Il Neuromarketing dei sensi

In questo articolo viene affrontato il tema dei sensi e di come questi vengano sfruttati dagli esperti di neuromarketing e pubblicità per influenzare le scelte e le preferenze dei consumatori.

Introduzione

Niente è nell’intelletto, che prima non sia stato nei sensi

Aristotele

In generale per “sensi” s’intendono i sistemi sensibili a determinati stimoli provenienti dall’ambiente esterno ed in cui recettori specializzati traducono tali stimoli in impulsi nervosi. Di conseguenza, con il termine “sensibilità” ci si riferisce alla capacità di un recettore di rispondere in modo selettivo e differenziato a stimolazioni sensoriali. In particolare, come fa presente Galimberti (1999), le sensazioni differiscono tra loro per le caratteristiche: correlate alla qualità, all’intensità ed alla durata. Le qualità, o meglio le diverse qualità sensoriali (che possono essere visive, tattili, dolorifiche, uditive, ecc…) si originano nei diversi recettori periferici, quindi sono mediate da un insieme di differenti sistemi di sensibilità e da varie aree di proiezione corticale del cervello ove infine giungono i messaggi. L’intensità indica il diverso numero d’impulsi che percorre ciascuna fibra nell’unità di tempo e per il diverso numero di fibre eccitate nell’ambito di una data via afferente. Entrambi questi fattori variano in funzione dell’intensità della stimolazione agente sui recettori. La durata dipende direttamente dal tempo della stimolazione e dai suoi effetti fisiologici condizionati dall’interferenza di fenomeni quali l’adattamento e l’abituazione. Per la misurazione della sensazione si ricorre al concetto di “soglia”, atto volto ad individuare una caratteristica variazione della sensazione da uno stimolo minimo in grado di suscitare una sensazione a quello superiore al di là del quale la sensazione non aumenta più o scompare.

“Non vediamo prima e giudichiamo poi. Prima definiamo e poi vediamo”.

Walter Lippmann

Come fa notare il neuroscienziato Estanislao Bachrach (2018) la percezione è da considerarsi la funzione mentale che ci permette, grazie ai sensi incaricati di riunire insieme le informazioni provenienti dall’ambiente e meglio conosciute con il nome di “stimoli”, di muoverci nel mondo esterno. Utilizzando gli stimoli sensoriali il cervello formula idee, opinioni, valuta situazioni, genera risposte ed infine archivia nella memoria ciò che ha imparato. La percezione non è più, ormai da molti anni, ritenuta un processo passivo ma è attualmente considerata un processo attivo e diversi dati scientifici lo dimostrano. Infatti contribuisce a costruire la realtà che in gran parte presenta una componente personale che dunque dipende dall’individuo coinvolto in quella situazione. Tale aspetto personale del mondo esterno è funzione delle credenze ma anche della circostanza in cui l’individuo si trova a vivere in quel momento che generalmente viene messa in parallelo con le nostre esperienze passate, anche se bisogna tenere presente che ogni percezione può essere simile ad una già vissuta ma non è mai esattamente uguale ad un’altra perché differisce sempre almeno per qualche piccolo elemento. Quindi i sensi permettono di ricevere, elaborare ed interpretare l’informazione proveniente dall’ambiente circostante. Per far ciò, come accennato in precedenza, si ricorre alla memoria a lungo termine e di conseguenza all’esperienza passata correlata ad una situazione simile, la quale diventa fonte d’apprendimento dislocandosi in aree determinate del cervello dove è possibile elaborarla automaticamente. Ciò non di meno esperienze nuove aggiungono nuove connessioni neuronali attraverso cui si strutturano nuovi legami sinaptici ed attraverso i quali si perfeziona la percezione del mondo.

“Non si può spiegare ogni cosa, perciò esistono i sensi”.

Silvia Zoncheddu

Gli esseri umani percepiscono tutti i sensi come dotati di specifiche peculiarità emozionali e la nostra reazione a queste caratteristiche può anche variare con l’umore e tra i diversi individui. Tale ambiguità può essere un motivo per cui un singolo oggetto può suscitare reazioni (o meglio delle emozioni) molto differenti in persone diverse o anche nello stesso individuo in momenti diversi. Antonio Damasio (1995) definisce le emozioni come l’innesco di un perturbamento di un certo stato a causa di uno stimolo esterno, come programmi di azione complessi ed in larga misura automatici messi a punto durante l’evoluzione e che implicano azioni eseguite dal corpo, come ad esempio le espressioni facciali -conseguenza dello stimolo sensoriale (nel caso della vista sono i fotorecettori dei nostri occhi ad essere stimolati) che può influenzare direttamente il nostro comportamento. Le emozioni, che vengono elaborate soprattutto dall’amigdala la quale produce una risposta inconscia, ci guidano nel mondo esterno spesso anche senza un’apparente spiegazione (i sentimenti invece sono successivi alle emozioni e sono coscienti).

Eric R. Kandel (2012) definisce la “sensazione” in maniera simile a come concepisce le emozioni Antonio Damasio.

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La “percezione” invece è un passo successivo che integra l’informazione che il nostro cervello riceve dal mondo esterno con la conoscenza basata sull’apprendimento la quale si fonda su esperienze precedenti e sul controllo delle ipotesi e che diventa coerente quando il cervello le assegna un valore, un significato ed un’utilità.

“Le emozioni svolgono un ruolo centrale nell’organizzare la nostra esistenza”

Cristina Bicchieri

Più precisamente ogni stimolo sensoriale ricevuto viene immediatamente elaborato dall’amigdala (situata in profondità del lobo temporale dell’encefalo), la quale coordina gli stati emotivi che producono a loro volta una risposta inconscia. Infatti le aree cerebrali della visione e di altri sensi sono collegati con l’amigdala, la quale codifica e coordina la risposta dei circuiti neuronali a questi stimoli emotivi e li integra anche con le esperienze individuali pregresse e nel caso in cui questi stimoli siano nuovi li apprende. In questo modo il significato emotivo individuale generato da quel senso visivo influenza le nostre emozioni e di conseguenza altri aspetti della coscienza ovvero la percezione, il pensiero e il processo decisionale. Ciò che è fondamentale per l’inibizione dell’amigdala per l’integrazione emotiva, cognitiva e dell’informazione sociale è la corteccia prefrontale che ha in parte la capacità di limitare le scelte impulsive. Anche l’ippocampo gioca un ruolo importante nelle emozioni insieme all’amigdala, ad altre strutture sottocorticali ed alla circonvoluzione cigolata che si trovano all’interno del sistema limbico che a sua volta fa parte del circuito di Papez, essenziale per l’elaborazione delle emozioni. L’amigdala è rilevante per la memoria emotiva implicita e quindi non cosciente invece l’ippocampo è importante per il ricordo esplicito ovvero cosciente di eventi emozionali (oltre ad essere coinvolto nel recupero delle informazioni di recente formazione). Anche il talamo, che fa parte del sistema limbico, oltre ad essere fondamentale per il controllo dello stato di veglia funge anche da stazione di scambio per i percorsi che portano sia “dalla” che “alla” corteccia cerebrale. In particolare nel talamo giungono i fasci nervosi che trasportano la sensibilità generale e le sensibilità specifiche (acustica, visiva, gustativa e tattile) dalla periferia alla corteccia cerebrale. Nel contempo, però, nel talamo è dove giungono i fasci nervosi provenienti dagli altri nuclei talamici e dall’ipotalamo (che si trova anatomicamente sotto il talamo e svolge la funzione del controllo sia del sistema nervoso autonomo che del sistema endocrino) per inviare le informazioni alle aree associative dei lobi frontale, temporale, parietale e occipitale. Quindi nel talamo viene elaborata la componente protopatica delle emozioni che è in grado di riconoscere grossolanamente le peculiarità degli stimoli sensoriali e le sue implicazioni affettive o dolorose, mentre nella corteccia viene elaborata la componente epicritica intellettiva ossia la capacità di analizzare esattamente le caratteristiche che suscitano determinati stimoli. Come nota Edoardo Boncinelli (2017), gli esseri umani presentano una cosiddetta “via bassa” o talamica (che è comune anche negli animali inferiori) costituita dal circuito “sensi-amigdala-ipotalamo-reazione”. Inoltre gli uomini, essendo animali superiori, hanno anche una “via alta” o corticale che connette gli stimoli alle reazioni corrispondenti e coinvolge anche elaborazioni superiori, cioè corticali, dello stimolo percepito. Ciò non di meno entrambe le vie partono comunque dall’amigdala, sede delle emozioni, la quale fa una proposta che viene successivamente confrontata con l’archivio delle memorie per far sì che in tempi rapidi il corpo sappia come si deve comportare.

È interessante tenere presente come in ambito economico e di marketing venga considerata la preferenza degli assiomi che caratterizzano la struttura delle preferenze individuali, il cui obiettivo è quello di permettere la formulazione del criterio di scelta razionale da parte del consumatore. Sulla base di tali scopi vengono formulate prima delle strategie e poi delle tattiche. Una di queste può essere la stimolazione sensoriale nei potenziali consumatori, come fanno notare Cotrufo e Ureña Bares (2018) Più nello specifico grazie alle nuove scoperte ed ai progressi delle neuroscienze sono state create anche delle nuove materie di studio come ad esempio il neuromarketing.

Più precisamente per neuromarketing s’intende quella disciplina che utilizza le conoscenze dei processi emozionali coinvolti nella presa di decisioni per applicarle alla vendita di prodotti, beni e servizi. Conoscendo l’importanza della componente emozionale negli acquisti è in grado di ottimizzare le vendite, così come il conto economico, utilizzando i progressi neuroscientifici anche tramite esperimenti condotti già da diversi anni, come fanno presente Fabio Babiloni, Vittorio Marco Meroni e Ramon Soranzo (2007).

È necessario tenere presente che tradizionalmente i sensi seguono lo schema sensoriale concepito da Aristotele nel IV secolo a. C. che ne prevede cinque: la vista, l’udito, il tatto, il gusto e l’olfatto. Di seguito verranno presentati gli aspetti principali di questi sensi anche se, come fa notare José Viosca (2018), tale idea aristotelica sia ormai diventata obsoleta. Nel corso del tempo infatti sono stati scoperti molti altri sensi che contribuiscono alla percezione del mondo esterno, nonché quella del proprio corpo, come ad esempio il senso del dolore (da non confondere con il sentimento del dolore), la termorecezione (che rileva la temperatura interna ed esterna al corpo), la magnetoricezione (capacità di rilevare la gravità) e l’eterocezione (come la sensazione di sete e la fame).

In questo articolo però, per semplificare il già complicato argomento, ci si focalizza sui cinque sensi aristotelici i quali vengono inizialmente affrontati singolarmente e successivamente collettivamente, come fattore multisensoriale.

Il senso della vista

“Gli occhi sono un mistero, si aprono dopo la nascita, ci accompagnano nella memoria del tempo, dietro di loro c’è la porta invisibile del mondo”

Romano Battaglia

La visione è diventata il senso principale nel momento in cui gli esseri umani hanno guadagnato la posizione eretta. Ognuno raccoglie vari flussi d’informazione che comprendono colori, forme, movimenti, linee e così via, il tutto reso possibile anche grazie alla visibilità della luce, ovvero onde elettromagnetiche. Il segnale elettrico una volta generato nei fotorecettori dell’occhio (bastoncelli e coni) viene trasferito sul circuito della retina fino alle cellule gangliari, per arrivare al cervello attraverso il nervo ottico. Le informazioni contenute nell’occhio -acquisite attraverso piccoli movimenti automatici ed inconsapevoli chiamati “movimenti saccaridi” che analizzano l’immagine- sono frammentarie e non hanno ancora senso. Infatti queste vengono elaborate e riassemblate nel cervello per diventare l’immagine finale unitaria e significativa (talvolta la mente umana ci inganna creando le cosiddette “illusioni ottiche”). Inoltre è stato riscontrato che il 70 per cento dei recettori sensoriali del corpo è localizzato negli occhi e che questi influiscono anche sugli altri sensi. Gli occhi percepiscono ma è il cervello che elabora e che consente di ricordare perfino a distanza di tempo. La ricostruzione delle immagini visive sono in parte influenzate dalla nostra conoscenza e dai ricordi generati dalle esperienze vissute in precedenza.

La caratteristica del cervello umano di ricordare l’immagine percepita nel tempo viene molto sfruttata dai pubblicitari per stimolare il ricordo spontaneo degli annunci pubblicitari.

Nel neuromarketing sono stati studiati, ad esempio, i colori che possono influire sugli acquisti a cominciare proprio dallo spazio d’acquisto. A titolo esemplificativo per la tinta delle pareti interne dei negozi si predilige l’uso del blu, colore che rilassa e che stimola i clienti a scegliere con calma mentre per gli esterni e le vetrine si preferisce utilizzare il rosso, colore che oltre ad esercitare attrattiva per i clienti, soprattutto per le strutture commerciali di grandi dimensioni, è anche in grado di provocare una sensazione di eccitazione, come fa presente Jean-Gabriel Causse. (2011). Il colore verde invece viene associato alla positività, alla natura ed incentiva la creatività e quindi può essere sfruttato in una strategia di marketing in cui vengono associate queste peculiarità per far sì che il consumatore si ricordi di quel prodotto specifico.

È interessante tenere presente anche la questione dei marchi che, come ci riporta Maria Catricalà (2007), si distinguono in “nominativi”, quando sono costituiti da una o più parole, “figurativi o emblematici” se invece sono costituiti da immagini, come un logo ed infine i “verbo-iconici o misti” quando presentano tanto immagini che parole. In tutti questi casi infatti è possibile riscontrare che chi si occupa di marketing gioca con il formato e lo stile del lettering, i colori e le forme dei brand o dei font di materiale visivo per creare delle particolari illusioni ottiche affinché il marchio rimanga impresso e sia facilmente identificabile nella mente dei consumatori. Più nello specifico, rispettando quanto sostiene Giampaolo Fabris (1992), sull’ottenimento del successo di una campagna pubblicitaria e quindi nella commercializzazione di un prodotto bisogna seguire sia quelle che lui chiama le “4 i” ovvero impatto, interesse, informazione ed identificazione sia le cosiddette “4c” cioè comprensione, credibilità, coerenza e convinzione.

Del resto, come fa notare Annamaria Testa (2007), ormai siamo costantemente coinvolti in un mondo invadente di pubblicità per la costante esposizione in tutti i modi possibili e per quanto concerne le stimolazioni visive è possibile rilevare che questa occupa i posti più svariati diventando anche “luogo fisico” tant’è che vengono progettati edifici o porzioni di territorio con i criteri di veri e propri i messaggi pubblicitari per farli diventare dei cosiddetti “brandscape”.

Per quanto riguarda i dispositivi ed i media d’alta tecnologia come i computer, i cellulari, i tablet si stanno sviluppando nuovi studi ed anche nuove tecniche pubblicitarie che siano in grado di catturare l’utente. Come fanno notare Dave Chaffey, e Fiona Ellis-Chadwick (2012) le pubblicità anche in questo campo sono sempre più invasive in quanto è impossibile non notarle sullo schermo come per esempio i vari formati di “display advertising” dove tra questi imperano i “banner” oppure i cosiddetti “interstitials” ovvero pagine web di pubblicità intermedie che appaiono prima che un’altra pagina del sito che interessa si apra e che coprono per pochi secondi in parte o tutta la finestra principale del browser. Tutte queste pubblicità coinvolgono soprattutto il senso della vista seppure alcuni formati anche il senso dell’udito tramite le musiche d’accompagnamento come negli spot televisivi. In questo settore è importante anche tenere conto delle differenze che esistono tra i colori stampati ed i colori da schermo innanzitutto perché le immagini dei prodotti possono risultare diverse e meno attraenti e poi perché il nostro movimento oculare non si sofferma su talune parti essenziali di un sito come le icone se non ci attirano. Riguardo a questo ultimo punto si pensi all’importanza che tutto ciò riveste nei siti di vendita come ebay in cui è di fondamentale importanza che le icone siano assolutamente ben visibili ed attraenti a cominciare, ad esempio, da quella del carrello in maniera che l’utente sia stimolato all’azione dell’acquisto e non si disincentivi al punto tale da desistere addirittura dall’atto di acquisto. La cura per avere una grafica d’effetto è essenziale non solo sul web e nel cartaceo ma anche nei testi dell’e-mail marketing e nei mobile text Messaging (es. MMS). Come è stato dimostrato anche sperimentalmente i colori hanno il potere d’indurre delle reazioni umane e nel caso specifico le reazioni dei potenziali fruitori e naturalmente il campo del web non fa eccezioni. A titolo esemplificativo, come fa presente Causse (2011), la predilezione del colore rosso viene utilizzata per evidenziare le icone o le scritte più importanti ed è dovuto al fatto che questo colore stimola una maggiore attenzione.

Il senso dell’odore

“L’odore subito ti dice senza sbagli quel che ti serve di sapere; non ci sono parole né notizie più precise di quelle che riceve il naso”

Italo Calvino


L’olfatto, come fanno presente D’Amico (2018) e Bachrach (2018) è il più antico dei sensi umani e l’unico che raggiunge direttamente l’amigdala e la corteccia olfattiva senza bisogno di sostare nel talamo come invece fanno l’udito, il tatto, il gusto e la vista. In una prospettiva evolutiva si spiega con il fatto che l’olfatto era incaricato di avvertirci rapidamente se un potenziale alimento aveva un cattivo odore e che di conseguenza poteva essere nocivo e ciò succede anche adesso (gli odori sono stimoli chimici). Il collegamento diretto fra sistema olfattivo e amigdala si spiega con il fatto che quest’ultima influisce sul battito cardiaco, sulla pressione sanguigna e sulla sensazione di calma e benessere. In altre parole ci sono odori che ci mettono in ansia o in allerta e altri che invece ci seducono e ci attraggono. Questi ultimi, ad esempio, sono quelli che vengono usati in aromaterapia. Non solo ma gli esseri umani emanano inconsapevolmente un “odore” che deriva da particolari sostanze biochimiche percepibili appunto attraverso l’olfatto, senso che viene attivato dai ferormoni i quali vengono recepiti da un organo che si trova nel naso, detto “vomeronasale” o VNO. I ferormoni vengono secreti dalle ghiandole apocrine, ovvero da quella parte delle ghiandole sebacee che scatenano un’ampia gamma di comportamenti istintuali tra cui l’aggressività e l’impulso sessuale. È opinione diffusa e non è una possibilità da escludersi che i ferormoni umani influiscano in maniera non cosciente in alcune aree del cervello. In ogni caso e per fortuna la parte cosciente di un individuo è prevalente e l’istruzione, la cultura ed il buon senso contribuiscono alla repressione di questi impulsi, o almeno ci si augura che sia così ed è quindi più probabile che il comportamento umano sia generato da un’azione combinata di ferormoni e di intelletto.

Inoltre è necessario tenere presente lo stretto legame che esiste tra il sistema olfattivo, l’amigdala, centro delle emozioni e la memoria. Infatti, nonostante solo l’un per cento del cervello sia coinvolto nei processi olfattivi, se si annusa qualcosa di familiare o evocativo, il ricordo della prima volta che abbiamo sentito quell’odore risveglierà subito le emozioni del passato che spesso si tende ad idealizzare rimembrandolo con nostalgia.

Gran parte del piacere che si prova mangiando qualcosa di gustoso dipende proprio dall’olfatto che riceve l’informazione chimica non solo mentre mastichiamo ma addirittura prima di metterlo in bocca. Questa informazione è molto più incisiva di quella fornita effettivamente dal sapore. Il naso contiene dei recettori del dolore e per questo motivo alcuni odori particolarmente acuti ci trasmettono una sensazione molto pungente, ne è un esempio l’ammoniaca.

A quanto sembra, fra i cinque ed i dieci anni d’età, si è maggiormente in grado di memorizzare gli odori piacevoli perché proprio in questo periodo si sperimentano molti odori per la prima volta.

Nel marketing si tende a sfruttare gli odori, come quelli associati all’infanzia e che sono conservati molto vividamente nella nostra memoria. A tal proposito gli esperti di neuromarketing creano associazioni olfattive con un marchio od un prodotto utilizzando, ad esempio, profumi molto piacevoli, connessi con esperienze passate e che di conseguenza sono rimasti impressi nella mente dei consumatori. A riprova di questo sono stati condotti diversi studi che dimostrano che questa teoria viene utilizzata nel mondo del commercio. Per esempio sembra che nelle boutique di moda femminile la presenza di profumo di vaniglia produrrebbe un aumento delle vendite, mentre nei negozi di moda maschile lo stesso effetto si otterrebbe con un aroma ottenuto miscelando la fragranza di miele con quella di rose. In riferimento invece al settore immobiliare sembra che l’odore di biscotti appena sfornati riuscirebbe a sedurre le persone che visitano le case in vendita inducendole all’acquisto. Nel settore della vendita di automobili di lusso o della valigeria l’odore di cuoio verrebbe invece associato alla ricompensa ed al relax ed indurrebbe l’incremento delle vendite.

Il senso del gusto

“Il gusto di un cibo, di una cosa, di una persona, può ingannare perché contiene troppe possibilità di errore. Può essere alterato dal nostro appetito, dalla nostra curiosità, dal nostro desiderio, dal momento della sorpresa come da quello dell’assuefazione. Solo il retrogusto conserva il vero sapore diluito sì, ma anche depurato; e solo nel retrogusto si manifesta l’idea della persona, della cosa e del cibo che abbiamo assaporato.”

Arthur Schnitzler


Quasi i tre quarti delle informazioni che il cervello percepisce come sapore entrano dal naso e per questo quando si ha il raffreddore in genere si perde il gusto del sapore. Il senso del gusto (che come l’olfatto è un senso chimico) protegge gli esseri viventi da potenziali intossicazioni provocando riflessi involontari quali lo stimolo della nausea oppure un senso di soffocamento e quindi di rifiuto per qualcosa che non piace. Questo è dovuto, come già osservava Charles Darwin, al fatto che il gusto ha una forte valenza adattativa nella lotta per la sopravvivenza in quanto fornisce al soggetto informazioni sulla velenosità delle sostanze. La prima cosa che assaggiamo è il latte materno e, di conseguenza, sembra che da adulti il desiderio di alimenti dolci e tiepidi ci riporti inconsciamente alla mente quel momento. Le papille gustative della lingua recepiscono cinque sapori differenti che sono detti “sapori primari”: dolce, amaro, salato, acidulo e “umami” (che potremmo definire “carnoso” ed è presente in numerosi additivi). Quest’ultimo fu scoperto dal nipponico Kikunae Ikeda agli inizi del XX secolo il quale isolò il componente chimico a partire dalla tradizionale ricetta del brodo “dashi” e chiamò questo sapore con il nome di “umami”, termine derivante dall’aggettivo “umai” che in giapponese significa “squisito”. È secondo questi quattro assi che ad ogni sensazione del palato corrisponde una valutazione della sensazione percepita. In questo modo si riesce ad apprezzare, a valutare e talvolta a riconoscere l’intera gamma dei sapori percepiti dagli esseri umani. La ragione della limitatezza della percezione gustativa è dovuta al fatto che si possiedono soltanto quattro tipi di recettori chimici nelle nostre pupille gustative.

Certi cibi salati ed in particolare quelli contenenti grassi oppure i dolci provocano la secrezione di endorfine che migliorano l’umore. Il desiderio di carboidrati è prodotto dalla necessità d’innalzare i livelli di serotonina, un neurotrasmettitore sedante. Gilbon (2006) ha esaminato come il percepire il gusto di una sostanza possa alterare l’umore e la predisposizione emotiva di una persona. Ad esempio mangiare cibi dolci tende con maggiore probabilità a migliorare l’umore ed a ridurre gli effetti dello stress attivando la produzione di oppioidi e dopamine a livello cerebrale. Mangiare cibi salati ha un effetto sulla pressione arteriosa e quindi ci aiuterebbe a “tirarci su” quando ci sentiamo piuttosto fiacchi. Ovviamente il valore relativo che ognuno ha nei confronti di ciascun cibo dipende anche dalle abitudini, dalle aspettative e dalle esigenze del soggetto oltre che da altre condizioni fisiche e psicologiche più o meno transitorie (per esempio una condizione premestruale è caratterizzata da una disforia) e relative a quel momento specifico. Alcuni esperimenti rivelano che determinate voglie alimentari sono genetiche: i gemelli omozigoti separati alla nascita mostrano le stesse preferenze ma lo stesso non avviene con i gemelli eterozigoti.

Il gusto influenza gli stati emotivi sia in maniera positiva che in maniera negativa. Ad esempio una recente ricerca condotta da Danda e Noel ha dimostrato che uno stesso dessert può essere percepito più o meno dolce a seconda delle particolari circostanze che coinvolgono i soggetti interessati. Un esperimento ha dimostrato che centinaia di tifosi di hockey che al termine di una partita dovevano scegliere tra due gelati uno più dolce ed uno più acido, indipendentemente dalla scelta, percepivano ambedue i gelati più dolci in caso di vittoria e più amari dopo una sconfitta.

Parecchi studi si sono interessati alle modalità in cui il cibo, attraverso il gusto possa influenzare la nostra esperienza emotiva.

È interessante notare come nel marketing ed in particolare in quello di ambito gastronomico, si suole far assaggiare ai potenziali clienti, ad esempio nei supermercati oppure in enoteche, il cibo venduto con l’obiettivo di attirare e spingere così all’acquisto i potenziali consumatori. Non solo ma anche il sapore talvolta peculiare e caratteristico che viene rilasciato da alcuni dentifrici o caramelle risultano essere delle vere e proprie strategie di marketing.

Il senso del tatto

“Il tatto è il senso dell’avventura.“

Fabrice Hadjadj


Come fanno presente Sigman (2017) e Bachrach (2018) quando si è neonati il senso del tatto costituisce una maniera importante per esplorare il mondo ricoprendo un ruolo fondamentale e facendo addirittura la differenza tra la vita e la morte. A tal proposito è stato dimostrato che il contatto fisico fra la madre e il figlio è essenziale per la crescita del bambino. Il tatto è il senso che si sviluppa prima degli altri nel corso della gestazione ed è direttamente collegato con i primi stadi dell’intelligenza. Infatti a differenza degli altri cinque sensi umani l’organo connesso al tatto è possibile identificarlo nella pelle. È la cute che separa l’essere umano dall’esterno, lo protegge dalle aggressioni esterne e poi a seconda delle situazioni lo raffredda, lo riscalda, produce vitamina D, conserva i suoi fluidi e si rigenera continuamente. La pelle presenta dei recettori del tatto che sono in grado di captare pressione, temperatura, dolore ed altro e che sono distribuiti in modo irregolare su tutta l’estensione del derma. Le varie aree del corpo presentano una sensibilità diversa che dipende dai recettori presenti e dalla loro distribuzione sulla pelle. Per questo motivo ci sono differenti livelli di sensibilità al tatto ed allo stimolo del dolore che può essere provocato da pressioni meccaniche che possono essere verticali oppure orizzontali. In media ogni centimetro quadrato di pelle ospita circa duecento recettori del dolore, quindici di pressione, sei per il freddo e uno per il caldo. Da ciò si evince la necessità e l’importanza della percezione del dolore ai fini della sopravvivenza. È stato anche dimostrato che il tatto è collegato con la vista infatti quando guardiamo un oggetto il cervello non sono ne ricorda la forma visiva ma anche la sensazione tattile. Tramite il tatto il cervello cattura e memorizza sensazioni fisiche che poi vengono riportate alla mente con immagini ad esse collegate o anche solo con l’immaginazione e viceversa ovvero partendo da immagini visive il cervello associa sensazioni.

In particolare i recettori del tatto rilevano gli stimoli meccanici applicati sulla pelle, da cui il nome meccanorecettori. Questi stimoli non sono indeterminati ma appartengono principalmente a quattro tipologie molto specifiche ovvero: pressioni verticali, stiramenti, vibrazioni rapide e variazioni lente. Il primo stimolo tattile consiste nelle pressioni verticali localizzate in un punto ridotto della pelle e che si verificano quando si tocca la texture, ovvero la superficie di un oggetto di qualsiasi natura. Il secondo tipo di stimolo tattile consiste in stiramenti della pelle che si producono soprattutto quando si afferrano gli oggetti, in questi casi infatti le dita devono allargarsi e la pelle delle mani si estende. Il terzo stimolo consiste in una vibrazione lenta (tra i 10 e i 50 Hz) che si produce quando l’oggetto che si ha in mano scivola e che informa le persone sulla sua texture aiutandole a dosare la forza della presa degli oggetti e della presa per sostenerli in mano. Il quarto stimolo tattile contribuisce al controllo regolato di oggetti e consiste in vibrazioni molto rapide, come quelle generate quando si maneggia un oggetto. Questi quattro tipi di stimoli sono alla base dei tre processi tattili fondamentali: percepire i dettagli, percepire la texture e percepire gli oggetti.

All’esperienza tattile corrisponde un’ampia gamma di sensazioni ad essa associate che contraddistinguono i materiali con cui veniamo in contatto. Ciò è ben noto agli esperti di design e di marketing tant’è che si è già da tempo rilevata l’importanza estetica del packaging e del prodotto oltre all’essenzialità della peculiarità tattile per cui oggi numerosi oggetti presentano una superficie ad esempio vellutata o morbida. È quindi possibile riscontrare l’attivazione di questo senso con dei packaging accattivanti sia per le sensazioni che suscitano al tatto e sia per l’effetto visivo provocato dalle raffigurazioni pubblicitarie e che ci invogliano all’acquisto.

La multisensorialità nella vita quotidiana

Come osserva D’Amico (2018) nelle situazioni di vita quotidiana si è costantemente immersi in esperienze multisensoriali. Per esempio la sensazione suscitata dal vento sulla pelle può essere accompagnato dal fruscio delle foglie, la vista del mare dal suono della risacca oppure il gusto di un cibo è accompagnato dal suo odore e così via. Di conseguenza le emozioni vengono influenzate da più informazioni che arrivano da diversi organi sensoriali e viceversa ma è anche vero che le emozioni influenzano la percezione delle esperienze sensoriali in cui si è immersi. Gli studi che sono stati condotti in questo ambito dimostrano che le singole informazioni sensoriali non si sommano semplicemente tra loro ma piuttosto si integrano ed interagiscono tra loro. A tal proposito Hanser e Mark (2011) hanno studiato l’effetto dell’interazione musicale con gli stimoli visivi rilevando che quando la musica e lo stimolo sono emotivamente congruenti la valenza emotiva dello stimolo visivo viene enfatizzata e viceversa, se la musica e le immagini sono incongruenti la valenza emotiva dello stimolo visivo decresce o viene sottostimata. È infatti esperienza comune che quando si guarda un filmato o anche delle semplici immagini con sottofondo musicale se ne può modificare la portata emotiva, ad un punto tale che a volte non è possibile stabilire se la valenza emotiva di alcuni film che ci sono rimasti impressi sia dovuta alla colonna sonora oppure alla sequenza visiva posta nello schermo.

In generale però le emozioni rappresentano una sorta di unione e lo sfondo per integrare modalità sensoriali differenti. Ad esempio i ricercatori Barbiere, Vidal e Zellnet (2007) hanno esaminato l’associazione che veniva data ad un motivo musicale nei confronti di un colore. I risultati hanno dimostrato che alle canzoni più allegre venivano abbinati colori più brillanti come il giallo, il rosso, il verde o il blu al contrario alle canzoni tristi venivano per lo più associati colori poco vivaci come il grigio. Ne consegue che le proprietà emotive della musica venivano trasferite sulle proprietà emotive del colore e viceversa. Del resto questa scoperta non stupisce in quanto già nel 1929 i padri della Gestalt avevano evidenziato un fenomeno analogo che abbinava la forma visiva alla forma sonora di uno stimolo. Ne è un esempio un famoso esperimento che venne condotto a quell’epoca da Kolher e che consisteva nel presentare a dei soggetti due forme, una tondeggiante e l’altra morbida ed un’altra spigolosa. Successivamente veniva chiesto loro di scegliere associando a queste due forme i nomi Maluma e Takete. Il 95-98 % dei soggetti attribuiva Maluma alla figura tondeggiante e Takete alla figura spezzata. Questo era dovuto al fatto che le lettere del nome Maluma presenta lettere più tondeggianti mentre quelle di Takete sono più spezzate. Si può quindi affermare che le parole non sono solo suoni e forme ma anche esperienze emotive.

Dal punto di vista del neuromarketing è essenziale tenere presente l’aspettativa che il potenziale consumatore nutre nei confronti di un bene o di un servizio. Ogni prodotto rispecchia o suggerisce un determinato desiderio del consumatore, se questo viene trasgredito si rischia di deluderlo e di conseguenza perderlo mentre al contrario se lo si soddisfa si può fidelizzare l’utente. Dunque per ogni merce è importante curare tutti gli aspetti di ogni tipo di prodotto (l’etichetta, il packaging sia dal punto di vista visivo che tattile, l’odore oppure il profumo che emana, ecc…), perché l’insieme di tutte queste caratteristiche costituiscono il valore percepito da un consumatore.

A titolo esemplificativo José Viosca (2018) riporta un esperimento in cui una persona veniva sottoposta a monitoraggio tramite risonanza magnetica al cervello mentre assaporava diversi tipi di vino e doveva dire quali trovava più piacevoli. Prima di versare il vino nel bicchiere per la degustazione veniva mostrato al soggetto la bottiglia che era provvista di etichetta con il prezzo. Si rilevò che il prezzo influiva sulla valutazione per cui la persona giudicava più buono il vino più caro e contemporaneamente venne registrata una maggiore attività nella corteccia orbitofrontale del cervello. Ciò non di meno il prezzo dei vini era falsato. Le due bottiglie contenevano lo stesso vino. I ricercatori volevano scoprire come le aspettative del soggetto influissero sulla percezione gustativa e per dimostrarlo le hanno condizionate con etichette diverse. Nel cervello del soggetto in questione si sono combinate differenti modalità sensoriali, compresa l’aspettativa creata dai segnali visivi dell’etichetta con il prezzo. Pertanto uno stesso vino ha potuto suscitare due esperienze diverse. Va detto che ciò non vale solo per il senso del gusto ma anche per gli altri sensi.

Figure retoriche e linguaggio pubblicitario

La figura retorica che coinvolge i sensi per eccellenza è la sinestesia che si produce dall’accostamento di due parole che appartengono a piani sensoriali diversi.

In particolare si distinguono “le sinestesie affettive” comuni a molte persone che associano esperienze sensoriali ed emotive e le cosiddette “sinestesie affettive pure” che sono considerate piuttosto rare e che si manifestano in maniera involontaria con il sinesteta puro che riesce a “vedere i colori” e a “sentire i colori”. Infatti nella psicologia della percezione la sinestesia affettiva pura viene considerata come caratteristica di esperienze in cui la stimolazione di un dato canale sensoriale produce una sensazione su un altro canale sensoriale. Quest’ultimo tipo di sinestesia è una peculiarità che possiedono molti artisti come pittori, cantanti, musicisti, poeti ed attori.

Molti studi psicolinguistici hanno contribuito agli studi sulla grammatica cognitiva ed hanno consentito di rivalutare i rapporti fra il sistema senso-motorio ed il sistema concettuale umano riconsiderandoli sotto la prospettiva della teoria della percezione che prevede la mente embodied o incarnata. Questa nuova ipotesi postula che gli ascoltatori o i lettori comprendano i significati delle espressioni linguistiche attraverso la percezione degli eventi secondo i domini basici dell’esperienza, intendendo con questi ultimi i cinque sensi umani aristotelici (vista, udito, tatto, olfatto e gusto) e le percezioni spaziali, emotive e temporali. Questi domini sono descrivibili come processi di strutturazione e di rinforzo dei tratti fissi e convenzionalizzati che fungono da filtro dei tratti occasionali e ciò è possibile grazie al continuo paragone tra le esperienze passate e le categorizzazioni concettuali di strutture astratte e concrete. Va tenuto presente che negli esseri umani è stata rilevata una predilezione nella comprensione degli enunciati orientati verso una maggiore prototipicità che evocano un’immagine concreta piuttosto che astratta. Inoltre si è constatato che le proprietà rilevate dai sensi esocentrici (tatto e vista) vengono trasferite a quelli endocentrici (gusto, udito ed olfatto) e non il contrario. Tutto ciò dimostra che esiste una sorta di gerarchia fra i sensi in cui quelli della vista ed del tatto ricoprono una posizione di superiorità rispetto al gusto, all’udito e all’olfatto. Ciò che lega in una sinestesia la mappatura di un certo dominio percettivo di base o monostesia ad un altro dominio percettivo dal valore più astratto è sempre un solo “image schema,” che, il più delle volte, è quello del ‘percorso’. In conclusione le sinestesie linguistiche sono processi cognitivi e concettuali e non solo ornamenti stilistici di un testo tant’è che dietro di loro si nascondono una serie di restrizioni pragmatiche e culturali.

È poi interessante considerare i cosiddetti “ideofoni” con i quali si indicano le espressioni olofrastiche (espressioni contenenti delle parole che presentano un significato equivalente a quello di un’intera frase) che comunicano delle percezioni sensoriali di tipo uditivo, olfattivo, gustativo, tattile e corporeo oltre a modalità di movimento, dimensioni aspettuali di istantaneità o di durata (come la temperatura ambientale), stati psicologici e valutazioni etico-estetiche. È da notare che probabilmente negli spot pubblicitari spiccano le espressioni che stimolano le percezioni acustiche-uditive, ovvero le cosiddette onomatopee. Il consumatore pubblicitario infatti è ormai abituato ad immaginare e a sentire una varietà di voci, rumori ed effetti sonori che rivestono anche una grande importanza nella decodifica della parte visiva del messaggio producendo una complessa articolazione polimodale e intersensoriale degli enunciati pubblicitari.

Probabilmente all’interno degli ideofoni la figura che risalta maggiormente nelle pubblicità è quello delle onomatopee che, come suggerito dall’etimologia stessa (deriva dalle parole greche che significano «nome» e «fare»), includono notoriamente tutti gli elementi che imitano suoni o rumori provocati da fenomeni naturali, azioni, movimenti, macchine, versi di animali e accadimenti di ogni genere e parole che vengono ‘lessicalizzate’. A titolo esemplificativo sono onomatopee le seguenti parole: in italiano “gracchiare o buffetto”, in inglese “to smack”, in spagnolo “bisbisar” e in francese “ blablater o frritt-flacc”. Intorno a questo argomento sono state sviluppate svariate teorie a partire da quella elaborata da Leibniz (vissuto tra il luglio 1646 ed il novembre 1716) il quale riteneva le onomatopee forme originarie della parola, per giungere alle riflessioni di de Saussure (vissuto tra il novembre 1857 ed il febbraio 1913) sulla loro arbitrarietà fino a quelle a lui successive a favore o contro la dimensione iconica del significante. L’attuale letteratura di riferimento si è arricchita di molti studi su alcuni specifici aspetti, come la loro traducibilità e il cosiddetto dilemma della loro performatività in relazione alle tipologie delle lingue. Sulla classificazione delle onomatopee sono state elaborate molte teorie che seguono differenti punti di vista e criteri, a partire da quello basato sul numero delle sillabe presenti fino ad arrivare a quelli di tipo semantico-funzionale e grammaticale, allo scopo di stabilire la specularità onomatopeica rispetto al mondo extra linguistico. Un ulteriore modo di classificarle è in base alla mimecity, schema ideato da Takashi, in cui si valuta la differenza tra phonomime words, intese come il senso uditivo di esseri oppure oggetti animati (che in giapponese viene detto ‘giseigo’), phainomime words, quando invece ci si riferisce ad altri sensi e a differenti situazioni che possono essere animate ed inanimate (in giapponese ‘gitaigo’) e psychomime words ossia gli stati d’animo (in giapponese ‘gijogo’). Come fa notare Dogana (2002) non solo non esiste una classificazione precisa delle onomatopee ma è possibile che il fruitore possa avere dei dubbi o addirittura equivocare il significato da ascrivere ad alcune onomatopee presenti nel testo.

Bisogna però constatare che, come ha osservato Dogana (2002) fin dai tempi del Cratilo (vissuto durante la seconda metà del V secolo a. C.) è semplice trovare delle controprove che smentiscono la presunta veridicità di tali regole, così come è difficile adottare in maniera coerente le distinzioni di tipo semantico-funzionale.

Anche se ad esempio sembra abbastanza evidente la distinzione fra la natura verbale di una frase come “la strada zig-zagata”, da quella di tipo avverbiale in “la papera fa quack, quack, quack” da quella di natura nominale di una frase come “il cono gelato cadde con uno splat”.

Infine in pubblicità è possibile rilevare anche le metafore visive che sono evocative della sfera sensoriale che invece seguono un percorso inverso rispetto a quello delle onomatopee in quanto prendono forma da modi di dire e da forme idiomatiche. Il loro significato infatti non è composizionale in quanto sono caratterizzate da immagini che riproducono il significato letterale.

Conclusione

In conclusione è possibile constatare l’essenzialità che ricoprono i sensi nella vita umana e di come questi vengano utilizzati dai pubblicitari: per catturare la nostra attenzione, il ricordo del prodotto e il desiderio di ripetizione di quell’esperienza in maniera da fidelizzare il cliente. Naturalmente il tutto sta sempre al passo con le innovazioni tecnologiche che, come fa presente Montanari (2014), stanno cambiando anche la nostra sensibilità ed il modo di percepire il mondo senza considerare tutti i possibili scenari che le nuove tecnologie porteranno nelle nostre vite.

A titolo esemplificativo, Montani riporta il caso di Google Glass o GG, programma di ricerca e sviluppo di Google Inc. avviato con l’obiettivo di sviluppare un paio di occhiali, che potremmo definire “occhiali intelligenti”, dotati di realtà aumentata per conseguire diversi scopi. Il progetto è iniziato nel 2013 e dal 2014 era possibile acquistare questi occhiali negli Stati Uniti.

Con l’uso di Google Glass l’utente è in grado di attivare un’interfaccia visibile ai comandi vocali, agli spostamenti della testa ed al tocco dell’asticella destra dell’apparecchiatura sulla quale è posizionato un touchpad. Le informazioni richieste vengono visualizzate su un piccolo schermo trasparente, il “prisma”, collocato nell’angolo superiore degli occhiali ed a poco più di mezzo centimetro di distanza dall’obiettivo di cui il mezzo è dotato. Le funzioni e le applicazioni di Google Glass sono molteplici ed aumentano ogni giorno. A titolo esemplificativo l’utente ha la possibilità di effettuare una serie di operazioni come leggere la posta elettronica, inviare messaggi, condividere foto e filmati, consultare database, ottenere informazioni ed altro. Inoltre pare che ci sia una funzione che consentirebbe all’utente d’identificare le emozioni dell’interlocutore e che siano stati sviluppati anche dei progetti per ipovedenti e non vedenti. Questo tipo di tecnologia, secondo lo studioso, è una svolta significativa per la fruizione in quanto permette di uscire da uno stato simulativo d’interattività virtuale per condurci in un mondo nuovo ed inesplorato, quello dell’interattività reale. La realtà aumentata o AR (Augmented Reality) non è un ambiente artificiale immersivo che include le percezioni e le azioni umane ma il mondo reale, ontologicamente inclusivo, che ci viene incontro fornendo tramite Google Glass oppure altri dispositivi del genere una serie d’informazioni che possono a vario titolo guidare le nostre azioni. Questa innovazione è in fase di sviluppo e non si sa quanto effettivamente attecchirà sul grande pubblico oppure se resterà solamente un mezzo di nicchia. Se però avrà ampia diffusione è possibile che rientri nelle cosiddette “killer app”, ovvero tecnologie capaci di soppiantare una gran quantità di altri dispositivi come tablet o smartphone che adoperano i touchscreen, inaugurando così una nuova linea evolutiva paragonabile a quando l’umanità ha acquisito la posizione eretta. Nel 2017 è stato lanciato sul mercato anche un progetto professionale “Glass at work” ma ci sono altri progetti in corso di elaborazione.

Gli studi in neuromarketing si stanno ulteriormente sviluppando e stanno diventando sempre più sofisticati. È utile essere a conoscenza di tale tecniche per essere più consapevoli delle nostre scelte da consumatori. Nell’aprile 2006 un gruppo di ricercatori della Harvard Medical School di Boston ha scoperto l’esistenza di un gruppo di neuroni che si accendono e si spengono nel momento in cui un soggetto opera una scelta. L’esperimento è stato condotto su alcune scimmie poste di fronte a dei succhi di frutta diversi in differenti quantità. Ancora il progetto è in fase di studio ma subito i media li hanno soprannominati “neuroni dello shopping” e sono stati identificati nella corteccia orbitofrontale. Naturalmente questa scoperta ha necessità di ulteriori conferme e soprattutto di essere valutata sugli esseri umani. Forse in futuro questa ricerca condurrà ad ulteriori riscontri ed insieme ai nuovi sviluppi tecnologici e neuroscientifici che verranno fatti nel frattempo costituiranno nuovo materiale che sicuramente verrà sfruttato da coloro che si occupano di neuromarketing per trovare nuove vie che siano in grado di condurre il consumatore all’atto di acquisto.

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