La prospettiva fenomenologica della psichiatria

Nonostante il nome greco (psyché e iatria), la psichiatria è recente. Si ritiene che il primo a parlarne sia stato il medico e filosofo tedesco, Marchior A.Weikard, in “Der philosopher Arzt” (1773). In Europa, la psichiatria nasce tra la fine del ‘700 e i primi decenni dell’800 nei manicomi, luoghi destinati a “curare” o assistere i “folli” che nel linguaggio psichiatrico dell’epoca erano detti anche “pazzi” o “matti” per i loro comportamenti “strani”, dissennati, fuori dalla norma.

   I precursori del pensiero psichiatrico-clinico sono Pinel, Morel, Kraepelin, Bleuler, i quali cercano di dare un assetto al mondo “bizzarro” della psichiatria. Kraepelin conia termini divenuti celebri, come quello di “dementia praecox”, che poi Bleuler chiamerà “schizofrenia”.

   La malattia mentale viene considerata malattia del corpo. La famosa tesi di W. Griensinger “ le malattie mentali sono malattie del cervello” guadagna il favore generale.

   Il punto di vista clinico-descrittivo è quello dal quale scaturisce questa disciplina con lo scopo per l’appunto di descrivere e isolare entità morbose.

   Invero, il concetto di follia è molto antico. A cominciare dalla medicina ippocratica, la quale afferma che lo studio della patologia mentale abbraccia l’uomo nella sua totalità. A lungo, questa malattia viene vista come un “evento soprannaturale” e interpretato come un fenomeno magico-religioso. Con la medicina greco-romana ed araba, il disturbo psichiatrico viene considerato un evento naturale.

   Il suo cammino passa attraverso vari modelli: spiritualistico (homo coelestis), somatico, psicoanalitico (homo natura di Freud), psicopatologico e antropologico (homo existentia).

   L’esperienza clinica e gli studi evidenziano l’inadeguatezza del modello anatomo-clinico e  quindi il bisogno di cercare nuove prospettive. Fondamentale, al riguardo, risulta la prospettiva della psichiatria fenomenologico-esistenziale, alla quale fornisce un prezioso e fondamentale contributo Eugenio Borgna nel suo recente libro intitolato “ La follia che è anche tra noi” (Einaudi). Valutiamo Borgna  un autore che conferma ancora una volta la sua grande, raffinata e sofferta cultura psichiatrica sempre attraversata da uno straordinario  e profondo afflato umano ed esistenziale, e da una meravigliosa fondazione etica. Sono doti innate eccezionali, che purtroppo non tutti i medici, psichiatri e psicologi hanno. 

   La fenomenologia è una corrente di pensiero, che ha contrassegnato una psichiatria che ha “radicalmente cambiato” il suo oggetto di ricerca e di cura, riconoscendo alla sofferenza psichica la sua “inalienabile dignità”.

   Sono stati Ludwig Binswanger e Karl Jaspers a “costruire” le fondazioni della psichiatria fenomenologica, la quale nel tempo ha portato a una “riformulazione globale” delle questioni di fondo di questa disciplina e un modo risolutivo e diverso di essere psichiatri (Callieri).

   La dottrina “antropoanalitica” (Daseinsanalyse) di Binswanger si rifà alla fenomenologia di Husserl e all’esistenzialismo di Heigger. Per il pensiero fenomenologico, l’oggetto della psichiatria, della psicologia e della psicoanalisi non è il cervello con le sue disfunzioni, ma l’uomo visto nella sua irriducibile singolarità, come soggetto del suo mondo, come essere “persona” e non “cosa”. Con ciò superando le categorie biologistiche e psicologiche, al di fuori di ogni interpretazione scientifico-naturalistica. La psichiatria è al contempo scienza umana e scienza naturale.

   Si tratta di un impianto teorico che considera il soggetto, sano o malato, come un “essere- nel- mondo” e un “essere- con- gli altri”. L’accento è posto sulla soggettività del paziente, sulla sua interiorità e sugli stati d’animo. Che vengono conosciuti attraverso la capacità del clinico di “immedesimarsi” negli stati psichici degli altri- da- noi (Jaspers).

   Il mistero della follia diventa in tal modo una psichiatria dell’esistenza, un incontro- sottolinea Borgna- con la fragilità, la sofferenza e il dolore del paziente, dando rilievo alle parole, al silenzio, all’ascolto empatico, al calore umano, alla pazienza, alla discrezione, alla sensibilità, all’intuizione, all’emozionalità, alla gentilezza, alla speranza. Aprendo così varchi inaspettati e ricchi di feconde prospettive, potendo agire ed entrare nella vita interiore del soggetto alla ricerca dei significati e dei segreti che attraversano emozioni, sentimenti, deliri e allucinazioni. Di qui, il rispetto della dignità della sofferenza e delle ferite dell’anima, nella consapevolezza che la follia è un’epifania di dolore infinito, fa parte della condizione umana, è una possibilità che è in noi, in ciascuno di noi. 

   Occorre allora discendere negli abissi della follia mediante l’introspezione e l’immedesimazione, superando  “dolorosi e sconvolgenti lasciti di inumanità” della psichiatria tradizionale e manicomiale, e la “gelida indifferenza” degli psichiatri, intenti solo alla pratica degli elettroshock. Luoghi, per Borgna, di “infinito dolore” e di “indicibile solitudine”.

   Fondamentale è dunque l’incontro, la comunicazione terapeuta-paziente, fatto che è già inizio di cura, in quanto capacità di calarsi nella natura profonda del soggetto e nella palpitante umanità della malattia. E’ un incontro di anime, quell’anima definita da Schelling “il cielo interiore dell’uomo”.

  E’ in questa dimensione interpersonale la vera “rivoluzione copernicana” dell’attuale psichiatria. E’ la terza via della psicopatologia, quella cioè della intersoggettività, un metodo che si libera dalle suggestioni riduttive sia dell’esclusiva dimensione psicoanalitica che di quella biologica.

   Alla visione dell’ “homo natura” di Freud, la concezione fenomenologica e antropologica sostituisce la “fenomenicità” originaria del suo essere-nel-mondo, come egli propriamente è: “homo existentia”. La psichiatria è basicamente una scienza dell’uomo, dell’esistenza umana (Binswanger).

   La presenza- il Dasein– è “anzitutto globalità umana”. Che comprende in sé anima e corpo, cosciente ed inconsciente, pensiero ed azione, emotività, affettività e istinto. Punto di partenza è analizzare i “modi” con cui si manifesta “l’umana presenza”, indipendentemente dall’osservazione se si tratti di un soggetto “sano” o di un soggetto “malato di mente”, poiché i “mondi” di entrambi sono “rivelazioni” del possibile dell’uomo. 

   Esiste una differenza tra psicopatologia, che è scienza di fatti e di esperienza, e la fenomenologia  che si rivolge alle essenze dei soggetti. Entrambe le prospettive, tuttavia, finiscono con l’intrecciarsi. In questo contesto, possiamo parlare di fenomenologia psicopatologica.

   Sta di fatto che la prospettiva antropofenomenologica ha aperto nuove vie alla psichiatria, un settore della medicina  che è stato attraversato da riduzionismo biologico, psicologismo e sociologismo. Ci sono stati anni durante i quali la colpa dei disturbi mentali è stata di volta in volta attribuita alla madre, alla famiglia e alla società.

   Riteniamo, insieme con  molti altri autori, che le neuroscienze possano fornire notevoli contributi ad una nuova fondazione della psichiatria,  e che il modello integrato- neurobiologico e psicosociale- della malattia mentale, che ha natura multifattoriale, sia  un sicuro metodo scientifico da perseguire.

  Attualmente, abbiamo una psichiatria “svuotata” di mete ideali e di crescita spirituale, “divorata” dall’applicazione delle “infinite diagnosi” del DSM-5 e dalla sola somministrazione di psicofarmaci, pratica che esclude qualsiasi approccio psicoterapeutico.

   Esistono certamente presidi farmacologici efficaci in grado di ridurre i sintomi, eppure si è assistito ad una “generalizzazione eccessiva” nell’uso dei farmaci, quasi a una “contenzione farmacologica”, ad una “lobotomia chimica”. Pensiamo che per rimuovere le “cause” dei disturbi mentali, la psicoterapia può dare un grande sostegno. Purtroppo, esistono decine di indirizzi psicoterapeutici, ed ognuno decanta successi, che sfortunatamente non possono essere verificati scientificamente.    

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