La Coscienza come Fenomeno Biologico

Come conoscere gli stati soggettivi

La nuova scienza del cervello e della mente è alla ricerca di una propria, autonoma epistemologia in grado di fornire finalmente i primi, sicuri riscontri oggettivi su un problema fortemente complesso, scivoloso e misterioso qual è quello della coscienza. Vi sono stati notevoli progressi, ma le teorie al riguardo appaiono insufficienti, talora ingenue e velleitarie. Dal punto di vista strettamente scientifico siamo agli albori di una vera scienza del cervello e della coscienza.

Se poi cominciamo a definire la coscienza- alla maniera di Metzinger- come “l’apparire di un mondo” ci troviamo più nell’ universo filosofico di Platone che in quello neuroscientifico di Kandel o Edelman. Invero, nella storia del pensiero si assiste ad un perenne tentativo umano di  comprendere la mente cosciente. Una delle ipotesi è che la coscienza sia una forma di conoscenza superiore che accompagna i pensieri e gli altri stati mentali.

Nel pensiero classico, nella letteratura e nella filosofia scolastica medievale, conscientia si riferiva alla “coscienza morale”. La coscienza qui è intesa come spazio interiore. Un’altra ipotesi riguarda il concetto di  coscienza interpretato come “integrazione”: la coscienza è ciò che “lega” le cose insieme. In questa accezione, si parla di “unità di coscienza”, che è la capacità della coscienza di legare sia le differenti parti della nostra esperienza cosciente, che quelle del mondo in cui ci troviamo a vivere, in una singola realtà. L’idea dell’unità della coscienza è una delle maggiori conquiste ottenute nello studio del nostro cervello. L’unità della coscienza viene così vista come una proprietà dinamica del cervello umano.

Esistono convergenti prove che “tutti i vertebrati” hanno esperienze fenomeniche (Metzinger). Possono anche non possedere pensiero e linguaggio, ma sicuramente essi provano “sensazioni ed emozioni”, e sono in condizione di soffrire. L’idea di molti neuroscienziati è che uccelli, rettili e pesci  abbiano avuto “qualche forma di coscienza”. Le prove empiriche a favore della coscienza animale sono ormai “al di là di ogni ragionevole dubbio” (Botvinick, Cohen). E’ notevole poi l’evidenza dell’esistenza di molte strutture cerebrali che sottendono la coscienza.

Questa è anzitutto un processo interno, legato cioè a una prospettiva individuale in prima persona. E’ un fenomeno soggettivo. Il tuo mondo interiore non è il mondo interore di qualcuno, è il tuo mondo interiore, un dominio privato di esperienza a cui solo tu hai accesso diretto. Questa è la ragione fondamentale che rende la coscienza un fenomeno elusivo.

Sappiamo- afferma M. Donald nel suo interessante libro “L’ evoluzione della mente” (Boringheri)- che è possibile condurre ricerca scientifica solo su oggetti dotati di proprietà che sono “osservabili da tutti”. L’esperienza cosciente invece ha un carattere soggettivo, intimo;  è accessibile soltanto a una singola persona: il soggetto dell’esperienza. Molti autori ritengono pertanto che la coscienza sia, come dicono i filosofi, ontologicamente irriducibile, poiché i fatti in prima persona “non possono essere ridotti a fatti in terza persona”. Diciamo di più. Gli elementi soggettivi della coscienza sono talmente evasivi che neppure il soggetto che fa esperienza possiede alcun criterio interno per identificarli tramite introspezione.

Il tentativo di comprendere la soggettività è il “rompicapo” più problematico che si possa trovare nelle ricerche in questo campo. Gli stati cerebrali sono osservabili. Vi sono i campi recettoriali per i vari stimoli sensoriali. Sappiamo dove hanno origine i contenuti emotivi. Conoscere gli stati del cervello o sapere dove hanno origine la memoria o le emozioni non ci permetterà però mai di capire come questi stati soggettivi vengano vissuti dalla persona in questione. Come i correlati neurali della coscienza, cioè come queste configurazioni di attivazione neurale riescano poi a dare vita a pensieri, sensazioni, emozioni e così via rimarrà un enigma forse per molto tempo ancora.

E allora se i contenuti della coscienza sono ineffabili e sfuggenti (non si può spiegare a un non vedente l’essere rosso di una rosa) come potremo  fare ricerca scientifica su di essi ? Per risolvere il problema, il modo migliore, secondo alcuni autori, è quello di negare l’esistenza delle  esperienze soggettive coscienti ( Churchland). In questo modo la nostra non sarebbe un’esperienza soggettiva, ma qualcosa di fisico, uno stato neurale, cerebrale. Dobbiamo pertanto usare concetti neurobiologici, i quali ci permettono di “scoprire” molte più cose e “arricchire” le nostre vite interiori. L’avvento di una concezione neuroscientifica, che Churchland chiama  “ materialismo eliminativista”, riguardante gli stati psicologici costituirà non un “tramonto”, bensì “un’alba” in cui la meravigliosa complessità del cervello e della mente viene finalmente rivelata.

La coscienza dunque viene concepita come “un nuovo tipo di organo”, un fenomeno inerentemente biologico. Gli organismi biologici- afferma Metzinger- sviluppano due tipi  di organi. Il primo riguarda, ad esempio il cuore o il fegato. Il secondo tipo è costituito da organi “virtuali” come i sentimenti (coraggio, rabbia, gioia, desiderio, ecc.), l’esperienza di vedere  oggetti colorati, di ascoltare musica o di avere una certa memoria. All’interno di questa coscienza biologica inizia a dispiegarsi la vita soggettiva.

In realtà, l’ enfasi sul primato della ragione prima e le neuroscienze ora stanno irrevocabilmente dissolvendo l’immagine giudaico-cristiana delle società occidentali che da sempre è stata una delle componenti di coesione sociale e morale. L’immagine cioè di un essere umano che conterrebbe il segno immortale del divino.

Il pericolo è che “spazzando” via la religione e le credenze oggi l’uomo possa vivere quella condizione che Max Weber chiamava “disincanto del mondo”. Un ulteriore pericolo è rappresentato dalle scoperte delle neuroscienze, le quali  possono essere seguite da un “vuoto” antropologico ed etico in assenza di un terreno comune per i valori e le esperienze morali condivise. Distruggendo qualunque cosa in cui l’umanità ha creduto negli ultimi venticinque secoli, lo scenario, per Metzinger, è quello del primato di un “volgare materialismo”. Disponiamo di cervelli, ma non di anime immortali. Non ci sarà mai una vita dopo la morte. Ognuno di noi è solo e vive su un pianeta desolato, in un universo fisico freddo, vuoto e triste.

 

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2 risposte

  1. Sono interessanti tutti i passaggi, ma in particolare quello che lambisce il tema religioso e secondo me ne ha tutte le ragioni: la religione è diventata un’importante pezzo della cultura dell’ “io sociale” (immaginando che tutta la società sia un unico uomo), smantellare, senza sostituire, i dogmi delle religioni principali ci metterebbe dinanzi un grave rischio sociale… Pertanto quale soluzione? Secondo me un processo ambivalente di smantellamento e ricostruzione di un nuovo credo per gli uomini, un nuovo modo di credere dove al centro ci sono i metodi del ragionamento, e non ragionamenti preconfezionati e distribuiti.

  2. Anch’io come appassionato di neuroscienze nel mio piccolo sto tentando di dare una definizione di coscienza,ma è difficile solo cercare di inquadrarne il concetto,forse perché ogni individuo se la sente come propria.
    La coscienza si potrebbe definire come l’aggiornamento istantaneo dell’elaborazione dei precedenti aggiornamenti delle nostre esperienze e memorie sensoriali,si potrebbero dare molte altre definizioni in modo da accontentare un po tutti,ma saremo sempre al punto di partenza.
    Come materialista spinto agli estremi l’unica definizione accettabile di coscienza che ho trovato è la seguente.
    La coscienza è una sequenza minima di stati di materia con una frequenza minima.
    La materia è costituita naturalmente dal sistema nervoso,sia centrale che periferico,in pratica sarebbero necessari 2 o 3 secondi,40 o 60 istantanee di tutto il sistema nervoso per dare la percezione della vita,non solo umana ma su più livelli anche animale.

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