Recenti esperimenti effettuati nel campo delle neuroscienze attraverso i metodi di
brain imaging hanno definitivamente mostrato che la nostra capacità di controllo
cosciente è limitata. Oggi, possiamo dire che praticamente la maggior parte dei
processi cerebrali può operare in maniera inconscia (Dehaene).
La scoperta che una grande quantità di operazioni mentali avviene al di fuori della
coscienza è accreditata a Freud. Invero, la comprensione che molte elaborazioni
mentali avvengono inconsciamente precede Freud di molti secoli.
Nell’antichità romana, il medico Galeno e il filosofo Plotino avevano già indicato che
alcune operazioni dell’organismo, come camminare e respirare, avvengono senza che
“si presti attenzione”. Anche il medico greco Ippocrate (460 a.C.), il padre della
medicina, aveva sostenuto che il cervello agisce in segreto. Successivamente, molti
filosofi, come Agostino, Tommaso d’Aquino, Cartesio, Spinoza e Leibniz avevano
affermato che il corso delle azioni umane è sorretto da impulsi inconsci, da un
insieme di meccanismi inaccessibili alla coscienza.
Alcune ricerche neuroscientifiche effettuate nel XVIII e XIX secolo hanno scoperto
“l’onnipresenza” nel cervello umano di circuiti inconsci. Nel 1868, lo psichiatra
britannico Henry Mandsley scrive che “la parte più importante della mente è attività
inconscia”. L’idea di questa struttura psichica poi è presente anche nella letteratura
romantica dei filosofi tedeschi, come Schelling, Schopenhauer e Nietzsche, i quali
mostrano come l’Io sia circondato da forze inconsce che interagiscono tra loro.
Queste osservazioni indicano come i meccanismi inconsci guidino “buona parte”
della nostra esistenza, fatto che è valutato dagli scienziati come una rivoluzione non
solo nel campo delle neuroscienze, ma anche in quello della psicoanalisi, della
letteratura, dell’arte e delle altre scienze umane.
Di fronte allo stupefacente potere dell’inconscio, la coscienza appare soltanto “una
parte piuttosto minuscola della nostra vita mentale” (Jaynes). Addirittura, alcuni
neuroscienziati affermano che la coscienza è “un puro mito”, privo di un vero potere
decisionale, in quanto “tutte le operazioni mentali sono compiute inconsciamente”.
Ci sono autori poi che ritengono che l’essenza della coscienza non può avere una
spiegazione biologica, fisica, poiché è tanto fantastica da non poter essere spiegata
attraverso neuroni o sinapsi. Altri autori invece dicono che possa esserlo, cioè che la
coscienza può essere spiegata attraverso i meccanismi cerebrali e i neuroni.
E’ possibile dunque analizzare le basi neurologiche della coscienza attraverso le
conoscenze che ci provengono dall’evoluzionismo neodarwiniano e le metodiche di
brain imaging. Sono state al riguardo individuate le basi fisiche della coscienza, ossia
le aree del cervello, come per esempio il troco encefalico e il talamo. La coscienza è
una funzione evoluta, una proprietà neurobiologica emersa dall’evoluzione in quanto
rappresenta una struttura “utile”.
Tornando al concetto di inconscio, dobbiamo precisare che il termine indica non solo
i contenuti mentali rimossi, ovvero che non sono presenti alla coscienza quali
pulsioni sessuali o aggressive censurate dalla coscienza, ma anche uno dei tre sistemi-
conscio, inconscio e preconscio- descritti da Freud per formulare la sua teoria
dell’organizzazione dell’apparato psichico. La maggior parte della nostra vita
mentale, per il padre della psicoanalisi, procede in “modo inconscio”. Il quale può
essere conosciuto mediante sogni, sintomi, lapsus, atti mancati, ecc. La coscienza è
quindi “solo una proprietà di una parte della mente”. Questa teoria, oggi, è
ampiamente “accettata” anche dalle nuove neuroscienze, come rivelano le evidenze
che provengono dall’osservazione clinica di pazienti che hanno subito un danno
cerebrale.
Il merito della psicoanalisi è stato quello di fornire, tra l’altro, nuovi strumenti per
comprendere gli eventi mentali legati alla creazione artistica e al testo narrativo,
come dimostra il nuovo libro di Carlo Di Lieto, che s’intitola “L’inconscio. La
letteratura e l’ospite inquietante” (Marsilio Editori, 2020). La dimensione letteraria e
artistica, per l’autore, non è altro che “una realizzazione allucinatoria dei desideri
inconsci”. Attraverso l’opera, si rivelano le istanze più nascoste e profonde della
condizione umana e di come il “doppio” sia un aspetto dell’ io-diviso.
Il legame tra letteratura, arte, creatività, divinità, follia e sofferenza mentale è stato
descritto nei miti greci. Per Socrate, la follia è un dono del cielo, è il mezzo attraverso
cui noi riceviamo “le maggiori benedizioni”. L’arte, in tutte le sue espressioni,
costituisce la forma più elevata di rappresentazione della sofferenza dell’artista, dei
suoi stati d’animo, delle sue ferite e in sostanza della condizione del senso tragico
dell’esistenza. Secondo Aristotele, filosofi, artisti, poeti e letterati hanno un
temperamento malinconico e il dolore espresso dalle tragedie ha un effetto catartico,
costituisce un atto liberatorio, di purificazione.
L’analisi dell’autore si sofferma in particolare su Francesco di Assisi, il “Dolce stil
novo”, Edmondo De Amicis, Leopardi, Nietzsche e Pirandello. In tutti, domina la
scissione dell’io, un io diviso, destituito, frammentato.
In Francesco D’Assisi (1181), psiche e cosmo sono i due poli della medesima
espressività, i quali sono esaminati e celebrati nel “Cantico delle creature”, un’opera
che dà inizio alla poesia italiana e rappresenta una “lode universale”, la “matrice” di
un movimento nuovo di pensiero.
In questo autore, la “pulsione di vita” diventa, per Di Lieto, “amor vitae” e percorso
emotivo di un “flusso ininterrotto dell’io”. E’ una pulsione presente nell’esaltazione e
nell’incantesimo dell’Ego, nell’eco del creato e nell’esperienza catartica della
maestosità della “sora nostra madre terra”. La madre terra è un’immagine primaria
della psiche. E’ la ricerca dell’oltre, del soprannaturale, di un aldilà metafisico e
ultraterreno. La ricerca dell’oltre esprime la visione dell’inconscio. Qui, l’immagine
del Sé si fa “autoanalisi” e “autocoscienza”, mentre c’è coesistenza di pulsione di vita
e di morte, insieme con “lo straniamento dell’io, proiettato verso una destinazione
“altra” della vita.
San Francesco scrive il Cantico delle creature in un momento di grande ispirazione,
creatività poetica e serenità dello spirito. L’opera si apre a “un’estasi mistica”, alla
magica bellezza del paesaggio umbro e a un mondo in cui tutte le creature sono
chiamate con il nome di fratello e sorella. Gli esseri umani, gli elementi della
filosofia naturale- acqua, terra, aria, fuoco- e la morte partecipano a questa lode
universale. Che è attraversata dalla presenza del sacro, dalla dimensione del
trascendente e dell’oltre. In questa armonia del creato, c’è l’esaltazione dell’io
insieme con il suo incantesimo e con la sua tranquillità spirituale.
Anche i poeti del “Dolce Stil Novo” presentano una scissione dell’io. La donna-
angelo è un tramite per raggiungere la divinità e la salvazione, un simbolo che media
tra Dio e l’uomo. La passione, il desiderio, il “principio di piacere”, la carica sensuale
“evadono” nel sovrasensibile. In Dante, l’Inferno diventa l’inconscio, il Purgatorio, il
luogo della rigenerazione e della catarsi, mentre Beatrice è il simbolo della vita
affettiva, che si “sublima” per raggiungere la pacificazione interiore nel Paradiso e
Virgilio è l’immagine del medico-psicoanalista.
La Commedia, secondo Sollers, è uno dei più significativi esempi di “psicoanalisi
positiva”, una sublimazione degna di essere valutata nel segno del Super-Ego. La
sublimazione, la donna angelicata, la malinconia, il dolore, il senso della morte e
dell’angoscia rivelano complessi stati d’animo e molteplici fantasie inconsce.
I poeti dello “Stil Novo” viceversa mostrano un io scisso, derealizzato, sofferente,
sospeso tra amore ideale e reale, rimozione e sublimazione. C’è un continuo conflitto
tra eros e thanatos. L’io- scrive Di Lieto- “si ipostatizza nell’altro da sé; l’alterità si
identifica con l’io”. La rimozione degli impulsi istintivi e sessuali è operata da una
coscienza morale, che è un’istanza legata all’io ideale. Spesso il desiderio aumenta il
senso di angoscia nell’io e provoca un sentimento di fuga dalla realtà. Prevale il ruolo
del Super-io, che impedisce agli impulsi l’aspirazione al piacere.
E’ tutto uno scenario “inconscio” quello che domina l’opera di Edmondo De Amicis
(1846). Dalla sua scrittura, dai toni melodrammatici, emerge un individuo
caratterizzato da una doppia personalità, da un “io diviso”. “Cuore” è un libro
scolastico, che ha un intento etico-pedagogico. E’ stato scritto in un’epoca distinta da
una società autoritaria, da una visione paternalistica e caritativo-filantropica.
I temi trattati hanno una grande carica emotiva, i personaggi hanno un’esistenza
grigia e tanta povertà. C’è nell’autore un forte Super-io costruito attraverso sensi di
colpa, un certo pathos e tanti buoni sentimenti. Il Super-ego ha il mandato di
delineare valori etici ed educativi come istanza principale. I rimorsi e i sensi di colpa
rivelano “una insicurezza di fondo” e “paure inconsce”. Il doppio dell’opera
deamicisiana si pone tra la “vita reale” e quella “immaginativa”, nel segno
dell’inconscio e di un “io-diviso”. Il libro “Cuore” è un “training autoanalitico, nel
senso che l’autore sottopone ad “analisi” i suoi personaggi in un processo di
“rieducazione emotiva”, di consapevolezza di sé.
L’analisi infatti ha una funzione terapeutica ed educativa, in quanto modifica la
struttura mentale dell’analizzato e ne rinforza le difese immunitarie. Attraverso
l’autoanalisi, è possibile poi “ricostruire” le relazioni oggettuali con le figure
significative della storia personale, che fanno capo alle figure della madre e a quella
del padre. Ci troviamo di fronte a una duplicità dell’io, a un io ipertrofico, in cui
l’inconscio proietta pulsioni di vita e quelle di morte.
La poetica di Leopardi (1798) è ricca di prospettive per la conoscenza e la
comprensione del mondo inconscio. Un mondo “totalmente di fantasia”. L’inconscio
è avvertito come “matrice” dell’evento poetico. La lirica del poeta è la “metafora” di
una coesistenza di inconscio e conscio, di “principio di piacere” e di “principio di
realtà”. La creazione artistica, attivando l’immaginazione, fa “ri-nascere” in Leopardi
il piacere della vita. Che costituisce il vero superamento del suo pessimismo.
Emblematico al riguardo l’Infinito, che apre la serie dei primi sei idilli. La poesia si
basa sul tema infinito-indefinito. Nel concentrarsi sul proprio io, Leopardi coglie non
un infinito reale, ma un orizzonte, che oltrepassa la realtà materiale, adombrando una
prospettiva metafisica.
La perdita del Sé- scrive Di Lieto- è “in bilico tra desiderio e piacere”, e il concetto
dell’infinito nasce “fuori dal tempo e dallo spazio”, facendo trasparire l’idea della
immensità. In questa immensità, “s’annega il pensier mio” dal quale emerge
“l’inconscio leopardiano”. La sfera inconscia finisce per costituire in sostanza la
proiezione della vera realtà dell’Infinito. In questa condizione, si coglie inoltre
“un’innata malinconia” (Pirandello).
Le emozioni del poeta, la sua tensione lirica e il suo estatico incantesimo creano una
situazione dello spirito che si avvicina al “principio di piacere”. Che per Freud è
inteso come appagamento di un bisogno. Dall’Infinito, poesia che sfugge ad ogni
tentativo di comprensione, nasce “quella dolce malinconia che partorisce le belle
cose”. E’ questa malinconia a generare la creatività, il pathos, la vitalità. E’ un
mondo che conduce alla “dissolvenza” dell’io nel “dolce naufragio” dell’estasi.
L’attività onirica è “un momento euristico” di ricerca dell’essere. La visione
dell’infinito, dell’oltre costituisce “uno stato di grazia”, che ci porta alla “innaturale
felicità di un mondo metastorico”, verso l’ascesi.
Dinamiche irrazionali e inconsce caratterizzano la personalità e l’opera di Nietzsche
(1844). Sono il presagio della sua malattia mentale (psicosi maniaco-depressiva) e del
forte sentimento di inquietudine di una crisi storica profonda, di un rivolgimento
totale della cultura europea e del suo universo di valori. Di qui, la scissione dell’io, il
nichilismo, la morte di Dio, il superuomo.
La sua opera rivela una dimensione “distruttiva e nichilistica” assieme al tentativo di
sondare l’abisso dell’io e dell’inconscio. C’è scetticismo verso qualsiasi dogmatismo.
Esclude ogni istanza teologico-metafisica e dunque anche la morale, la religione e
l’arte, che sono parte integrante del pensiero metafisico.
Egli critica pertanto le “pretese metafisiche” del pensiero occidentale e prende
posizione contro la cultura moderna a cui contrappone la sana cultura greca. In
Nietzsche c’è l’idea “orgiastica della follia sacra”, ma c’è anche Dioniso, il dio
dell’estasi, della lacerazione e delle passioni. Si protesta infatti l’ultimo discepolo di
questa divinità, una figura ambigua e seducente.
Il concetto di volontà di potenza insieme con quello di superuomo è il senso
dell’essere, è la vita concepita come forza capace di un continuo rinnovamento. E’
desiderio di vivere. L’esame della sua opera mostra un io diviso, una crisi profonda e
inarrestabile dell’io. E’ fondamentale il suo tentativo di analizzare il suo inconscio,
alla ricerca della propria interiorità. Che tuttavia rimane oscura.
Es e Super-Io si sovrappongono, così come l’apolinneo e il dionisiaco. L’Es
(Dioniso) contiene forti emozioni e irrazionalità. Pensiero e istinto coincidono. Al dio
dei misteri e dell’irrazionale si contrappone Apollo (Super-Io), il dio delle arti,
dell’equilibrio e dell’armonia, della bellezza e dello splendore della vita. E Nietzsche
costruisce la sua personalità sull’opposizione tra lo spirito “apollineo” e quello
“dionisiaco”.
Egli sostiene insomma un nuovo orientamento esistenziale, un nuovo umanesimo,
che presuppone non solo la creazione di nuovi valori e principi e post-verità. Ma
anche la “morte di Dio”, che rende l’uomo libero da angosce, paure, illusioni e
finzioni metafisiche. Dalla morte di Dio e dal rifiuto della metafisica nasce dunque il
nichilismo. Di fronte al nulla e alla vanità di tutto, il filosofo sceglie la sua volontà di
potenza, per conseguire la realizzazione di se stesso, ovvero di un essere in divenire.
In Pirandello (1867), il disagio psicologico è “rilevabile” sia attraverso la suggestione
della scrittura che della parola dipinta. Nel pittore-narratore si raccolgono gli scenari
rimossi delle tracce anamnestiche e la coscienza di un “io diviso. Tutta la sua opera si
basa sullo studio dell’inconscio condotto attraverso un lungo processo di autoanalisi,
dal quale affiorano il “principio di piacere” e il “principio di realtà”.
L’artista in questo modo opera una “rappresentazione del sé” insieme con la ricerca
della “perduta armonia dell’io”. In particolare, la scrittura ha la funzione di indagare
il rimosso e le “contrastanti personalità” all’interno dello stesso individuo. I
personaggi pirandelliani infatti hanno una personalità multipla. La tematica del
doppio e dell’io diviso porta i personaggi a vivere- spiega Di Lieto- “una psiconevrosi
irreversibile”.
Dall’abisso dell’inconscio e dell’Es appaiono stati angosciosi e una “insicurezza
ontologica”. L’Es per Pirandello rappresenta la parte oscura e inaccessibile della
nostra personalità, fortemente legata a eros e thanatos. Nell’opera pirandelliana poi
c’è l’idea ossessiva di vivere in “una surrealtà visionaria”, caratterizzata dalla “paura
di impazzire”. C’è la ricerca continua di una “identità misteriosa”, c’è il bisogno di
comprendere i fantasmi della mente, dai quali cerca di sfuggire, immaginando
un’altra realtà, dove l’arte diventa “salvezza e liberazione”, Salvezza dal suo stato
depressivo che gli procura una grande angoscia e un forte disorientamento. Per questa
via, la scrittura, la poesia, l’arte assumono una funzione terapeutica e compensativa,
nel tentativo di “ricomporre” la dissociazione della personalità.