LO SGUARDO DELL’ALTRO

Riflessioni sulla valenza strutturante dello sguardo per la soggettività altrui

Nel presente articolo si analizza la funzione strutturante dello sguardo inteso non come puro atto organico, ma come fenomeno relazionale con implicazioni complesse a livello psicologico e filosofico.
Viene analizzato sotto questo profilo un caso reale di un minore seguito dall’educatrice del servizio sociale

LO SGUARDO, IPSEITA’ HEIDEGGARIANA E SIGNIFICATI

Lo sguardo non è solamente una funzione biologica ma implica aspetti molto più ampi, aldilà della sfera biologica, aspetti afferenti alla sfera relazionale, alla costituzione del soggetto, al disturbo psichico, funzione trascendentale con numerose implicazioni. Lo sguardo dona esistenza, lo sguardo può invadere, l’assenza dello sguardo può uccidere.
Paolo è un bambino di 8 anni.
Viene seguito dall’educatrice del Servizio sociale poiché i genitori presentano difficoltà marcate nell’esercitare la funzione educativa.
Ciò che emerge è la grave incapacità nel cogliere i bisogni del bambino. Le pratiche attuate dalla coppia genitoriale si declinano attraverso la negazione del disagio avvertito dal piccolo, l’astensione dalla cura, la delega all’altro genitore.
Paolo non viene visto.
Paolo cerca sguardi che gli permettano di esistere.
Per ottenere questo, commercia contenuti, offre significati differenti per differenti interlocutori: parlerà di maltrattamenti con l’educatrice, esclusione della mamma per compiacere il padre, …
È soggetto senza patria, offre i significati che l’interlocutore vuole.
L’essere umano non sta nel mondo come le cose ma è nel mondo e l’essere visti ci situa nel mondo, sancisce la nostra presenza nel mondo.
L’uomo è il luogo dove l’Essere si organizza, si articola.
Tale articolazione è il dasein heideggeriano, l’Esserci – nel – mondo. Da questo processo si genera il circuito dell’ipseità, la capacità di riconoscere sé stessi, di appartenere a sé stessi attraverso i possibili sé stessi.
Lo sguardo rivolto all’altro reca la sua identità, ossia la possibilità di produrre significati propri con cui narrare il mondo, che è poi la produzione di un mondo. Inedito.
Sartre, indica lo sguardo come chiave di accesso che apre all’incontro con l’altro, ed è in questo senso che il vedere l’altro, si traduce nel “volgere lo sguardo” ad un altro io.
Lo sguardo, attraverso la conferma del nostro essere al mondo, è il riconoscimento che ci emancipa dalla gettatezza annunciata dalla filosofia di Heidegger, dalla pura esistenza bruta sartriana, il riconoscimento che ci permette di produrre significati con cui e attraverso cui, esistere.
Paolo è disposto a non produrre significati, bensì a riprodurne pur di essere percepito, la qual cosa è, evidentemente, un’aporia.
“Se dico quello che vuoi sentirti dire, sarò visto?” è una domanda paradossale perché ci si accorge di noi se, e solo se, riceviamo lo sguardo carico del desiderio per il nostro desiderio, il quale, in senso lacaniano, elicita la ricerca della vocazione alla vita. E questa vocazione è una ricerca di senso la quale richiede una produzione originale di significato, attraverso cui snodare e articolare un progetto che trascende il soggetto del qui ed ora per il sé possibile.
Paolo viene escluso da questo percorso, non viene desiderato che produca un suo significato originale del mondo, non viene accompagnato, non viene visto.

SIMBOLO, DASEIN E APPRESENZA

Jung afferma che un segno “ha un significato fisso, essendo un’abbreviazione che sta per una cosa conosciuta oppure è un rimando a quella cosa medesima”, invece il simbolo ha, per sua natura, contenuto polisemico, non definibile e non convenzionale.
“… un simbolo non abbraccia e non spiega, ma accenna, al di là di sé stesso un significato ancora trascendente, inconcepibile, oscuramente intuito, che le parole del nostro attuale linguaggio non potrebbero adeguatamente esprimere.” (C.G. Jung, Geist und Leben (1926).
Le persone sono simboli in quanto hanno un significato mai definito, mai dato. In questo, lo sguardo dell’altro, ci rende simboli, perché veniamo riconosciuti come soggetto e il soggetto non è un corpo che occupa uno spazio definito ma un dasein, un essere-nel-mondo. Il soggetto trascende l’esistenza pura, definendo, senza fine, i propri contenuti.
È l’appresenza indicata da Husserl.
La si può paragonare alla visione di una casa: ovunque ci si posizioni, percepiremo sempre una sola facciata, o al limite due se saremo posizionati perpendicolarmente ad uno degli spigoli, in ogni caso solamente una porzione sarà vista. Cionondimeno ogni osservatore saprà che la casa non finisce lì, ma esistono altre facce, il tetto e finanche le fondamenta. Analogamente la persona viene vista per una piccola porzione la cui appresenza rimanda ad una pluralità di significati che non si esauriranno in una fugace occhiata.
Paolo espone segni, non è simbolo. Il segno sta, dunque, al posto della cosa, la sostituisce, lui espone un segno che sta per lui: la riproduzione di significati altrui, non suoi. Questo segno, questa riproduzione, indica la mancanza di significati suoi.
Sperando nel riconoscimento, nell’ avvistamento … un razzo segnaletico che conduca gli avvistatori da chi l’ha lanciato.
Si produce così una Gestalt paradossale in quanto il bambino vuole disperatamente distinguersi dallo sfondo, mimetizzandosi.

FRAMMENTAZIONE E SGUARDO INTENZIONALE

I contorni sfumano, Paolo sfuma, ombra nei racconti altrui.
All’educatrice dice che non andrà a trovare i cugini… mai!
Aderisce a contesti di cui coglie i perimetri e a questi si conforma.
Abdica in favore del significato portato dall’altro, alla madre pochi minuti dopo dice che sarebbe bello vedersi con i cugini, tutti insieme, quando questa glielo chiede.
In questa sequenza, si vede in nuce la frammentazione del soggetto, in quanto porta pezzi d’altri spacciati per suoi in differenti contesti relazionali in modo non unitario, ma disomogeneo, disarticolato.
Paolo non viene visto, “lo sguardo presuppone che si aprano intenzionalmente gli occhi per vedere” indica la pedagogista Sara Costanzo.
Qui nessuno apre gli occhi con intenzione su di lui, l’intenzionalità è rivolta altrove.
Ma la luce dell’intenzionalità può essere condotta dalla figura educativa.
Educativa è qualunque figura che possa rivolgere lo sguardo intenzionale, con la precisa intenzione di guardare lui, proprio lui. Paolo.
Lo sguardo intenzionale ricompone l’individuo attraverso la domanda, è una domanda al soggetto, all’identità del soggetto.
Lo sguardo pone il soggetto nella condizione di guardare con intenzionalità a sua volta.
Se guarda il mondo con intenzionalità a sua volta, genera un mondo, il suo, perché è stato riconosciuto nell’ordine simbolico del mondo, non sarà solo pura esistenza.
Paolo ha uno sguardo opaco, sta chiedendo di essere visto altrimenti non potrà vedere.
Insegue parole altrui perché non ne ha di sue.

L’IDIOTA DELLA FAMIGLIA

Jean Paul Sarte ne “L’idiota della famiglia”, indica il piccolo Gustave Flaubert, considerato “idiota” non perché afflitto da ritardo mentale o affetto da sopraggiunta patologia ma per una crisi esistenziale.
Il fratello maggiore ha nome e stesso destino del padre medico, la madre attende con ansia la nascita di una bambina che chiamerà col proprio nome; quindi due destini simili tra il primogenito e l’ultimo. In mezzo il piccolo Gustave che non “appartiene” a nessuno dei genitori.
Non viene visto da questi, la sua presenza non è chiamata all’ordine simbolico del mondo, cade fuori dalla parola, sfugge al taglio del significante lacaniano.
È in un limbo in cui non viene richiesto di produrre segnali di senso, dove si perde il racconto di sé. Tutti nasciamo nel campo della parola, il linguaggio ci attende ma per avervi accesso dobbiamo essere visti e acquisire il diritto a tale parola.
Lo sguardo dona la parola.
L’ascolto della parola che racconta di sé è l’attesa di una risposta che l’altro, Paolo, non sa di possedere, fino a quando gli verrà posta la domanda.
Lo sguardo intenzionale è dunque una domanda che porta la richiesta di un senso non ancora venuto alla luce, il quale può venire alla luce, generato al momento della domanda, solo se richiesto.
La risposta all’ascolto compone il soggetto perché dovrà portare significati suoi, personali.
Non sarà scomposto, frammentato, parcellizzato nella pluralità dei significati altrui.
“Io mi vedo perché mi si vede” (J.Paul Sartre “L’essere e il nulla”).
Paolo presenta un attaccamento problematico, disorganizzato dove le figure di accudimento coincidono con le figure che non curano. Non gli si chiedono significati da costruire, perché non è un soggetto, ma ne ha l’urgenza: come chiunque venga gettano nel mondo. Non può esimersi dal compito.
L’educatrice si chiede cosa poter fare per Paolo, come aiutarlo in questo luogo esistenziale estremo in cui si trova.
Nella domanda è già presente lo sguardo intenzionale perché lei lo vede, non è più lo sfondo indistinto, ma una Gestalt riorganizzata, rinnovata.

LA DOMANDA CHE VEDE

È sufficiente una domanda: … “cosa posso fare per lui”?
L’uomo chiede e l’intero mondo in cui egli è gettato prende, nella sua estraneità e distanza, forma.
È una questione di incontro tra soggetti, educatrice e ragazzo, non di tecnica.
La tecnica in occidente è nata per il piccolo scarto prodotto da una domanda: “tutto quello che occorre sapere è contenuto nei testi sacri o c’è altro da indagare?” Questa posizione portò alla rivoluzione scientifica del 1500, al metodo scientifico cartesiano, all’illuminismo, al positivismo e così via.
Seguirà l’azione educativa complessa, articolata, la cui scaturigine è la domanda. Si dipanerà tra modalità e tecniche ma il contesto in cui saranno contenute e orientate appartiene alla posizione esistenziale contenuta nella domanda “cosa posso fare per lui?”.
Se analizziamo le tre dimensioni temporali fenomenologiche soggettive postulate da Husserl, retentio, praesentatio e protentio, ossia passato presente e futuro come vissuti soggettivi, scorgiamo Paolo in un tempo presente dilatato nel ripetere contenuti altri, un passato sempre uguale, la ricerca dello sguardo, e un futuro che non si attualizza in un progetto.
L’educatrice si è situata in un luogo relazionale impervio, al cui centro (l’esistenza psichica del bambino) ha posto la richiesta di poterlo vedere. Questa articolazione dà vita ad un moto contrario alla frammentazione, alla disarticolazione dei significati su descritta, è un moto che ricompone il tempo soggettivo della persona, che riporta il futuro, protentio, in vita dando una possibilità al progetto individuale, alla trascendenza.

L’INQUIETANTE

Questa posizione esistenziale, che richiama ad un ordine di senso soggettivo ha in sé la potenzialità di salvare dall’Inquietante. L’esperienza schizo-frenica, la scissione della mente, dei pensieri senza consequenzialità, senza storicizzazione ma presentificazione continua senza futuro, porta “alla perdita del senso comune” come indicato da Umberto Galimberti. (U.Galimberti “Psichiatria e fenomenologia).
“Per quanto riguarda lo spazio interiore, non si sa più dov’è l’origine, la sorgente della nostra esperienza” riporta R. D. Laing
Ancora Galimberti: “… la rassicurazione del senso comune , contiene quel nulla che diventa tutto quando un individuo ha smarrito quel centro…” indicato da Laing.
Senza un’appartenenza ai propri significati, manca la strutturazione dell’esperienza come fenomeno che si formi nella stessa modalità e quindi dia stabilità al mondo come continuum.
La stabilizzazione data dallo sguardo intenzionale, permette, attraverso la costituzione di una rete semantica originale del soggetto, di dare senso al mondo e come riportato da Freud “quanto più un uomo si orienta nel mondo che lo circonda, tanto meno incontrerà l’Inquietante tra le cose e gli eventi”. (S.Freud “L’inquietante”).
Lo psicologo, lo psicoterapeuta, l’educatore, si frappongono fra l’Inquietante e le persone, i loro interventi, si snodano tra istanze esistenziali enormi: l’Inquietante appunto, la frammentazione, la perdita di sé, …
Queste istanze collassano nella semplicità delle azioni quotidiane ma la loro ascendenza è sempre lì, dove occorre volgere lo sguardo.

BIBLIOGRAFIA
Jean Paul Sartre “L’essere e il nulla” Il Saggiatore 2014 Milano
Jean Paul Sartre “L’idiota della famiglia” Il Saggiatore 2019 Milano
Martin Heidegger “Essere e tempo” Longanesi 2020 Milano
Umberto Galimberti “Psichiatria e fenomenologia” Universale Economica Feltrinelli 2019 Bergamo
Sigmund Freud “L’inquietante” STUDIO Roma 2014 Roma
C.G. Jung, “Geist und Leben”

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