neuroscience: The Foundations of Human and Animal Emotions, Oxford university Press, New York.

Panksepp J., (1999), “Emotion as wiewed by psychoanalysiand neuroscience: an exercise in consilience”, in Neuro-Psychoanalysis, 1, pp. 15-38.

Ramachandran V. S., (1999), La donna che morì dal ridere e alter storie incredibili sui misteri della mente umana, (tr.it. (1998), Mondadori, Milano.

Robertson I.H., Marshall J., (1993), Unilateral Neglet: Clinical and Experimental Studies, Lawrence Erlabaum Associates, Mahwah, NJ.

Schore A., (1994),  Affect Regulation and the origin of the Self, Lawrence Erlbaum Associates, Mahwah, NJ.

Schore A., (1996), “The experience-dependent maturation of a regulatory system in the orbital prefrontal cortex and the origin of developmental psychopathology”, in Development and Psychopathology, 8, pp. 59-87.

Schore A., (2000), Attachment and regulation of the right brain, in Attachment & Human Development, 2, pp. 23-47.

Schore A., (2001), “The effects of early relation trauma on right brain development, affect regulation and infant mental health”, in Inf. Men. Health Jour., Vol. 22 (1-2), pp. 23-47.

Siegel D.J., (1999), The developing mind: toward a neurobiology of interpersonal experience, Guilford, New York.

Solms M., Turnbull O., (2004), Il cervello e il mondo interno, Introduzione alle neuroscienze dell’ esperienza soggettiva, (tr.it. (2002), Raffaelo Cortina, Milano.

Stern D., et al., (1998), “Neo-interpretative mechanism in psychoanalytic therapy”, in Int. J. Psychoanal., 79, pp. 603-620.

Sulloway F., (1982), freud, Biologist of the Mind. Beyondthe Psychoanalytic Legend, 8tr.it. (1979), Feltrinelli, Milano.

Zeki S., (1993), A Vision of the Brain, Blackwell, Oxford.

[box type=”info”] foto: http://www.umanamenteonline.it/ wp-content/uploads/2013/04/tip_of_the_iceberg1.jpg[/box]

7 risposte

  1. Un magnifico articolo dedicato a tutti coloro che ancora paventano i rischi di un eccessivo meccanicismo nell’approccio neuroscientifico rispetto alla complessità dei moti della mente.
    Dopo secoli di intuizioni, anche geniali, avere le prove di come la “parola” svolga una funzione fondamentale nella ricostruzione e ristrutturazione degli equilibri biochimici neuronali, ci mette in condizione di agire consapevolmente, offrendoci anche la possibilità di ridimensionare l’uso dei mezzi farmacologici con tutte le implicazioni negative che ne derivano, sia sul piano fisiologico che sul piano psicologico, per l’assuefazione passiva a comportamenti indotti artificialmente e non acquisiti in base a esperienze vissute.

  2. Bell’articolo! Complimenti, ne farò riferimento alle mie lezioni di Psicodiagnostica

  3. Una ulteriore sorprendente prova di quella straordinaria proprietà del cervello che è la plasticità!

  4. articolo splendido, a questo aggiungo che in un mio studio su pazienti depressi trattati con ipnosi erksoniana e valutati con rmn f si è visto la modifica del trofismo cerebrale nell’area prefrontale destra

  5. Molto interessante e completo, si potrebbe avere anche la bibliografia citata?

  6. Saluto e ringrazio gli autori. La risposta è certamente affermativa, come è provato dal presente ed altri studi oramai da alcuni anni. Questo costituisce uno straordinario elemento scientifico è da ragione e senso alla condizione ontogenetica oltre che filogenetica generale. È da questa zona di conoscenza che è necessario partire per proseguire nella direzione clinica oltreché scientifica generale.

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.