Adolescenti e decisioni

Le tre R del processo decisionale, in adolescenza

Non servono studi di neuroscienze per sapere che l’adolescenza è un’età governata dal conflitto, nel tentativo di allontanarsi dal controllo degli adulti, dai picchi emotivi, dagli sbalzi d’umore e dalle decisioni avventate e rischiose.  Queste caratteristiche sono funzionali alla ricerca della propria individualità e al processo di emancipazione dagli adulti e affondano la loro origine nella spinta evolutiva verso la riproduzione, la continuazione della specie e il progresso.

Le scienze psicologiche e sociali hanno ricercato le cause di questi comportamenti nella biologia dello sviluppo ormonale o nel contesto culturale. Oggi è possibile dare una spiegazione più complessa che tenga conto di tutto questo, ma soprattutto dei cambiamenti che avvengono a questa età a livello cerebrale. 

Le scienze psicologiche e sociali hanno ricercato le cause di questi comportamenti nella biologia dello sviluppo ormonale o nel contesto culturale. Oggi è possibile dare una spiegazione più complessa che tenga conto di tutto questo, ma soprattutto dei cambiamenti che avvengono a questa età a livello cerebrale.

Il processo decisionale è basato sul sottile equilibrio tra la parte emotiva ed istintiva, regolata dall’istinto di sopravvivenza e che ha bisogno di reazioni immediate davanti al pericolo, e la parte razionale, che valuta gli stimoli esterni e decide il comportamento da tenere.

Già nella filosofia platonica veniva descritta questa complessa relazione tra ragione ed emozioni. Platone paragonava l’anima ad un carro trainato da una coppia di cavalli alati: uno bianco, che simboleggiava la parte più spirituale dell’anima, e uno nero, che rappresentava la parte più corporea e legata ai sensi. La ragione è simboleggiata dall’auriga che ha il compito di guidare la biga alata, trovando il modo di mantenere l’equilibrio tra le spinte contrapposte dei due cavalli.

E in effetti, se ci pensiamo, ogni decisione, anche la più banale come la scelta davanti al banco dei gelati, è la sintesi di un complesso dialogo interiore tra la parte razionale, le sensazioni provenienti dal corpo e le emozioni che queste provocano. Naturalmente, noi non possiamo essere consapevoli di tutti questi processi, sarebbe un carico di lavoro eccessivo per la nostra mente conscia: la maggior parte di essi rimane a livello inconscio.

È come un software che gira in background, permettendoci di dedicare la maggior parte delle risorse a compiti più complessi.

Ma durante l’adolescenza ancora non c’è una comunicazione efficace tra le varie regioni cerebrali coinvolte in questo processo: la potatura sinaptica non sarà completa fino ai 20-25 anni.

Perché il cervello sia efficiente, ogni neurone non può essere direttamente collegato a tutti gli altri: per contenere tutte queste connessioni servirebbe uno spazio grande 10 volte il campo di gioco dello stadio di San Siro a Milano. Ecco perché si parla di reti o circuiti cerebrali (o neurali): i neuroni che sono specializzati in una funzione si trovano tutti nella stessa zona in modo da rendere veloci le comunicazioni.

Per mantenere la rete cerebrale ben organizzata ed efficiente, viene realizzata la potatura sinaptica, o pruningche, entro la fine dell’adolescenza, rimuoverà il 50% delle sinapsi formatesi durante i primi anni di vita, eliminando connessioni e rendendo quelle rimanenti più forti attraverso la mielinizzazione.

La prima potatura avviene nell’ultimo trimestre di gestazione. Il cervello ha la maggior densità di neuroni tra il terzo e il sesto mese di gravidanza: in questo intervallo di tempo vengono prodotti 200.000 neuroni al minuto, necessari alla costruzione vera e propria della struttura cerebrale.

Alla nascita, il tronco encefalico (la parte del cervello che si allunga verso il midollo spinale) è l’unica parte mielinizzata, poiché controlla funzioni automatiche come quella respiratoria, cardiaca e gastrointestinale, tutte necessarie a mantenere in vita il bambino, mentre il resto del cervello del neonato contiene pochissima mielina, ovvero ci sono pochissime connessioni (per lo più locali), e questo spiega perché i tempi di reazione sono così lenti.

Il cervello adulto ha molte più connessioni che collegano parti anche remote: tutto il trambusto che si crea nel cervello di un adolescente è finalizzato proprio al passaggio da un cervello con molti neuroni poco connessi, ad uno con meno neuroni, integrati però in circuiti molto ben collegati ed efficienti.

È come se una rete di piccole imprese locali si riorganizzasse in una sola grande azienda.

Gli studi sul cervello di Albert Einstein ci dicono che pesava 1230 grammi, poco meno della media, ma aveva molte più connessioni della media: era una sorta di multinazionale con sistemi di organizzazione ottimizzati!

Se il cervello degli adolescenti è un cantiere in corso d’opera e non c’è ancora la giusta comunicazione tra tutte le reti neurali che concorrono al processo decisionale, in base a cosa un adolescente prende le decisioni?

Le ultime ricerche delle neuroscienze concordano nel considerare il processo decisionale dipendente da tre fattori principali: la regolazione delle emozioni, il sistema di gratificazione che stimola la ricerca della ricompensa, l’influenza delle relazioni interpersonali.

Se nel cervello adulto questi fattori sono ben equilibrati e contribuiscono ad un processo decisionale efficiente, nel cervello adolescente interessano proprio quelle regioni che sono il cuore pulsante di tutte le attività di riorganizzazione neurale e quindi sono maggiormente sensibili agli stimoli, nonché facilmente danneggiabili dallo stress o dall’uso di sostanze come la nicotina, l’alcol e le droghe, che interferiscono col sistema dopaminergico della ricompensa nel nucleus accumbens.

Inoltre, proprio per il funzionamento di questo sistema, ciò che muove il comportamento degli adolescenti non è tanto la gratificazione in sé, quanto l’aspettativa di ricompensa nonostante il rischio. Vuol dire che se una situazione appare pericolosa, la gratificazione ad essa connessa viene percepita come più alta e quindi più desiderabile.

Immediatezza ed emozione sono quindi i motori del processo decisionale.

È questo il motivo per cui gli adolescenti, soprattutto prima dei sedici anni, fanno tante cose stupide: non hanno poi tanto bisogno che gli si ricordi le conseguenze di certi comportamenti, nella maggior parte dei casi conoscono i rischi e, contrariamente a quello che solitamente si pensa, non si credono invulnerabili. Semplicemente non hanno le capacità cognitive per comprendere la reale portata futura di certe decisioni (non riescono a immaginare gli effetti concreti perché il loro pensiero proiettivo non è ancora maturo: non vedono il contesto perché non vedono in prospettiva) e sono assolutamente concentrati sulla gratificazione immediata. Quando dicono “Non ci avevo pensato”, non stanno mentendo, davvero non ci hanno pensato!

Gli adolescenti sono predisposti all’eccitazione del rischio, particolarmente emotivi, più portati all’aggressività e all’impulsività, con un sistema ‘frenante’ non ancora completato, e quindi più soggetti ad assumere comportamenti sconsiderati e pericolosi. È questo che rende l’adolescenza un periodo così difficile da affrontare, sia per gli adolescenti che per i loro genitori, insegnanti, o educatori in generale.

Nel capitolo precedente abbiamo visto come il cervello sia, per buona parte dell’adolescenza, sotto il dominio del sistema limbico, e quindi delle emozioni, in attesa che la corteccia prefrontale sia ben collegata e partecipi in maniera efficiente al processo decisionale, dando vita a quello che gli psicologi definiscono autoregolazione, che consiste nel controllare gli impulsi e pensare in anticipo alle conseguenze.

Numerosi studi, conosciuti come il Marshmallow test, cominciati alla fine degli anni ’60 e ripresi più volte nel corso degli ultimi cinquant’anni, hanno dimostrato come il sistema di autoregolazione si sviluppi lentamente dall’infanzia all’età adulta e come chi dimostra più autocontrollo già da bambino, preferendo una ricompensa maggiore, ma differita, ad una minore, ma immediata, abbia più possibilità di avere successo nella vita.

Da questi studi risulta che tra una gratificazione immediata e una posticipata, i bambini quasi certamentesceglieranno la prima, per quanto alcuni cerchino di resistere alla tentazione usando varie strategie, mentre gli adolescenti, in particolare tra i dodici e i sedici anni, sceglieranno sicuramentela prima, perché sono guidati dalla ricerca della gratificazione immediata.

Inoltre, tra i quattordici e i diciotto anni, gli adolescenti sono maggiormente sensibili alle potenziali ricompense derivanti da scelte rischiose: un sedicenne avrà più possibilità di scommettere contro i pronostici o di accettare la sfida per una gara in scooter, nonché di sperimentare alcol, sigarette e droghe.

Sanno soppesare i pro e i contro di un comportamento pericoloso, ma la possibile ricompensa viene sopravvalutata.

Quasi sempre conoscono le conseguenze di ciò che fanno, ma non riescono a resistere davanti all’idea di fare uno scherzo all’insegnante e di far ridere tuta la classe, conquistandone l’ammirazione per la propria impresa. Le conseguenze sono ciò che avverrà dopo, ma l’adolescente vive nel presente, non nel futuro, nell’azione più che nel pensiero.

In un certo qual modo, possiamo dire che il vero problema delle pessime decisioni prese durante l’adolescenza non sia tanto la mancanza di autoregolazione, quanto l’ipersensibilità del sistema di ricompensa.

Normalmente nel processo decisionale, ogni scelta tiene conto non solo del presente (gratificazione immediata), ma anche del passato (memoria delle esperienze vissute) e del futuro (previsione). La capacità di farsi subito un’idea generale della situazione ed elaborare un giudizio valutando il rapporto costi/benefici è un’attività della corteccia prefrontale e prevede complessi scambi di informazioni tra regioni cerebrali diverse. Tale capacità non è certo un punto di forza degli adolescenti, visto che le vie di comunicazione nel loro cervello sono ancora in costruzione, e arrivano alle conclusioni sul comportamento da tenere seguendo altre vie.

La ricerca del piacere, e quindi di una ricompensa, sia alla base del processo evolutivo di ogni creatura vivente. Se nel regno animale predominano le ricompense primarie (acqua e cibo), ovvero quelle destinate a soddisfare le necessità biologiche, per gli esseri umani le cose si complicano e spesso il nostro comportamento è guidato dalle ricompense secondarie (come il denaro) e da quelle sociali (come stima, rispetto e potere).

Questo significa che il processo decisionale, attivato dai segnali che in un determinato momento arrivano dai sistemi sensoriali, dipenderà dalla simulazione mentale di vari scenari tra cui scegliere l’opzione migliore in base ai ricordi archiviati in merito. A tale scopo si ha bisogno di vivere più esperienze possibile: più saranno le situazioni sperimentate, più scenari sarà possibile simulare e più si potrà fare una scelta efficace. Quando la realtà sarà conforme alla previsione, una scarica di dopamina in una piccolissima parte del cervello predisposta a tenere aggiornati i giudizi sul mondo circostante, rafforzerà la scelta fatta. Se, invece, non c’è corrispondenza tra vissuto e aspettativa c’è una diminuzione nei livelli di dopamina e viene inviato un messaggio di riesamina della previsione, in modo da consentire al cervello di fare meglio la volta successiva.

Questa scarica di dopamina è ciò che regala quella sensazione di estremo benessere e che riduce il pensiero critico relativamente ai rischi connessi ad una certa esperienza.

A livello evolutivo vengono premiate con il piacere le attività necessarie alla sopravvivenza, e punite col dolore quelle che invece la mettono rischio: l’eusocialità, ossia l’interazione sociale, è fondamentale per il sostegno e l’aiuto reciproco.

Le competenze sociali, capacità evolutive fondamentali a garanzia della sopravvivenza, vengono sviluppate da circuiti specifici della corteccia prefrontale che ci permettono di giudicare le intenzioni delle altre persone e di distinguere gli amici dai nemici. L’empatia, ovvero la capacità di sentire e decifrare le emozioni altrui, è quindi uno strumento evolutivo al servizio del processo decisionale: se si conoscono i sentimenti dell’altra persona, è più probabile predirne correttamente il comportamento e basarsi su questa previsione per prendere delle decisioni migliori.

Durante l’infanzia, le amicizie sono per lo più quelle scolastiche e sono supervisionate dagli adulti. Con il passaggio alle scuole medie la cerchia dei contatti si amplia, ma i preadolescenti iniziano a selezionare in base agli interessi: si formano le prime compagnie che diventano spesso delle vere reti sociali impermeabili e isolate, all’interno delle quali fare esperienze.

Questo si traduce nell’estremo bisogno che gli adolescenti hanno di essere accolti nel gruppo dei pari e nella loro propensione a correre più rischi quando sono con i coetanei: quella che rincorrono è una gratificazione sociale.

Se gli adulti si comportano peggio quando sono da soli (è più probabile che mentano e/o commettano reati), gli adolescenti dimostrano maggiormente la loro propensione al rischio e mancanza di discernimento quando sono in gruppo, mentre se sono da soli, in uno stato emotivo non eccitato e, soprattutto, se sanno che otterranno una ricompensa, possono prendere buone decisioni. Se sono in gruppo e particolarmente su di giri, il disastro è dietro l’angolo!

Soprattutto se hanno consumato alcol.

La presenza di coetanei nell’automobile guidata da un adolescente, aumenta di quattro volte (e aumenta ancora di più per ogni passeggero aggiuntivo) la probabilità di un incidente rispetto a quando guida da solo o in compagnia di adulti.

Gli adolescenti non decidono in base a ciò che è giusto in assoluto (spesso non si pongono nemmeno il problema di ciò che è giusto), quanto in base a ciò che è più conveniente e gratificante nell’immediato.

E l’approvazione degli altri è quanto di più soddisfacente ci possa essere.

È stato definito effetto coetanei: basta la presenza di coetanei per assumere decisioni e comportamenti più pericolosi.

E non si tratta di pressione tra pari, ma di un processo ben più complesso dovuto alla somma di diversi fattori. Da una parte il sistema della ricompensa è evolutivamente tarato per rendere l’adolescente, più che in ogni altra età, dipendente dall’approvazione del gruppo dei pari, e trasformare in dolore fisico la sensazione di esclusione e invisibilità sociale. Dall’altra la corteccia prefrontale, il sistema ‘frenante’, non è ancora pronto a regolare l’attività emotiva del sistema limbico. È come se l’intera adolescenza venisse in qualche modo vissuta in stato di sequestro emotivo, quello stato che, in caso di pericolo, shock o forte stress, determina reazioni istintive basate solo sulle emozioni, bypassando la valutazione razionale della situazione. La rabbia è di tipo esplosivo, la tristezza diventa subito disperazione, la gioia è quintessenza della felicità più pura. Niente è relativo, si vive nell’assoluto.

La sola presenza dei coetanei basta a provocare scariche di dopamina non diverse da quelle procurate da altri piaceri meno astratti, come cibo, sesso, alcol e droghe. Ma anziché saziare il bisogno di gratificazione, questa situazione di ipereccitazione porta al desiderio di stare ancora meglio, rendendo gli adolescenti più sensibili a qualunque tipo di ricompensa, massimizzando la propensione al rischio e la ricerca di gratificazioni immediate.

Il processo decisionale negli adolescenti è quindi guidato dalla ricerca della gratificazione immediata, senza la capacità di valutare alternative e prevedere conseguenze future.

Questo, unito alla particolare condizione di neuroplasticità in cui si trova il cervello adolescente, rendono più probabili le dipendenze da sostanze, o attività, nocive per il funzionamento cerebrale.

(estratto da “Minds under construction: il cervello adolescente tra rischi e opportunità” – Caterina Pisano)

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