Le emozioni e le neuroscienze affettive

Abstract:

Le emozioni sono state a lungo trascurate per il perpetuarsi del famoso “errore di Cartesio”: il filosofo francese riteneva situate, infatti, erroneamente, nel cervello solo le funzioni superiori dell’uomo – come la moralità, la ragione, il linguaggio – e provenienti dal basso del corpo, quindi meno degne di attenzione, le emozioni, alla pari degli istinti che l’uomo ha in comune con gli animali . Oggi è molto diversa considerazione che le neuroscienze hanno delle emozioni: infatti, mentre in passato esse erano considerate come stati transitori e reattivi che giungevano ad interrompere il flusso dell’attività mentale tra uno stimolo e una risposta, oggi, al contrario, si pensa che esse si riferiscano a costrutti che coinvolgono processi percettivi e di monitoraggio attivi e in continuo sviluppo adattivo, donde la considerazione del funzionamento emotivo come costituito da un insieme di componenti organizzate. Inoltre, mentre in passato gli studiosi dell’affettività si sono concentrati essenzialmente sulle emozioni semplici negative, negli ultimi dieci anni gli infant researchers hanno sottolineato la centralità delle emozioni semplici positive.

 

Secondo Le Doux la struttura-chiave di questo sistema, almeno per quel che riguarda le emozioni di rabbia e di paura, è l’amigdala, la quale valuta il significato affettivo degli stimoli che un individuo incontra, compresi gli stimoli provenienti dal cervello stesso – pensieri, immagini, ricordi – quelli provenienti dall’ambiente esterno o interno (Le Doux 1989).

Due sono i circuiti identificati da Ledoux attraverso i quali gli stimoli raggiungono l’amigdala:

– una via diretta dal talamo all’amigdala, che rende possibile una valutazione immediata e quindi conduce spesso ad un’immediata risposta di attacco/fuga;

– una via più lunga dal talamo alla neocorteccia e quindi all’amigdala, che permette ai sistemi cognitivi superiori del cervello di effettuare una valutazione più dettagliata dello stimolo, comprese le relazioni con gli altri stimoli e le rappresentazioni di esperienze passate, il che porta ad una risposta emotiva più modulata.

Allorché la risposta viene vissuta come sentimento cosciente, altri sistemi cognitivi di livello superiore offrono un’ulteriore opportunità per regolare la reazione emotiva (LeDoux 1996).

La via diretta talamo-amigdala permette al sistema emozionale di agire indipendentemente dalla neocorteccia, il che può portare ad un comportamento di “dirottamento emotivo” (Goleman 1995).

La qualità della regolazione emotiva da parte del funzionamento cognitivo sembra essere determinata sia dalla qualità delle rappresentazioni del sistema cognitivo sia dalla forza delle vie neuronali che vanno dalla corteccia prefrontale verso l’amigdala (LeDoux 1989).

LeDoux ipotizza che i sentimenti vengano vissuti quando le rappresentazioni delle valutazioni  degli stimoli effettuate dall’amigdala e dalla neocorteccia, insieme alle rappresentazioni degli stimoli scatenanti, sono immerse nella memoria di lavoro e si integrano con le rappresentazioni delle esperienze passate e le rappresentazioni del sé (LeDoux 1989).

Sono stati Lane e i suoi collaboratori a fornire l’evidenza che i correlati neuronali della consapevolezza emotiva includono l’attività della corteccia cingolata anteriore (Lane et al 1997a, 1998).

Tuttavia, la corteccia cingolata anteriore e le altri parti del sistema limbico non operano in modo isolato, ma sono funzionalmente interconnesse con le aree cerebrali superiori (LeDoux 1996; Heilman 1997).

Infatti, benché ciascuno emisfero sia specializzato in funzioni differenti, è attualmente riconosciuto che l’elaborazione emozionale, come anche l’attività immaginativa e la maggior parte di altri compiti cognitivi, richiedono in genere una certa integrazione interemisferica (Banich 1995; Pally 1998).

Per le ragioni sovraesposte le emozioni sono funzioni biologiche che si sono evolute per permettere agli esseri viventi di sopravvivere in un ambiente ostile e di riprodursi. Pertanto, esse vanno distinte dai sentimenti, che sono invece un prodotto della coscienza, etichette soggettive che l’uomo attribuisce alle emozioni inconsce.

Di conseguenza lo studio delle neuroscienze deve concentrarsi non sui sentimenti, che sono impossibili da studiare oggettivamente, bensì sulle emozioni e sulla loro base biologica, i cui circuiti neurali sono tangibili quanto quelli dei meccanismi sensoriali (LeDoux 1994, 1995, 1996).

Lo stesso LeDoux si è dedicato allo studio di un’emozionale basilare per la sopravvivenza, come la paura, nel modello del topo.

Quali cellule cerebrali si attivano in caso di pericolo, quali sostanze chimiche vengono emesse?

A queste domande LeDoux risponde sostenendo che in tutti gli animali la paura del predatore, scatenata da un segnale di pericolo, provoca subito alcune reazioni fisiologiche che portano alla fuga o alla paralisi dei movimenti.

Inoltre, LeDoux ha individuato un circuito che collega l’orecchio direttamente al talamo e da lì all’amigdala, la “piccola mandorla” situata al centro del sistema limbico che si è rivelata l’organo principale per l’attivazione dei meccanismi della paura. L’amigdala è specializzata nel reagire ad un particolare stimolo e nel provocare una risposta fisiologica, che costituisce l’emozione della paura.

Ben diverso è, invece, il sentimento cosciente della paura, attivata da un secondo e ben più lento processo cerebrale che collega l’orecchio all’amigdala e quindi alla corteccia cerebrale.

Qui il segnale di pericolo viene analizzato dettagliatamente, mediante anche l’uso di informazioni provenienti da altre parti del cervello, e soltanto dopo il messaggio viene rimandato all’amigdala (LeDoux 1994, 1995, 1996).

Ciò avviene, in quanto, se si tratta di un falso allarme, la corteccia cerca di arrestare la sensazione della paura, pur avendo il soggetto avvertito l’iniziale stato di allerta indotto dall’amigdala.

Tuttavia LeDoux ci avvisa che questo secondo circuito non funziona sempre correttamente, poiché le connessioni neurali di ritorno dalla corteccia all’amigdala sono molto meno sviluppate di quelle di andata, dall’amigdala alla corteccia, per cui è maggiore l’influenza dell’amigdala sulla corteccia che non il contrario e, pertanto, spesso stentiamo a controllare razionalmente le nostre emozioni.

La scoperta di questo doppio circuito porta a confutare il concetto, da tempo accettato, di un sistema limbico in cui affluiscono tutti i segnali sensoriali provenienti dall’esterno e dall’interno del corpo e dal quale scaturiscono le esperienze emozionali.

Ma non tutti concordano con LeDoux su questo punto.

Paul McLean, padre del sistema limbico, vede nel tentativo di liberarsi del sistema limbico un grosso errore e accusa LeDoux di sbagliare interpretando tutto solo in termini di rabbia e paura e dimenticando così l’amore. Ma questa ultimo, ben lungi dall’essere un’emozione e quindi un possibile oggetto di studio, è  un sentimento (LeDoux 1996).

 

Le emozioni nella prospettiva interpretativa di Damasio

Le emozioni sono state a lungo trascurate per il perpetuarsi del famoso “errore di Cartesio”: il filosofo francese riteneva situate, infatti, erroneamente, nel cervello solo le funzioni superiori dell’uomo – come la moralità, la ragione, il linguaggio – e provenienti dal basso del corpo, quindi meno degne di attenzione, le emozioni, alla pari degli istinti che l’uomo ha in comune con gli animali (Damasio 1994).

Le emozioni consistono in un insieme di risposte chimiche e neurali, che formano uno schema (pattern).

L’idea che le emozioni siano schemi unita all’idea di una forma di risposta multipla molto elaborata costituisce il punto chiave della definizione di emozione (Damasio 1994).

Uno stimolo di qualsiasi tipo, per esempio uno stimolo che potrebbe spaventarci o renderci felici, una volta attivo – e molto spesso può esserlo anche in modo non conscio – porta un insieme di risposte che alterano lo stato in cui si trovava l’organismo prima dell’inizio dell’interazione dello stimolo con l’organismo.

Questa è la chiave per comprendere la distinzione operata tra sentimento ed emozione, che non costituiscono dei termini intercambiabili (Damasio 1994, 1996, 1999).

Infatti, con il termine sentimento si designa qualcosa di privato, interno, psicologicamente successivo nel set di cambiamenti che avvengono nel cervello e nel corpo, per i quali si usa invece il termine emozione.

Quest’ultimo viene quindi usato per designare un possibile movimento verso l’esterno, qualcosa che può diventare pubblico: l’emozione ha, infatti, un elemento che può essere manifestato e può essere reso accessibile ad una terza persona che osserva – ad esempio cambiamenti nella postura o nella mimica facciale o in una varietà di altri comportamenti emozionali (Damasio 1994, 1996).

Il set di emozioni al livello medio è più complesso e le risposte sono contenute in schemi.

Pertanto, Damasio distingue tre stadi:

1)      lo stato dell’emozione, scatenato ed eseguito in modo non conscio;

2)      lo stato del sentimento, che può essere rappresentato in modo non conscio;

3)      lo stato del sentimento reso conscio, ossia noto all’organismo che ha sia l’emozione sia il sentimento.

Mantenendo una netta separazione tra emozione – una collezione di risposte, molte delle quali sono osservabili pubblicamente – e sentimento – l’esperienza mentale privata di un’emozione – è possibile affermare che:

  • non si può osservare un sentimento in nessun altro, ma si può osservare un sentimento in se stessi quando, in quanto esseri coscienti, si percepiscono i propri stati emozionali;
  • alcuni aspetti delle emozioni che danno origine ai sentimenti sono chiaramente osservabili;
  • i meccanismi di base che sottostanno l’emozione non richiedono la coscienza: lo stesso verificarsi di un sentimento nella limitata finestra di tempo del qui e ora è concepibile senza che l’organismo in realtà ne conosca l’accadere;
  • non siamo necessariamente consci di che cosa induca un’emozione e non possiamo controllare un’emozione con la volontà, ossia possono verificarsi rappresentazioni al di sotto della consapevolezza e nondimeno esse possono creare risposte emotive;
  • si può conseguire la capacità di dissimulare alcune delle manifestazioni esterne delle emozioni, ma mai diventare capaci di bloccare i mutamenti automatici che avvengono nelle viscere e nel nostro ambiente interno;
  • lo scatenamento delle emozioni è completamente non conscio, il che spiega anche perché sono difficili da simulare consciamente, in quanto sono eseguite da strutture cerebrali profonde, sulle quali non è possibile esercitare alcun controllo volontario.

Dunque, sappiamo di avere un’emozione quando si crea nella nostra mente il senso di un self che sente (feeling self); mentre sappiamo di sentire un’emozione solo quando sentiamo che l’emozione è sentita come qualcosa che capita all’interno del nostro organismo (Damasio 1999).

Sentire un’emozione è una cosa semplice, poiché consiste nell’avere immagini mentali che nascono dagli schemi neurali che rappresentano le variazioni nel corpo e nel cervello che costituiscono un’emozione.

Ma sapere che abbiamo un dato sentimento, si verifica solo dopo aver costruito le rappresentazioni di secondo ordine necessarie alla core consciousness.

L’esperienza svolge un ruolo di primo piano in tutto questo, dal momento che ogni esperienza lascia delle tracce, non necessariamente coscienti, che richiamano in noi emozioni e sentimenti, con connotazioni positive o negative.

Damasio definisce queste tracce marcatori somatici: somatici perché riguardano i vissuti corporei, sia a livello viscerale sia non; marcatori dall’idea che il particolare stato corporeo richiamato costituisce una sorta di contrassegno o etichetta (Damasio 1996). Così nel processo decisionale, la scelta è condizionata dalle risposte somatiche emotive, avvertite a livello soggettivo, che vengono utilizzate, non necessariamente in maniera consapevole, come indicatori della bontà o meno di una certa prospettiva.

Lo stretto legame esistente tra l’apparato della razionalità e quello posto alla base delle emozioni e dei sentimenti è confermato anche dalla pratica neurologica: infatti, pazienti con danni nella regione prefrontale sembrano perdere la capacità di provare alcune delle più comuni emozioni connesse al vivere sociale e, pur rimanendo integre le altre facoltà cognitive superiori – come la memoria o l’attenzione –, l’assenza di emozioni si accompagna, in questi pazienti, quasi regolarmente, all’incapacità di decidere in situazioni concernenti i propri o altrui interessi (Damasio 1996, 1999).

 

Le emozioni e le neuroscienze affettive

Studi sperimentali in diversi ambiti disciplinari forniscono  importanti dati sui processi emotivi, mentre i clinici sottolineano la centralità delle emozioni in tutte le relazioni umane, compresa la relazione terapeutica (Schore 1994).

Schore ha individuato nella teoria dell’attaccamento una teoria della regolazione e nell’attaccamento la regolazione interattiva e diadica dell’emozione: infatti, la capacità di attaccamento si origina durante le prime esperienze di regolazione affettiva e la madre agisce come un regolatore non solo del comportamento del bambino piccolo, ma anche della sua fisiologia non comportamentale.

Schore ha sviluppato quest’ idea, sostenendo che quest’ esperienza ha un forte impatto sulla maturazione dei sistemi regolatori del cervello (Schore 1996).

Una conferma a tutto ciò viene dalla psichiatria, che considera la disregolazione degli affetti una caratteristica centrale di tutti i disturbi psichiatrici e la perdita della capacità di regolare i sentimenti come la conseguenza di traumi precoci (Pally 2000).

Emozioni di base – come gioia, sorpresa, interesse, rilassamento, eccitazione, paura, rabbia, tristezza – compaiono in ogni individuo precocemente e si manifestano con espressioni facciali tipiche.

Le emozioni più complesse – come la vergogna, l’invidia, la colpa, l’orgoglio, la gelosia –, invece, appaiono più tardi, nel corso dello sviluppo, in quanto dipendono da particolari esperienze sociali (Schore 1994).

Oggi è molto diversa considerazione che le neuroscienze hanno delle emozioni: infatti, mentre in passato esse erano considerate come stati transitori e reattivi che giungevano ad interrompere il flusso dell’attività mentale tra uno stimolo e una risposta, oggi, al contrario, si pensa che esse si riferiscano a costrutti che coinvolgono processi percettivi e di monitoraggio attivi e in continuo sviluppo adattivo, donde la considerazione del funzionamento emotivo come costituito da un insieme di componenti organizzate. Inoltre, mentre in passato gli studiosi dell’affettività si sono concentrati essenzialmente sulle emozioni semplici negative, negli ultimi dieci anni gli infant researchers hanno sottolineato la centralità delle emozioni semplici positive.

Per quel che concerne, invece, le emozioni complesse, bisogna innanzitutto sottolineare come l’orgoglio e la vergogna rappresentino degli organizzatori primari, in quanto sono parte della condizione morale innata dell’uomo (Schore 1994).

La vergogna è un’emozione inibitoria fondamentale per la socializzazione e possiamo comprenderne lo sviluppo e l’influenza della relazione dinamica di attaccamento su di essa attraverso l’esame della relazione bambino-caregiver.

Il bambino piccolo sviluppa un attaccamento verso il caregiver regolatore che massimizza le opportunità per lui di sperimentare affettività positiva e di minimizzare l’affettività negativa (Pally 2000).

La vergogna ha risvolti psicologici tremendamente negativi per molti bambini e adulti, poiché l’orgoglio, il sentirsi in grado di, modella le strutture mentali (Schore 2001). Quando una persona ha una rappresentazione di sé come di una persona incompetente o accettata, la discrepanza con la rappresentazione del Sé-ideale può generare ulteriore vergogna e rabbia.

Così, quando una madre ha un Super-io che induce in modo pesante vergogna, inconsciamente essa nutre la speranza che il bambino riparerà il suo danno interiore e allontanerà lo svergognare che si porta dentro.

Ma, se il bambino non sarà in grado di farlo, verrà criticato per il fatto di farla vergognare e nel mondo interno del bambino si introduce un oggetto interno devastante, che l’infante non è capace di elaborare.

Dunque, lo stato emotivo e la funzione riflessiva della figura primaria di relazione sono fattori importanti nello sviluppo emotivo del bambino, come aveva già affermato Freud. I risultati delle ricerche sull’attaccamento mostrano che rappresentazioni emotive, funzione riflessiva e altre abilità di regolazione affettiva adattiva emergono pienamente in un contesto di relazioni infantili di attaccamento sicuro (Fonagy-Target, 1997; Fonagy et al, 1991, 1995; Pally 2000).

Ci sono sempre più evidenze empiriche che le interazioni emozionali tra il bambino e il primary caregiver influenzano non solo lo sviluppo delle capacità cognitive e di rappresentazione, ma anche la maturazione di parti del cervello che presiedono alla consapevolezza e alla regolazione delle emozioni (Pally 2000).

Quando le figure primarie di relazione non riescono a regolare una eccessivamente bassa e/o alta attivazione emotiva negativa possono esserci alterazioni permanenti nello sviluppo morfologico della corteccia orbitofrontale (Schore 1994, 1996).

Ciò ridurrebbe la capacità della corteccia di modulare l’attività dell’amigdala  e di altre strutture subcorticali (Teicher 1996).

Schore sembra aver individuato il sistema di controllo che regola il comportamento di attaccamento – la cui esistenza nel cervello era stata postulata da Bowlby –, localizzandolo nell’emisfero destro, ossia nell’emisfero dominante per il controllo inibitorio: infatti è questo emisfero a giocare un ruolo di primo piano nell’organizzazione dei processi e delle strategie che regolano l’affettività.

L’emisfero destro sembra processare l’informazione emotiva inconsciamente ed è coinvolto sia nella ricezione che nell’espressione della manifestazione facciale dell’emozione, donde la sua capacità di facilitare la comunicazione emotiva e gestuale spontanea (Schore 1997, 2000).

In base a ciò possiamo anche spiegare la tendenza inconscia ed automatica ad imitare e a sincronizzarsi con l’espressione facciale, la postura, i movimenti dell’altro, che rende possibile la modulazione interpersonale delle emozioni.

Per Schore tutto ciò ha un impatto non trascurabile sulla psicanalisi e sulla psicoterapia, dal momento che si riconosce che, affinché si verifichi un cambiamento duraturo, è necessario che il paziente abbia un’esperienza affettiva in presenza del terapeuta e che tutte le forme di psicoterapia promuovono un miglioramento della regolazione affettiva, confermando l’interesse agli affetti attribuito da Freud alla psicoterapia.

Inoltre, le neuroscienze ritengono che i cambiamenti emotivi non-verbali svolgono un ruolo di primaria importanza nei trattamenti analitici, un ruolo che può rivelarsi ben più importante di quello svolto dalla comunicazione verbale (Pally 2000).

Il modo in cui l’analista comunica con il paziente (ad esempio mediante l’espressione facciale, la postura, i gesti, ecc.) , è dunque tanto importante quanto quello che dice (Pally 1996).

 

In base a quanto detto finora, appare chiaro come sia soprattutto nell’ambito degli studi sulle emozioni e sull’affettività che si sta sempre più verificando una convergenza tra psicoanalisi e neuroscienze, al punto che – come già ricordato sopra – lo stesso Schore, tra gli altri, ha riconosciuto l’importanza e il contributo della teoria degli affetti elaborata da Freud, che oggi sembra essere confermata dagli studi degli infant researchers.

 

 

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

 

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Una risposta

  1. Buongiorno,articolo molto bello e interessante. Volevo fare una domanda. Quando un soggetto vive un’emozione spiacevole legata ad un episodio come si modificano le onde cerebrali? Restano vicine a ritmi Beta o scendono verso alfa, theta e delta? Grazie.

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