Il software può modificare l’hardware?
L’origine della superiorità del genere umano su ogni altra specie animale risiede nell’eccezionale sviluppo raggiunto dal nostro cervello negli ultimi milioni di anni.
Questo sviluppo, la cui caratteristica fisica più evidente è l’incremento di peso e volume del nostro cranio, si è tradotto in accresciute capacità intellettive.
La tendenza alla crescita non è stata però né lineare né costante.
Iniziata in sordina (non sappiamo esattamente quando e come), ha via via assunto un ritmo sempre più accelerato, sino ai giorni nostri in cui si discute su come dotare di intelligenza artificiale le macchine.
A un certo punto di questa crescita, nelle ultime decine di migliaia di anni (non più milioni), una potente spinta all’incremento sarebbe stata offerta dalla stessa cultura che, nel frattempo, si era andata affermando, ad iniziare dall’uso del linguaggio.
Di tale parere è la maggior parte degli scienziati, ad iniziare da Charles Darwin che ne “L’origine dell’uomo” scrisse « … la relazione fra l’uso continuato del linguaggio e lo sviluppo del cervello deve essere stata indubbiamente molto … importante» (p. 121 dell’edizione italiana, settembre 1999, Editori Riuniti) ed ancora «L’esercizio abituale di ogni nuova arte … deve in qualche modo rafforzare l’intelletto» (p. 170) ed infine « … il continuo uso del linguaggio deve aver agito sul cervello e determinato un effetto ereditario» (p. 246).
Il biologo Christopher Wills nel suo “The Runaway Brain: The Evolution of Human Unity” (“Il cervello in fuga: l’evoluzione dell’essere umano”) scrive «La forza che sembra aver accelerato il nostro accrescimento encefalico è uno stimolo di tipo nuovo: il linguaggio, il sistema di segni, la memoria collettiva … tutti elementi della cultura. Evolvendosi la cultura si evolveva il cervello, che a sua volta portava la cultura ad arricchirsi di elementi sempre più complessi. Cervelli più voluminosi e dotati di maggiori potenzialità condussero a culture più complesse; queste, a loro volta, fecero sì che il cervello crescesse e migliorasse» (cit. in R. Leakey, “Le origini dell’umanità”, Milano, BUR, 2001, pp. 96 – 98)
Il neuroantropologo Terrence Deacon in un articolo comparso nel 1989 sulla rivista “Human Evolution” ha affermato «La capacità di linguaggio articolato ha richiesto un lungo periodo (almeno 2 milioni di anni) di selezione determinata dalle interazioni fra il cervello e il linguaggio stesso». Nel 1997 ha scritto un libro su questo argomento (“The Symbolic Species”) dal sottotitolo assai esplicito al riguardo: “The co-evolution of language and the brain” (“La co-evoluzione del linguaggio e del cervello”).
Naturalmente altre concause hanno contribuito nel tempo al nostro accrescimento encefalico, tra cui il passaggio al bipedismo con il conseguente libero uso degli arti superiori, l’uso del fuoco con la conseguente cottura dei cibi e il passaggio alla dieta carnivora, e via dicendo.
Ma mentre queste concause sono di origine “fisica” e sono andate ad incidere “fisicamente” (o “chimicamente”?) sull’accrescimento e lo sviluppo della nostra corteccia cerebrale, la cultura e il linguaggio sono di origine “mentale”, per non dire “astratta”, ovvero sono la risultante di un cervello già super evoluto che poi ancora si sviluppa in virtù delle sue stesse produzioni intellettuali.
Per fare un paragone chiarificatore, è come se il software di un computer andasse a modificare l’hardware del medesimo.
Che io sappia questa operazione è ancora preclusa ai nostri ingegneri informatici, ma sono certo che i progettisti dell’Intelligenza Artificiale (quella con le lettere maiuscole) ne stiano valutando la fattibilità. Sennonché un conto è valutare la fattibilità di un progetto, un altro è riuscire a realizzarlo.
Il programma “IA” (o “AI” all’americana) riguarda la costruzione di una serie di circuiti informatici tra loro collegati in modo da potersi scambiare una gran quantità di informazioni, elaborandole man mano in modo autonomo e consequenziale.
Essendo l’uomo l’artefice di tutto ciò, la logica sottintesa a tutte queste operazioni è quella umana. Ma nulla esclude che un domani queste macchine intelligenti possano accedere a qualche forma di logica diversa (superiore?) a quella tipica dell’essere umano.
Questa eventualità ha fatto viaggiare in modo eccezionale la fantasia di scrittori e registi di fantascienza, ma di questo preferisco non occuparmi, per rimanere ancorato ai fatti realmente accertati e a quelli concretamente prevedibili nel breve periodo.
Fino ad oggi è ben certo che il software che gira nei nostri computer non sia in alcun modo in grado di modificare l’hardware dei medesimi. Persino le leggende metropolitane secondo cui certi tipi di virus informatici potrebbero danneggiare (si badi bene: solo danneggiare) l’hardware sono state smentite, e quindi le due realtà restano ben distinte e separate.
Ma altrettanto certo sembra il fatto che in natura le cose sarebbero andate diversamente, e cioè che l’enorme incremento della massa e delle capacità cerebrali intervenuto nel nostro encefalo sia in buona parte addebitabile a queste stesse capacità, le quali accrescendosi hanno spinto il cervello a sviluppare se stesso. Con un termine di natura chimica questo processo si può definire “autocatalitico”.
Non c’è da stupirsi che le cose siano andate così in natura (e che forse continuino ancora a procedere in tal senso). Basti pensare che questo dispositivo super complesso che ospitiamo nel nostro cranio e tutto l’organismo ad esso subordinato derivano dall’unione di due cellule e dal loro successivo graduale sviluppo.
Nulla di analogo si profila all’orizzonte della cosiddetta ricerca scientifica umana, e sebbene il desiderio di creare una vita artificiale costituisca la massima aspirazione della volontà di potenza della nostra specie (“eritis sicut deus”!), non vi è dubbio che tale ambizione è destinata a restare solo una diabolica illusione, a testimonianza dei limiti della nostra intelligenza, al di là di ogni nostro vaneggiante delirio di onnipotenza.
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